Il ’68: una ventata di libertà negli osservatori astronomici italiani
L’astronomia italiana aveva avuto un passato più che degno nel 1800. Il primo gennaio del 1801, all’Osservatorio di Palermo, Padre Giuseppe Piazzi scopre il primo pianetino, primo di una famiglia di miriadi di oggetti; Padre Angelo Secchi all’Osservatorio del Collegio romano, durante la seconda metà del XIX secolo, inizia il primo studio sistematico degli spettri stellari, dando vita alla nascita della moderna astronomia – lo studio della fisica dei corpi celesti, e non più soltanto delle loro posizioni e moti; Giovanni Virginio Schiaparelli all’osservatorio di Brera a Milano alla fine del secolo esegue le sue famose osservazioni di Marte e scopre la presenza di strutture che la bassa risoluzione delle immagini faceva scambiare per una rete di canali. Inoltre, la prima rivista internazionale di astrofisica era italiana: Le Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani – fondata nel 1872 seguita alcuni anni dopo da quella che è ancora oggi la più diffusa: l’americana Astrophysical Journal.
La prima metà del XX secolo è invece un periodo di profonda decadenza dell’astrofisica italiana, dovuta in parte al fatto che tutti direttori degli undici osservatori astronomici erano matematici, con l’unica eccezione di quello di Firenze Arcetri – Giorgio Abetti – fisico solare, e pertanto facevano svolgere programmi di ricerca ormai obsoleti; inoltre gli osservatori erano strutture monocattedra in cui il direttore aveva pieni poteri, non era tenuto a consultare i suoi collaboratori sui programmi né a tenerli informati sull’entità dei finanziamenti. Ancora l’unica eccezione era Arcetri, dove Giorgio Abetti era persona molto liberale e discuteva di ricerca e programmi con tutti i suoi, a partire dall’ultima ruota del carro che ero io. Durante gli anni ’50 alcuni dei più anziani collaboratori di Abetti vinsero la cattedra portando aria nuova in alcuni osservatori, un altro fisico di Padova dette inizio al rinnovamento presso quella università. Ma intanto cominciavano i movimenti studenteschi, e questo desiderio di libertà, di far sentire le proprie opinioni, di discutere e contestare la casta dei baroni universitari cominciò a farsi sentire anche in quelle chiuse parrocchie che erano stati fino ad allora gli osservatori astronomici. Durante gli anni ’60 io e qualche anno dopo due miei più giovani colleghi vincemmo la cattedra; la casta dei baroni astronomi si era per metà rinnovata e gli ultimi arrivati erano molto più aperti alle istanze di libertà dei giovani. Questi fondarono spontaneamente un’associazione, l’ANRA (Associazione Nazionale Ricercatori Astronomi) che oltre a discutere di quella che avrebbe dovuto essere la futura organizzazione degli osservatori astronomici, organizzava riunioni di gruppi di ricercatori con interessi comuni di ricerca, a cui questi partecipavano a proprie spese. Il comitato fisica del CNR si rese conto dell’importanza di questi tentativi e istituzionalizzò l’ANRA che divenne il GNA (Gruppo Nazionale Astronomia). Il GNA ebbe sempre risorse finanziarie molto modeste, ma che permisero di assegnare i finanziamenti direttamente ai singoli ricercatori in base ai programmi di ricerca presentati e che venivano valutati da esperti di settore democraticamente eletti dalla base. Grazie a questi finanziamenti i giovani ricercatori ebbero modo di riunirsi per discutere e presentare programmi frutto di ampie collaborazioni a livello nazionale, di recarsi per brevi periodi presso i maggiori istituti europei e iniziare collaborazioni a livello internazionale. Così quando durante gli anni ’70 cominciarono ad essere lanciati i primi satelliti per uso astronomico i ricercatori italiani furono in grado di presentare numerosi programmi che vagliati e giudicati da una commissione internazionale, ottennero molto tempo per l’ osservazione. E’ grazie anche e soprattutto alle battaglie di libertà del ’68 se oggi l’astrofisica italiana non soffre di complessi di inferiorità rispetto alle altre scuole europee e americane, e grazie anche a questo sviluppo che l’Italia ha potuto aderire al consorzio europeo per l’emisfero australe, dando così accesso ai nostri ricercatori a quello che è oggi il più grande osservatorio del mondo, dotato di strumentazione d’avanguardia. Un’adesione che durante gli anni ’60 fu fortemente ostacolata dai più vecchi e tradizionalisti direttori di osservatorio, come pure fu ostacolata l’adesione alla rivista europea Astronomy and Astrophysics, nata dalla fusione di alcune delle maggiori riviste nazionali europee di astronomia e astrofisica.
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.