Il commento di Angelo d’Orsi
di Angelo d’Orsi
Ferruccio De Bortoli è un giornalista. Uno dei pochi, in un paese di migliaia di tesserati dell’Ordine (ente inutile e corporativo). Ed è una persona perbene. Torna al “suo” Corriere, dopo un’assenza seguita a un desideratum espresso dall’allora e tuttora presidente del Consiglio. Nell’interregno, dopo la breve direzione Folli, alla tolda di comando ritornò Mieli: di cui De Bortoli oggi non esita a dichiararsi, nel messaggio alla redazione del 7 aprile, “allievo”. Contento lui. Mieli, colui che ha insegnato che non conta il fatto, ma la notizia. Al di là di tutto il resto, può essere maestro di giornalismo chi la pensa così? Eppure Mieli è un intellettuale, un accademico mancato, per scelta, non certo per mancanza di requisiti: il professore universitario ha uno status, un potere e un reddito, n-volte inferiore a quello di un giornalista, figurarsi di un giornalista in carriera come lui, già discepolo di Renzo De Felice, è stato fin da subito. E Mieli, nella sua ultima gestione, ha fatto del Corriere un luogo che pare lontanissimo da quello irenico descritto da De Bortoli: questi ne ha parlato come di un “simbolo della civiltà laica”. Ebbene, mai come negli ultimi anni il quotidiano di via Solferino ha clamorosamente, mestissimamente, abdicato a quella bandiera, che è bandiera connaturata all’etica liberale, di cui tanto Mieli, quanto De Bortoli si dichiarano fervidi seguaci. Un giornale che ha fatto ascendere l’astro di Magdi (“Cristiano”) Allam – giunto al ruolo di vicedirettore ad personam –, può dirsi laico e liberale?
De Bortoli parla di continuità: ebbene o si tratta di frasi di circostanza, oppure mi dichiaro fermamente deluso. Il Corriere è diventato negli ultimi anni una sentina di pessimo giornalismo (chiacchiericcio, pettegolezzo, e vera e propria paccottiglia che se fosse televisiva finirebbe su “Blob”), ma contemporaneamente è stato una trincea in cui la civiltà liberale, razionalistica, laica e tollerante (tutti princìpi implicitamente o esplicitamente evocati dal neodirettore designato) ha fatto seppuku: si è lasciata travolgere da intolleranza, faziosità, clericalismo, e persino papismo. Senza contare che anche il giornalismo d’inchiesta di cui non di rado il giornale è stato protagonista storico, ha tralignato: e i Gian Antonio Stella (con tutti i meriti che vanno riconosciuti a cronisti siffatti) si sono impancati, tra qualunquismo e populismo, a opinion leaders, andando spesso fuori del seminato, tradendo le buone intenzioni alla luce di indagini spesso frettolose, o semplicemente trinciando giudizi (un’occupazione essenziale tra gli opinionisti che non ritengono di dover argomentare né dimostrare quello che sentenziano sulla prima, da Sartori a Pigi Battista, da Galli della Loggia a Panebianco…).
E che dire delle pagine culturali? Dove imperano mediocri che hanno fatto dell’uso politico della storia, in senso iper-revisionistico, e sovente decisamente “rovescistico”, la loro casamatta. Con una vera ossessione anticomunista, che colpisce una tradizione che da Gramsci va a Togliatti, et ultra (magari al primo qualcosa si può perdonare in quanto ucciso dal fascismo, e magari si accredita oggi, come trent’anni fa e come cinquant’anni fa, una fantomatica “conversione” a Santa Romana Chiesa): il secondo no, il secondo è l’origine di quasi tutti i mali della storia presente, vicini e lontani. E al Corriere non par vero, da anni, anche al Corriere pre-Mieli, tirare ogni settimana qualche scheletro fuori dell’armadio del comunismo e sbatterlo in pasto ai suoi avidi lettori (avidi, ma davvero così interessati?): e se poi lo scheletro si scopre essere di cartapesta, poco importa. La notizia è passata. Lo “scoop”, del resto, mica dev’esser “vero”. Deve essere efficace. Verosimile. Anche se fondato su falsi documenti, su notizie incontrollate, su dicerie, e argomentato con vistosi pregiudizi.
Certo, De Bortoli parla di dialogo, di pluralismo, di confronto: e allora i Galasso o i Canfora (a cui del resto si concede ben poco spazio, mentre un Luzzatto pare essere già stato messo alla porta), dovrebbero dimostrare quell’assunto, ma sommersi come sono nel resto, ben poco possono “equilibrare”. E, in ogni caso, la storia (mi limito al mio campo di competenza specifica) non ha bisogno di opinioni. La storia è una disciplina “scientifica”, anche quando la si pratica sui giornali.
De Bortoli è abbastanza onesto da accennare all’importanza di “riconoscere i nostri errori”: bene. Lo faccia il suo Corriere, ogni volta che occorre. E noi torneremo a comprarlo e leggerlo ogni sana mattina in cui il sole sorge: anche un pallido e avaro sole, misto alla polvere di quel cemento disarmato, che ha così aspramente provato la cara terra d’Abruzzo.
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