Il Bananiero Capo e la paralisi del Pd

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Dimissioni si, dimissioni no, dimissioni boh. Antonio Di Pietro vuole organizzare “una manifestazione di piazza per chiedere che si vada alle urne. In questo l’Italia dei valori è sola perchè l’opposizione c’è chi la fa e chi la dice e non la fa”. Per una volta, il Partito Democratico ha stupito per la sua prontezza e unanimità; l’inchiostro della sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano non si era ancora asciugato e il politburo del PD già assicurava il Bananiero Capo ad andare avanti. Massimo D’Alema – ma con lui tutto il PD – è stato perentorio: “è sbagliato trarre conseguenze politiche. I governi cadono se manca la maggioranza, non per una sentenza”.

Se l’apprendista stregone D’Alema, già Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli esteri, leggesse i giornali stranieri e chiedesse ai suoi colleghi europei, forse anche lui capirebbe l’ovvio; nelle democrazie liberali è prassi che il politico che ricopre cariche istituzionali (specialmente un primo ministro!) si dimetta quando ha guai con la giustizia.

In Italia si fa una grande confusione tra piano politico-istituzionale e piano giudiziario ma in quelle democrazie liberali, a cui – seppur faticosamente – il nostro paese dovrà pur guardare, i due piani sono distinti e a nessun politico (tantomeno a un primo ministro) passerebbe per la testa rimanere al suo posto mentre ha procedimenti giudiziari gravi in corso.

Il Partito Democratico fa finta di non capire, gira la testa, chiude gli occhi; terrorizzato di tornare alle urne, il Pd – ancora una volta – dimostra di avere più a cuore la sua pancia che il bene della Repubblica. Si moltiplicano intanto gli attacchi ad Antonio Di Pietro e a chiunque parli di dimissioni del Bananiero Capo.

I mezzi d’informazione italiani simularono scalpore quando, un anno fà, i giornalisti trovarono, nel materiale fornito loro dalla Casa Bianca, una biografia del Bananiero dove si leggeva: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.

Se i media italiani – partecipi della “corruzione” e del “vizio” di un sistema corporativo omertoso che nulla ha a che fare con una democrazia liberale – fossero appena un po’ onesti, potrebbero facilmente spiegare all’opinione pubblica che l’Italia è famosa nel mondo per la sua corruzione. Ma c’è un limite a tutto. Ieri il Times di Londra dedicava alla Repubblica delle Banane il suo editoriale principale: “Berlusconi ha portato vergogna su se stesso e il suo paese con le sue azioni sessuali e con i tentativi di evadere i processi. Egli deve ora dimettersi”. Dall’altra parte dell’Atlantico, il New York Times scriveva: “L’era Berlusconi è durata troppo…”

La Repubblica delle Banane è ostaggio di un caudillo senza scrupoli che “scese in campo” per difendere il suo impero CONTRO la legge. L’opposizione democratica è lasciata a partiti minori mentre il PD è allo sbando. La memoria, anche quella recente, non è tra le qualità pubbliche del nostro paese; si leggeva appena qualche mese fà sulla Stampa:

Sostiene Piergiorgio Corbetta, dell’Istituto Cattaneo, che il Pd ha perso un terzo del suo elettorato, più di quattro milioni di voti. E dov’è finito tutto questo tesoretto? «Oltre la metà si è astenuto – spiega sempre Natale -. Circa 800 mila voti sono andati a Di Pietro, mentre il resto è tornato alla sinistra estrema e al partito radicale: questa volta la campagna per il voto utile non è servita».

Cosa farebbe il Partito Democratico che non c’è? Tornerebbe a fare politica e userebbe gli strumenti che la Costituzione repubblicana gli mette a disposizione; presenterebbe in Parlamento una mozione di sfiducia contro il governo del Bananiero, possibilmente insieme alle altre forze dell’opposizione; cercherebbe di riportare il Parlamento al centro della vita pubblica della Repubblica e invece di continuare a lottizzare la RAI e apparire in televisione, denuncerebbe quella televisione e il suo potere eversivo contro le istituzioni repubblicane.

Ma il Partito democratico che c’è è paralizzato, la sua classe dirigente intenzionata a perdere altri milioni di cittadini elettori e a lasciare l’opposizione a Di Pietro e le sorti della Repubblica al Bananiero Capo pur di salvare il proprio orticello insieme alle chiappe, ben salde sulle comode poltrone del potere. E anche questa volta l’Italia si chiama fuori da quell’onda democratica di cambiamento che ha portato Obama prima alla Casa Bianca e oggi al Nobel per la pace.

A noi, sudditi italiani, non ci rimane che il vecchio adagio: chi è causa del suo mal, pianga se stesso

Gabriele Zamparini

P.S. L’Unità intervista Giorgio Bocca:

Non dimentichiamo la sinistra…
«Pelandrona e inconcludente. Di fronte a quanto sta avvenendo non ci si può limitare a dire che Berlusconi deve continuare a governare».

(9 ottobre 2009)



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