Il diritto alla vita e il diritto alla morte
di don Raffaele Garofalo
La morte appartiene alla vita diceva Eluana. Nella cultura cristiana la morte è addirittura definita “il giorno della nascita” alla vera vita. L’uomo alterna un attaccamento radicale all’esistenza con la forte tentazione, a volte, di rifiutarla quando è preda della disperazione o animato da una Speranza ulteriore. Nel Satiricon di Petronio, la Sibilla, avvilita, a coloro che le chiedono quali siano le sue aspettative, risponde esprimendo il “desiderio di morire”. Anche Paolo di Tarso manifesta uguale voglia di annientamento ma per unirsi a Cristo: “dissolvi et esse cum Christo” (Fl, 1,23). Il desiderio della morte come ricongiunzione al Maestro e le speranze e i timori legati al Millenarismo attraversano tutta la storia del Cristianesimo. A quanti non hanno gli occhi della Fede molti asceti, in fuga da “questa valle di lacrime”, appaiono affetti da vera pulsione di morte. Se Filippo Neri attraversava le strade di Roma, si racconta, gridando la sua gioia per “il bene che mi aspetto…”, un più pensoso Davide Maria Turoldo, religioso e poeta, in un verso recita la sua preghiera di rivolta: “E tu, o Dio, condannato ad esistere e noi a morire.”
Il caso di Eluana ripropone una riflessione sul senso della vita, di quando essa possa essere ritenuta tale; se si possa o si debba lasciare alla malattia di fare il suo corso; se sia legittimo decidere della propria sopravvivenza di fronte ad una “vita” che tale più non può definirsi, crocifissi in un letto di morte anticipata, senza pensare, parlare, provare emozioni, pregare. La battaglia del signor Englaro ripropone il problema della urgenza e della necessità di una legge sul testamento biologico che permetta di disporre delle proprie volontà. Sono interrogativi che si pongono alla coscienza di ognuno ma ai quali certamente non si può dare una risposta definitiva e gravosa come quella dell’intervento del card. Bagnasco, del nuovo segretario della CEI e delle posizioni impietose di certa stampa cattolica. I vescovi hanno affermato di “non poter tacere” sulla drammaticità della sentenza che autorizza l’interruzione dell’alimentazione artificiale e di “togliere le mani assassine” da Eluana. In molte nazioni dove esiste la pena capitale la Chiesa non è altrettanto drastica nella condanna né zelante nel difendere la vita umana. Non si è parlato di “mani assassine” per i massacri di civili in Irak o a Gaza. Di fronte alle vere “potenze” del male che scatenano le guerre il Vaticano abbassa i toni dell’accusa e si rifugia nella preghiera. Il padre di Eluana ha insistito nel voler salvaguardare la volontà della figlia e più volte ha invitato la Chiesa, quando proclama i “suoi” principi, ad una maggiore riflessione, coerenza e al rispetto delle leggi di uno Stato laico. Dopo aver lottato e sofferto per 17 anni, Beppino Englaro ha chiesto di “fare in modo che la natura riprenda il suo corso che è stato interrotto da protocolli rianimativi che hanno portato Eluana allo stato vegetativo permanente: una condizione innaturale…clinicamente creata e dalla quale clinicamente se ne deve uscire.” Anche papa Wojtyla ha rifiutato terapie ormai inutili. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto dall’allora card. Ratzinger, al capitolo “Il rispetto per la vita umana”, 2278, recita: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all‘’accanimento terapeutico’. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”. Sembra che Ratzinger abbia scritto queste parole pensando a Eluana. Il segretario della Cei e i vescovi avranno letto il Catechismo di Benedetto, come certamente lo avrà fatto papa Wojtyla… Appaiono illuminanti le parole di don Gino Rigoldi sul Corriere della Sera del 15 luglio 2008: “L’essere cristiani non è lanciare anatemi, farsi portatori di massimalismi, scegliere per forza di stare dalla parte del bianco oppure del nero. Nel caso di Eluana ci troviamo davanti ad un dramma di una delicatezza assoluta. Il Vangelo non è un’arma da taglio”.
(4 febbraio 2009)
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