Il crocifisso e l’assalto clericale alla Costituzione

Michele Martelli

Che c’entra il crocifisso con la Costituzione italiana? Niente. Almeno da quando, con la revisione concordataria del 1984, firmata, bontà sua, anche dalla Chiesa/Stato Vaticano, è stato rivisto il compromissorio e contraddittorio articolo 7, e cancellata la formula, risalente al Concordato del 1929, del cattolicesimo «sola Religione di Stato». Da allora, come ha deliberato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 203 del 12 aprile 1989, lo Stato italiano è, dovrebbe essere a tutti gli effetti, uno Stato laico, e non confessionale, e tantomeno cattolico: «Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale».

Se in Italia si rispettasse la legalità costituzionale, se laicità, pluralismo, spirito, stile e regole della democrazia costituzionale fossero diventate senso comune, chi discuterebbe più di crocifissi nei tribunali, nelle scuole, nelle aule consiliari e nei luoghi pubblici? E invece sì. Ne discutiamo. Perché viviamo in un paese che è tuttora il cortile di casa del Vaticano. Tale perlomeno è concepito non solo dalla Curia romana, ma anche dai governanti di centrodestra, senza spina dorsale, sempre pronti e proni ad esaudire i sacri desiderata di Cei e Vaticano (dal potenziamento delle scuole private al biotestamento). E poiché in Italia, dai tempi in cui Berta filava, chi comanda fa il bello e il cattivo tempo, tanta è l’indifferenza qualunquistica di gran parte della gente (“chi se ne fotte”, “questo e quello per me pari sono”), non c’è da meravigliarsi che si vadano moltiplicando a raggiera episodi e fenomeni regressivi, da vecchia medievale Christianitas in restauro.

E sono già tanti, troppi. Possiamo citare le dichiarazioni croce-leghiste dell’ex pagano celtico e viceministro Castelli (“Proporremo di inserire la croce nella bandiera nazionale”) e quelle del suo collega di partito ministro Maroni (soddisfatto del no svizzero ai minareti; non pensava che quel no avrebbe provocato, per ritorsione, la minaccia jihadista di Gheddafi contro la Svizzera?). O possiamo ricordare il trasporto amoroso di Berlusconi per la Chiesa (“Contro la Chiesa in Italia non si governa”: meglio quindi governare “con”, anzi “sotto, sottomessi alla Chiesa”?) e la sua ansia di ottenere il perdono, per le sue “birbanterie” con le escort, dal cardinal Bertone, segretario di Stato vaticano, alla Festa aquilana della Perdonanza, sotto i riflettori di stampa e tivvù (Palazzo Chigi varrà pure un baciamani!). O il ricorso del governo di Sua Maestà di Arcore contro la sentenza della Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo sulla rimozione del crocifisso dalle aule delle scuole pubbliche italiane (“Quei giudici devono morire”, è stato il commento del ministro La Russa; intendeva: magari con un incursione della X Mas, se ci fosse?).
L’Italia filo clericale, invaticanata, contro l’Europa laica e secolarizzata.

Alla Corte di Strasburgo ha dichiarato di volersi appellare Luigi Tosti, il “giudice anti-crocifisso” (rifiutò tra il 2005 e il 2006 di svolgere le udienze nell’aula del tribunale di Camerino sovrastato da un crocifisso), recentemente espulso dal Csm, pur essendo stato già assolto dalla Corte di Cassazione. Dunque un giudice di una Repubblica laica deve essere costretto a emettere sentenze col crocifisso appeso alle sue spalle? Non a caso Tosti ha definito il processo del Csm «degno della migliore Santa Inquisizione della Chiesa cattolica». Camerino è in provincia di Macerata. Sapete che cosa ha deliberato la maggioranza di destra del consiglio provinciale? L’esposizione in permanenza del crocifisso nella sala consiliare. “Cronache maceratesi” ha avviato un sondaggio. I risultati? Al 22 gennaio 2010: su 70 votanti, 57/% sì, 47% no. A San Severino Marche (Macerata) in consiglio comunale è stato votata una “mozione sul crocifisso” che ne obbliga l‘ostensione in tutti gli uffici pubblici. Un’altra spia di un’Italia poco laica e molto clericale. Se così è, i laici hanno davvero molto da lavorare.

Ancora più eclatante la notizia che arriva da Pescara, dove è stata vietata l’affissione di un manifesto dell’Uaar, ispirato alla citata sentenza della Corte di Strasburgo. Vale forse la pena di riportarne per intero il brevissimo testo: «Crocifisso a scuola? No, grazie. Le aule non sono chiese, le cattedre non sono altari. I diritti umani vanno rispettati sempre, al di là delle fedi religiose o politiche». In un paese civile d’Europa sarebbe un’ovvietà. Non lo è per il sindaco di destra di Pescara, Luigi Albore Mascia, che, «come Amministratore e come cristiano», sente il dovere di tutelare «la credibilità di un simbolo storicamente condiviso dall’intera cristianità» (Nota giustificativa del 23 dicembre 2009, a firma del Mascia). Non contento di accennare ad una fantagiuridica configurazione di reato di vilipendio della religione, si appella all’art. 19 della Costituzione, che sancisce per tutti il «diritto di professare liberamente la propria fede religiosa» e di «esercitare in privato e in pubblico il culto».

Che cosa c’entra l’art. 19 col divieto d’affissione? E poi, se c’è libertà religiosa, non c’è anche libertà per chi religioso non è? E perché un sindaco dovrebbe confondere la sua funzione pubblica con le proprie convinzioni religiose private? E perché trattare come cittadini di serie B i non credenti? Se per ipotesi il sindaco Mascia non fosse cattolico e credente, ma ateo o agnostico, sarebbe per questo autorizzato a discriminare i credenti? No, la Costituzione non glielo consentirebbe: atei, agnostici o credenti di qualsiasi fede, tutti hanno uguale diritto alla libertà d’espressione.
Ecco perché i crocifissi sono simboli di parte se esposti nei luoghi pubblici. Ciò che è pubblico è di tutti, non di una parte, fosse anche maggioritaria.

Questa è laicità. Il resto è clericalismo. E per giunta incostituzionale.

(26 febbraio 2010)



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