Il 25 aprile ai tempi del coronavirus

Alessandro Somma



Quest’anno la Liberazione viene festeggiata in un clima assolutamente inedito. Per la prima volta nella storia della Repubblica sono stati limitati diritti fondamentali e si sono compresse le prerogative delle istituzioni democratiche. Chiusi nelle nostre case e impauriti per le conseguenze economiche e sociali della pandemia, abbiamo assistito senza troppo fiatare allo scempio di ciò per cui aveva combattuto la Resistenza.
Sono colpiti i diritti civili: la libertà personale non è più inviolabile, non possiamo più circolare e soggiornare liberamente sul territorio nazionale, e non abbiamo più il diritto di riunirci pacificamente.
Non stanno meglio i diritti sociali: il diritto alla salute viene negato ai malati che non trovano posto negli ospedali decimata dai tagli alla spesa sociale, il diritto all’istruzione di chi non può recarsi a scuola è degradato a enunciazione di principio, mentre il diritto al lavoro viene cancellato dal virus o barattato con il diritto alla salute da imprenditori spregiudicati.
E anche i diritti politici sono sotto attacco: le decisioni più importanti sono assunte attraverso i famigerati Dpcm, i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre il Parlamento ha difficoltà a riunirsi e troppo spesso viene relegato al ruolo di spettatore.
Si dirà che tutto questo è destinato a finire non appena l’emergenza sarà passata, ma la tragica esperienza della dittatura dovrebbe averci insegnato che le cose potrebbero anche andare diversamente. In tutti i Paesi in cui si è affermato, il fascismo ha cancellato la democrazia ma non anche il capitalismo, che aveva anzi bisogno dell’intervento statale per sopravvivere alle sue crisi e alle sue contraddizioni. E questi due momenti sono strettamente collegati: se la democrazia è stata azzerata, è perché lo richiedeva il salvataggio del capitalismo. Se non altro perché il conflitto sociale provocato dal funzionamento del mercato mirava al superamento del capitalismo, e solo una risposta violenta e repressiva avrebbe potuto evitarlo.
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Anche ora stiamo per precipitare in una crisi devastante, che provocherà impoverimento e disoccupazione a livelli paragonabili a quelli tipici di una guerra. L’Europa potrebbe evitarlo, fornendo assistenza e impedendo così che l’emergenza sanitaria sia l’occasione per far esplodere l’indebitamento e con ciò la complessiva tenuta del Paese. Al contrario è pronta a ricordarci che entro breve dovremmo tornare alla disciplina di bilancio, ovvero fare nuova austerità: ridurre ancora il welfare e svendere i pochi gioielli di famiglia rimasti.

Solo che questa volta sarà più difficile farlo, se non altro perché sono a tutti evidenti le conseguenze dei tagli alla sanità, e più in generale di una società che si è legata mani e piedi al mercato: se questo si inceppa, la sopravvivenza è garantita solo per una manciata di mesi. Di qui il conflitto sociale che provocheranno i tentativi di piegare il Paese a nuove politiche di austerità, e le richieste sempre più pressanti di rifiutare la religione del mercato come fondamento indiscutibile dello stare insieme come società.
In questo quadro la Festa della Liberazione non può essere degradata, come vorrebbero ora i negazionisti, a festa di tutti i caduti, inclusi quelli da coronavirus. Deve essere al contrario riscoperta nel suo significato originario, attorno al quale si sono riuniti i partigiani di ogni fede: un monito a difendere la democrazia dall’invadenza del mercato, la politica dalla violenza dell’economia, la giustizia sociale dalla dittatura della concorrenza.
(24 aprile 2020)



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