Il caso Marina Ripa di Meana e il diritto alla sedazione profonda per non soffrire
Valentina Erasmo
“Fatelo sapere”. Prima di morire, Marina Ripa di Meana ha voluto informare della possibilità, per i malati terminali, di arrivare dignitosamente alla morte nella propria casa, accanto alle persone più care, grazie alla sedazione profonda continua. Una terapia ancora poco conosciuta e che solo grazie alla legge sul biotestamento è diventata davvero diritto di tutti i cittadini. Ecco in cosa consiste.
“Fallo sapere. Fatelo sapere.”
Qual è il messaggio che Marina Ripa di Meana ha affidato alla voce di Maria Antonietta Farina Coscioni e reso noto da Radio Radicale? Eccentrica protagonista del piccolo schermo, stilista e scrittrice, Marina Ripa di Meana si è spenta a 76 anni, dopo 16 lunghi anni di battaglia contro il cancro.
Questo messaggio torna a far riflettere ancora una volta sulle questioni di fine vita, in particolare, sulla legge 38/2010 e sul biotestamento, quest’ultimo approvato grazie all’impegno dell’Associazione Luca Coscioni. L’intento di Marina è stato quello di informare che i malati terminali possano arrivare dignitosamente al momento della loro morte nel territorio italiano, nella propria abitazione accanto alle persone più care, grazie alla sedazione profonda continua. Questa è la strada che le è stata indicata da Maria Antonietta Farina Coscioni, come alternativa al suicidio assistito praticato in Svizzera, scelta da Dj Fabo.
E’ opportuno analizzare possibilità e limiti di questa strada.
In cosa consiste la sedazione profonda e come può essere inquadrato questo trattamento terapeutico? In primis, è opportuno distinguere la sedazione cosciente da quella profonda, trattandosi di due distinti livelli di sedazione.
La sedazione cosciente è quella che viene impiegata in alcuni esami diagnostici che possono risultare dolorosi per il paziente, come la colonscopia, ed è somministrata direttamente dal medico che effettua l’esame (ad esempio, il gastroenterologo). E’ prevista la somministrazione di ipnotici e di analgesici che riducono, fino ad azzerare, il dolore nel paziente durante lo svolgimento dell’esame. Nella sedazione cosciente, il paziente è vigile ed è in grado di interagire con il medico.
Al contrario, nella sedazione profonda, la somministrazione è praticata da un medico anestesista che monitora le funzioni vitali e respiratorie. La sedazione avviene attraverso l’infusione continua di un farmaco che consente di ottenere un livello di rilassamento nel paziente maggiore rispetto alla sedazione cosciente. Nella sedazione profonda, il paziente è addormentato ed è in grado di respirare autonomamente, lo scopo è quello di limitare il più possibile il dolore.
Da questi elementi, si può comprendere come la sedazione profonda continua praticata sui malati terminali non è una forma di eutanasia, che resta proibita in Italia. Come sostiene il Dott. Luciano Orsi, vicepresidente della Società Italiana di Cure Palliative, per la promozione dell’impiego di trattamenti palliativi nei malati terminali, la sedazione profonda continua non va confusa con l’eutanasia poiché:
“diversi sono gli obiettivi, i mezzi utilizzati e i contesti. L’intervento palliativo è un atto terapeutico con cui si vuole liberare il malato dalla sofferenza. L’eutanasia, invece, è la volontà di porre fine alla vita attraverso un farmaco, su esplicita richiesta del malato.” ( TPI news, 07 gennaio 2018)
Inoltre, come si legge nel Giornale italiano di frenologia, sedazione profonda ed eutanasia vanno tenute distinte anche su un piano descrittivo: “come confermerebbero i dati della letteratura internazionale avendo gli stessi dimostrato che la durata media della sopravvivenza dei pazienti sedati in fase terminale non differisce da quella dei pazienti non sedati”( Cembrani, 2017).
Entrando nel dettaglio, emerge la problematicità di questo trattamento: la sedazione profonda continua (chiamata in ambito medico, sedazione profonda continua nell’imminenza della morte) impiegata nei malati in stadio avanzato e terminale, vede l’impiego di farmaci sedativi, ma non di morfina. Ci sono due posologie alternative che possono essere praticate: se il paziente lamenta dolore, difficoltà nella respirazione e delirio, con disturbi crescenti, i sedativi saranno somministrati in maniera progressiva. Altrimenti, nel caso di principio di soffocamento o di emorragia interna o esterna, si procederà con una somministrazione rapida dei sedativi al fine di rendere il paziente incosciente.
Questo significa che nella fase di somministrazione progressiva dei sedativi, il paziente non è in stato di incoscienza, in quanto questo stato si verifica solo nel procedimento di somministrazione rapida. Fondamentale è il rapporto medico-paziente: quest’ultimo può sperare nella sedazione profonda con somministrazione rapida dei sedativi solo sulla base di un rapporto di fiducia precedentemente instaurato con il suo medico.
Difatti, la somministrazione rapida dei sedativi viene praticata molto raramente, in quanto il personale medico che opera sia nelle strutture pubbliche che nelle società private di assistenza domiciliare, rifiuta di praticarla onde incorrere in accuse di eutanasia. Oltre alla rarità della pratica di questo trattamento sul malato terminale, il problema economico: la maggioranza dei palliativisti operano in costose strutture cliniche private presenti nel territorio italiano, lasciando così molti pazienti senza la possibilità di fruire di questo servizio sanitario.
L’aumento della medicina palliativa e della terapia del dolore in Italia sono relativamente recenti e le disposizioni in merito sono risalenti alla legge 38/2010, circa le disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Questa legge ha fatto sì che questo genere di cure siano sì diventate un diritto del cittadino, ma non tutti questi trattamenti sono stati effettivamente erogati e resi disponibili pubblicamente dal 2010.
Prima di Marina Ripa di Meana, Dino Bettamin è stato forse il primo in Italia a sottoporsi alla sedazione profonda nel febbraio 2017, dopo una lotta di cinque anni con la Sla. Il 70enne ex macellaio di Montebelluna, nel trevigiano, è stato seguito dal personale medico sanitario di una società privata di assistenza domiciliare. Il caso di Bettamin ha fatto molto discutere per tentare di comprendere le reali conseguenze del ricorso alla sedazione profonda continua sul quadro clinico del paziente. Difatti, il paziente è morto dopo pochi giorni dall’inizio del trattamento, ma ciò è riconducibile alla fase terminale della patologia, così come hanno tenuto a precisare l’Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e la Federazione Cure Palliative, non si trattava di eutanasia come molti hanno sostenuto (Calabrò, 2017).
Accanto alla difficoltà di accesso a queste cure, c’è il fatto che 2 italiani su 3 ignorano persino l’esistenza della legge 38/2010, così come è emerso dai dati dell’indagine condotta dall’Osservatorio volontario per il monitoraggio della terapia del dolore e delle cure palliative da parte della Fondazione Gigi Ghirotti. Su 13.374 schede compilate da pazienti e familiari, il 63% degli intervistati non ne è a conoscenza dell’esistenza della medicina palliativa.
Solo il 35% dei medici indirizza i propri pazienti presso i centri di terapia del dolore presenti nel proprio territor
io. Tra i pazienti affetti da dolore cronico, circa il 45% vive da più di 6 mesi senza trovare alcuna soluzione, mentre circa 17% non trova rimedi funzionali alla riduzione del dolore da più di 5 anni (Fondazione nazionale Gigi Ghirotti, 2017).
Un passo in avanti rispetto alla legge 38/2010 è stato visto nella legge sul biotestamento. Come osserva Carlo Troilo, questa legge e l’impegno dell’Associazione Luca Coscioni potranno far sì che sedazione palliativa profonda continua potranno diventare un diritto di tutti i cittadini, nonché un dovere per tutte le strutture sanitarie senza obiezioni di coscienza (Troilo, 2018). La legge sul biotestamento ha contribuito a evitare che il caso Marina Ripa di Meana suscitasse lo stesso clamore sollevato da quello Bettamin, ma non scioglie le problematicità connesse a questi trattamenti, che non risultano così facilmente disponibili al paziente.
Queste problematicità sono riconducibili al fatto che molti medici evitino ancora di praticare la sedazione profonda con somministrazione rapida per non incorrere in possibili accuse di eutanasia, oltre che all’onerosità delle cure palliative e delle terapie del dolore, principalmente erogate da strutture cliniche private o da società private che offrono assistenza domiciliare domestica.
La strada è ancora lunga da percorrere per la conquista dell’autentica libertà del malato sullo scegliere come morire.
La sua ultima battaglia è un passaggio del testimone per tutti noi.
Ciao, Marina.
Riferimenti bibliografici
Calabrò Maria Antonietta, Eutanasia, il caso Bettamin non smuove il Vaticano. I parlamentari cattolici alzano il tiro contro l’accordo Pd-M5s sul fine vita, Huffington Post, 16/02/2017.
Cembrani F., La sedazione palliativa profonda continua nel Parere approvato dal Comitato nazionale per la bioetica italiano il 29 gennaio 2016 (sedazione palliativa profonda), Giornale italiano di Frenologia, https://giornaleitalianodinefrologia.it/wp-content/uploads/sites/3/pdf/GIN_A33V6_00248_18.pdf.
Fondazione nazionale Gigi Ghirotti, La nostra legge 38: un bilancio. Per combattere il dolore e dar voce a chi cerca sollievo, 2017.
TPI news, Il diritto di dormire per non soffrire: la sedazione profonda non è eutanasia, 07 gennaio 2018.
Troilo Carlo, Marina Ripa di Meana è morta con dignità anche grazie alla legge sul biotestamento, il Fatto quotidiano online, 8 gennaio 2018.
(9 gennaio 2018)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.