Identità cittadina e paradossi del turismo

Mariasole Garacci

L’episodio del danno subito da una scultura di Bernini ha fatto molto discutere e ha acceso un altro riflettore sulla necessità di valorizzare i contesti urbani, anche nel quadro di un turismo sostenibile che non stravolga e banalizzi le città d’arte, meta di ingestibili flussi di visitatori.

L’episodio del danno subito da una scultura di Gian Lorenzo Bernini () ha acceso un altro riflettore sulla necessità, sempre più sentita e discussa, di rispettare il contesto delle opere d’arte, anche nel quadro più ampio di un turismo sostenibile che non stravolga e banalizzi le città d’arte, meta di ingenti flussi di visitatori (). Vorrei chiarire che le considerazioni che talvolta rendono più opportuno visitare un’opera nel suo luogo originale e nel suo contesto non hanno a che fare con un’avversione ideologica e accademica alle mostre. Si capisce bene che una stampa originale di Rembrandt o un quadro di Klee, ugualmente preziosi, sono diversi da quello che possiamo definire un “ecosistema”, quale è una cappella o una chiesa barocca. Una mostra può essere bella e appagante. E anche utile, come spiegavo nel mio precedente intervento, a una contestualizzazione trasversale dell’opera messa a confronto con altre dello stesso artista, periodo o movimento.

Anche l’arte contemporanea ci ha abituati, del resto, al fatto che le opere sono legate allo spazio e al contesto per cui sono state ideate: pensiamo ai lavori site-specific, alla land art, o anche alle operazioni monumentali di artisti che intervengono nel tessuto urbano: è chiaro che un’opera di Anish Kapoor, per esempio, è pensata per inserirsi nello spazio in un certo modo. Questo per sottolineare un altro aspetto, quello dell’efficacia estetica, a latere di quello più urgente della tutela.

L’altro tema è quello della pressione dei flussi turistici nei soliti posti, che ha il duplice aspetto -negativo in ogni caso- di congestionare e snaturare i luoghi e di lasciare trascurati e sconosciuti altri. In seguito al mio articolo sulla statua di Santa Bibiana, un lettore mi ha scritto: Lei crede realisticamente che, con i tempi imposti dai tour-maratona, ben quattro chilometri di distanza, da coprire nel centro di Roma, in aggiunta ad almeno qualche minuto da dedicare all’opera ed alla sua contestualizzazione, siano sostenibili da questo "modello" di turismo culturale? Il problema esiste e giustamente viene posto in rilievo dal lettore. Io rispondo che constatare uno status quo non significa che si debba accettarlo, e che bisognerebbe puntare a cambiare alla radice il concetto di turismo, e privilegiare una cittadinanza conscia delle caratteristiche del proprio patrimonio locale, proprio allo scopo di indirizzarci verso soluzioni più promettenti, anche economicamente, sul lungo termine.

Oggi questo tema del resto è molto discusso (si veda da ultimo un editoriale di Stefano Monti su Artribune) e anche le categorie professionali più sensibili e consapevoli attive nel settore si muovono, o cercano di farlo, sul fronte di una riconversione del turismo da settore prevalentemente economico (con ciò che questo comporta in termini di priorità e obiettivi) a piatto di un’offerta culturale basata su un sistema capace di tenere e di creare sviluppo vero: recentemente, per raccontare ciò che avviene a Roma, Isabella Ruggiero, guida turistica e presidente di AGTAR – Associazione Guide Turistiche Abilitate di Roma, è intervenuta su questo tema in un ciclo di incontri organizzato dall’Associazione Bianchi Bandinelli. A un più ampio livello europeo apprendo che, in questi giorni, è stata lanciata una lega delle città turistiche sud europee (SET – Sud Europa di fronte alla Turistizzazione): si tratta di una rete di città e di esperienze di base, per il momento prevalentemente limitate alla penisola iberica, che si pone l’obiettivo di affrontare gli effetti dell’industria turistica sul territorio urbano: proliferazione di locazioni turistiche, banalizzazione del patrimonio, saturazione del trasporto pubblico, gentrificazione dei centri storici, lavoro precario nella filiera del turismo (qui l’articolo su DINAMOpress).

Esisteranno sempre diversi tipi di visitatore e di turismo: sinceramente io non riesco a stigmatizzare il turista low cost che ha l’esigenza di visitare, in poco tempo e con mezzi limitati a disposizione, quei luoghi "simbolo" conoscere i quali è diritto di tutti. Perché ritengo che sia niente di meno che un diritto democratico. Più di una volta mi è capitato di vedere un turista straniero andar via dalla Cappella Sistina e sostare un’ultima volta sulla soglia dell’uscita, per voltarsi un momento a guardare con occhi pieni di meraviglia, nostalgia e incanto quel miracolo che forse non rivedrà mai più. E attraverso i suoi occhi ho rivissuto la mia meraviglia.

Ma, anche se del settore turistico noi italiani viviamo, dobbiamo avere il coraggio di non assecondarlo nelle sue conseguenze negative e di imprimere un modello, una volontà politica (lato sensu). Inoltre, per tornare all’episodio da cui la mia riflessione di questi giorni è partita, la mostra-evento non è visitata solo da turisti, ma anche dalla cittadinanza (si spera). Eppure molti romani non sapevano dell’esistenza della chiesa e della statua di Santa Bibiana fino a che non si è diffusa la notizia che quest’ultima era stata danneggiata: prima, pochissimi (forse nessuno) si erano presi la briga di andare a vedere il luogo da cui essa era stata portata alla Galleria Borghese, paghi del fatto di averla potuta vedere in mostra tra le altre sculture, perdendo quindi tutta una parte della sua interezza estetica. Un segno che le mostre, in un certo senso, falliscono uno dei loro obiettivi. Nutrire una cultura cittadina, diciamo anche un’identità, potrebbe contribuire a risolvere anche i paradossi del turismo.
(14 maggio 2018)





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