Il crocifisso e la zucca

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di don Raffaele Garofalo

Le cronache dei missionari pionieri in Africa narrano che ogniqualvolta i religiosi mostravano il crocifisso agli indigeni, costoro fuggivano terrorizzati. Con tutta probabilità i “primitivi” di Claude Lévi-Strauss si chiedevano chi mai fossero quei “selvaggi”compiaciuti nel mostrare loro un uomo sottoposto ad un simile supplizio! E’ probabile che davanti ad una “zucca di Halloween”avrebbero riso bonariamente. L’occhio e la mente assuefatti impediscono a noi di capire lo scandalo avvertito dagli estranei, ciò avverrebbe solo se si mostrasse nelle nostre chiese un uomo che pende da una corda o decapitato o carbonizzato su una sedia elettrica.

Uno Stato laico non dovrebbe imporre la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, né favorire l’insegnamento di una sola religione nelle scuole pubbliche. Una disciplina rispettosa della laicità e del pluralismo sarebbe possibile solo con lo studio della Storia delle religioni o del fenomeno religioso in sé. I docenti, di qualsiasi fede o di nessuna, accederanno all’insegnamento muniti di titoli specifici conseguiti presso Università di Stato e nominati dal Ministero per concorsi e graduatorie. Padre Ernesto Balducci, anima magistralmente cristiana e laica, affermava che l’azione educativa deve essere non confessionale, “diviene naturalmente evangelica” quando essa è capace di rendere autonome persone prima subalterne. Don Milani, maestro ed educatore, uomo di fede, non esponeva il crocifisso sui muri della scuola di Barbiana.

La sentenza di Strasburgo offre lo spunto per una riflessione che vada oltre l’evento e ponga l’attenzione sul valore stesso del simbolo identificativo dei cristiani. Paolo di Tarso, per primo, enfatizza il significato della croce, dando origine a quella “teologia sacrificale” per cui un Dio offeso avrebbe preteso una “riparazione adeguata” facendo immolare il Suo stesso Figlio. E’una concezione della divinità non lontana da quella pagana secondo cui gli dei si placano con sacrifici, fino allo spargimento del sangue umano. Lo stesso Paolo, tuttavia, afferma che il punto di forza del Cristianesimo, ciò che lo contraddistingue facendone una religione “vera”rispetto alle altre “false”, è la Risurrezione di Cristo, la vittoria sulla morte, prova inconfutabile della sua divinità. “ Se Cristo non è risorto vana è la nostra predicazione, vana la vostra fede” ( I Cor. 15, 14).

La crocifissione e la morte del Messia caratterizzano quindi una situazione di passaggio nella economia della salvezza cristiana. Una teologia “masochistica” ha privilegiato, invece, il momento sacrificale transitorio della croce più che il messaggio definitivo della Risurrezione. Per i credenti l’esaltazione andrebbe rivolta non al Cristo crocifisso ma al Cristo risorto: al posto di quel simbolo di morte, dovrebbe campeggiare nelle chiese la figura del Maestro vivo e accogliente, per una teologia della vita, non della morte.

Per i non credenti il crocifisso simboleggia, laicamente, la sofferenza, l’eroismo di cui sa rendersi capace l’”uomo” per riscattare il suo simile. Si pensi alle croci disseminate lungo la via Appia, dopo la rivolta che Spartaco guidò per ridare dignità ai suoi uomini; si considerino i martiri delle lotte di liberazione che la Storia enumera. La croce si fa emblema della redenzione umana degli oppressi. Sapere che un uomo-dio fu giustiziato con l’accusa di “sobillatore” contro il potere rende più accettabile, anche a chi non crede, il “farsi uomo”di Cristo, il generoso gesto d’amore.

Crea turbamento, invece, un crocifisso che voglia esprimere la “riparazione” pretesa da un Dio non disposto al perdono gratuito ( nei suoi limiti, l’uomo…ne è capace!), un Dio geloso del fatto che la creatura voluta a Sua immagine e somiglianza aspiri a diventare come Lui.

Il volto di Dio va cercato nell’intimo dell’uomo, per questo l’Ebraismo ne proibisce la visione e ogni umana rappresentazione. Un crocifisso ricoperto di polvere stratificata, appeso a mo’ di suppellettile in disuso, non rende più cristiano nessuno, può renderci invece pericolosamente farisei: la croce di Cristo è in bella mostra anche nei nascondigli dei mafiosi! Il proselitismo cattolico fa largo uso di immagini e gesti che rasentano la superstizione mentre si trascura che il messaggio cristiano passa quando la Parola si fa vita vissuta.

I nostri devoti governanti possono professare la loro fede risolvendo i problemi di chi è inchiodato alla mancanza di lavoro, alla precarietà. La Chiesa, da parte sua, per preservare la libertà di un annuncio evangelico credibile, è chiamata alla testimonianza. Se davvero i cristiani rappresentano “il lievito”, di cui parla il Vangelo, avranno la loro efficacia solo “in mezzo alla massa”, nella scuola dello Stato, rinunciando alle continue richieste di denaro pubblico per le loro istituzioni di élite. Il governo rispetterà le “radici cristiane”del nostro Paese quando abolirà le leggi razziste del “respingimento”, del reato di clandestinità, per una accoglienza civile e dignitosa degli immigrati, attuali crocifissi sulle carrette della disperazione, schiavizzati da un mondo pagano fermamente legato ai suoi simboli senz’anima.

Sotto lo sguardo di un crocifisso, e di sacre immagini, siamo capaci di compiere le azioni più orrende: dalle violenze perpetrate tra le mura domestiche, alle ingiustizie commesse nelle aule dei tribunali, negli uffici, nelle scuole, perfino nelle chiese. In nome di un simbolo sacro divenuto “arredo” si varano leggi razziste, si benedicono armi, si perpetrano massacri, si decidono guerre.

In Francia, in Germania, in Inghilterra e in molte altre nazioni, rispettose del Vaticano ma libere da “servilismo”, si ha la coscienza che nelle sedi amministrative, negli istituti scolastici, si rende un servizio pubblico non confessionale, si fa cultura non professione di fede. I cristiani per primi dovrebbero riconoscere l’importanza di uno studio approfondito del fenomeno religioso che favorirebbe scelte più consapevoli, vanificando ogni pericolo fondamentalista. Introdurre nelle scuole l’insegnamento graduale di altre religioni, come si sta proponendo, è rabberciare una stoffa ormai logora, un voler fornire conoscenze a comparti stagno che esalterebbero l’aspetto negativo delle differenze anziché valorizzarne la ricchezza.

Il “catechismo” somministrato nelle scuole difficilmente crea convinzioni radicate, è destinato a favorire spesso, se non il rifiuto, l’indifferenza religiosa per una intera vita. Il confronto con culture diverse, con altre maniere di concepire la fede sarebbe un valido supporto alla formazione di una società futura basata su una serena convivenza, renderà più agevole ricercare, mettere a confronto e condividere valori comuni, scongiurerà il pericolo di nuove guerre di religione, di “scontri di civiltà”. Uno Stato che non sia miope e si senta responsabile di una crescita armoniosa delle generazioni future, dovrebbe impegnarsi in tale direzione. La Chiesa non deve sentirsi minacciata da una pluralità di voci accomunate da valori condivisi, diffiderà invece di una religiosità sbandierata, destinata ad essere sistematicamente smentita da comportamenti privati e pubblici.

In Italia il crocifisso “deve restare” appeso alle pareti, per volontà unanime:
non si intrometterà nelle vicende private e pubbliche dei cittadini e dei governanti! Resti al suo posto, inchiodato, è lì che lo si vuole! Non invadente, innocuo. Per queste ragioni fu messo a tacere dal Sinedrio e da un tribunale romano.

(16 novembre 2009)

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