Il diritto all’eutanasia anche per chi ‘è stanco della vita’

Carlo Troilo

Olanda e Oregon vanno in questa direzione, mentre in Italia si evocano Hitler, Mengele e la loro “eutanasia”.

Nei giorni scorsi ho partecipato, in rappresentanza della Associazione Luca Coscioni, ad un convegno tenutosi a Genova per iniziativa degli esponenti liguri di “Possibile”, il partito che fa capo a Pippo Civati (notoriamente favorevole alla eutanasia, come l’on. Beatrice Brignone, che ha accompagnato fino alla morte Max Fanelli e che ha preso parte al dibattito).
Fra i partecipanti, il prof. Franco Henriquet, medico palliativista e presidente della Associazione Gigi Ghirotti (il giornalista che narrò in TV la propria lotta con il cancro).

Nel mio intervento, ho raccontato del suicidio di mio fratello ed ho spiegato che Michele (cui mancavano pochi giorni di vita) non si uccise per le sofferenze fisiche ma per un episodio di incontinenza che lo obbligò a farsi lavare dalla sua infermiera e a indossare un pannolone. Michele, che teneva in modo assoluto alla propria dignità, all’alba si gettò dal quarto piano (come faranno qualche anno più tardi, per ragioni analoghe, Monicelli e Lizzani) per non dover soffrire più a lungo una umiliante condizione di sopravvivenza.

Ho poi parlato dei 1.000 malati che si suicidano ogni anno – criticando l’Istat per aver eliminato, dal 2012, la voce “movente” dalle sue tabelle sui suicidi – e dei 20mila casi di eutanasia clandestina che si verificano ogni anno in Italia, secondo uno studio approfondito dell’Istituto Mario Negri, presieduto dal prof. Garattini. Sono queste – a mio parere – due delle ragioni più forti fra quante legittimano la richiesta di legalizzare l’eutanasia.

Conoscendo per fama il prof. Henriquet, sono rimasto stupito e addolorato da alcuni punti della sua replica al mio intervento:

–    L’eutanasia clandestina praticamente non esiste: si tratta solo di desistenza terapeutica. Nessuna replica ai casi da me citati di eutanasia praticata in modo attivo anche in strutture cattoliche

–    Nessun malato terminale ha mai chiesto a Henriquet o ai suoi collaboratori di aiutarlo a morire

–    I suicidi non sono mai dovuti alle sofferenze fisiche e psichiche dei malati. Per le prime, bastano le cure palliative; per le seconde, serve l’attenzione dei medici, assieme all’amore e alla vicinanza dei familiari

–    Riferendosi (ma forse in quel momento era sovrappensiero) a quanto da me raccontato del suicidio di Michele, ha anche fatto dell’ironia: sarebbe assurdo dare l’eutanasia a chiunque rifiuti il pannolone.

Già queste affermazioni di Henriquet mi avevano fortemente innervosito. Ma – a completare il quadro – un medico (se ho ben capito la sua qualifica) in sala è intervenuto e ha detto che ci si dovrebbe sempre ricordare, quando si parla di eutanasia, degli esperimenti di Hitler e dei suoi medici.

“ll Presidente – ho detto – dovrebbe impedire che si trattino da nazisti i sostenitori della eutanasia”. Ma a quel punto il convegno era finito e gli spettri di Hitler e di Mengele hanno continuato ad aleggiare fra noi.
Nelle ultime battute della discussione i miei “oppositori”, a mio avviso, si sono lasciati prendere dal nervosismo arrivando a dire: “Se proprio non vogliono più vivere, non costringano i medici ad aiutarli, si suicidino”. Dunque, altro che “morte degna”. Morte indegna.

Come tutti i vecchi combattenti per i diritti civili (con Fortuna dal 1972 e ancora nel 1985, quando egli presentò la prima pdl sull’eutanasia) sono abituato ad essere contraddetto anche vivacemente nei dibattiti su temi delicati come l’eutanasia. Potrei dire, come Clark Gable in “Via col vento”: “Francamente, me ne infischio”.

Le ragioni per cui non lo faccio sono tre:

–    La prima è la preoccupazione di vedere quanti medici coraggiosi, onesti ed impegnati per una vita a curare i malati, come il prof. Henriquet, commettono – a mio parere – l’errore di considerare il loro lavoro come capace di risolvere tutti i problemi ed anche di impedire che nel malato terminale possa sorgere il desiderio di accelerare la fine delle proprie sofferenze (che possono essere solo o prevalentemente psicologiche: non dico “psichiche” per non cadere nella trappola di chi sostiene che chi si suicida “è pazzo e basta”)

–    La seconda è il desiderio di richiamare l’attenzione dei medici (le cui prese di posizione saranno di importanza risolutiva quando si giungerà a discutere davvero, e non per finta, di eutanasia in Parlamento) sul fatto che essi non dovrebbero accettare che qualche loro collega si allinei alle posizioni – tuttora dominanti nelle gerarchie ecclesiastiche – secondo le quali chi sostiene l’eutanasia lo fa solo per liberare la società dal peso dei vecchi inutili e costosi (non lo ha detto qualche prete estremista e sconosciuto ma pochi giorni addietro monsignor Paglia, nuovo presidente del Pontifico Consiglio per la Famiglia, in un libro sulla eutanasia) (1)

–    La terza è lo sconforto che talora mi prende quando vedo persone favorevolissime alla eutanasia mostrare uno scetticismo totale sulla possibilità che un giorno si arrivi alla sua legalizzazione ed arrivare a dire: “Tanto, in Italia la regola è <si fa ma non si dice>, per cui in caso di necessità ricorreremo anche noi alla eutanasia clandestina”.

Al prof. Henriquet e ai medici che per avventura leggessero questa mia nota voglio far presente che l’Italia non solo è l’unico paese occidentale a non avere una legge sulle DAT ma è certamente il più arretrato anche sul tema della eutanasia. Infatti, non è vero che solo i paesi del Benelux hanno legalizzato la “dolce morte”. Per brevità non elenco i paesi del mondo in cui in varie forme si consentono o “si tollerano” l’eutanasia o il suicidio assistito. Segnalo invece – anche perché confermano le mie convinzioni di sempre sulla necessità di considerare “aventi diritto alla eutanasia” non solo i malati terminali – due importanti novità:

–    La proposta dei ministri della Salute e della Giustizia al Parlamento olandese – dove c’è una larga maggioranza aperta su questo tema – di concedere l’eutanasia non solo ai malati terminali ma anche “ai vecchi che non hanno la possibilità di continuare la vita in modo pieno di significato, che lottano con la perdita di indipendenza e la ridotta capacità di movimento, afflitti dalla perdita della persone più care e che vivono sotto il peso di una crescente fatica, deterioramento e perdita di dignità”

–    Il prossimo voto sulla legge dello Stato dell’Oregon che mira a legalizzare l’eutanasia non solo per i malati terminali ma per tutti coloro chi non sono più in grado di svolgere attività “che rendano la vita godibile”.

–    Una recente ricerca USA da cui risulta che solo il 30% di quanti chiedono l’eutanasia lo fa per dolori insopportabili o per la inadeguatezza delle cure palliative ad eliminarli. La maggioranza dei richiedenti è semplicemente “stanca della vita”.

Dunque, al di qua e al di là dell’Oceano, i tabù cadono e almeno una parte della umanità potrà sperare in quella “buona morte
” che già i grandi pensatori greci e latini consideravano come uno dei diritti fondamentali dell’uomo.
Poi, purtroppo, venne Cristo (che aveva pietà per gli umani, e non a caso fu crocifisso) e dopo di lui la feroce Chiesa Cattolica.

(1) Mario Riccio – che su questo tema ha molta esperienza, mi ha mandato questa annotazione: “Per quanto riguarda la tesi secondo cui l’eutanasia sarebbe introdotta per motivi economicistici, io oppongo sempre il ribaltamento della tesi: chi mi dice che tu non ti opponi all’eutanasia per difendere un sistema che mantenendo in vita tutti in tutte le condizioni sostiene l’interesse economico di alcuni in sanità ? Tra cui gli stessi palliativisti estremisti?

(18 ottobre 2016)



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