Il diritto di manifestare contro il fallimento del liberismo
Giorgio Cremaschi
Solo poche settimane fa sono scese in piazza centinaia di persone qua e là per negare la gravità del virus e protestare contro la dittatura sanitaria. Il palazzo ed i mass media hanno enfatizzato queste proteste, usandole come controprova della razionalità e della efficienza di chi governa. In realtà terrapiattista si è rivelata proprio una intera classe dirigente, politica economica, che dopo la prima ondata di marzo ha creduto che tutto fosse finito, ha ascoltato chi annunciava che il virus era clinicamente morto e ignorato chi affermava l’esatto contrario.
La classe dirigente non ha predisposto nessuna difesa contro la seconda ondata della pandemia e nessuna misura economica e sociale adeguata, tanto è vero che alla Confindustria era stata già concessa la fine del blocco dei licenziamenti. La malattia non c’è più, la ripresa è in atto, è andato tutto bene e andrà anche meglio perché siamo i migliori. Questo il messaggio reale sparso e reti unificate nei mesi estivi dal sistema. Che il brutale risveglio da questo sogno idiota provochi rabbia inconsulta in chi più ci aveva creduto, è assolutamente comprensibile. Non è comprensibile e accettabile invece la reazione inconsulta, improvvisata e inadeguata delle pubbliche autorità. Si fermano cinema e teatro ma non le partite di calcio professionistico; restano aperti i campi di tiro con le armi perché la spesa per armi non va in lockdown. E poi l’ordine distorto delle priorità, dettato ai governanti da Confindustria e mondo dei grandi affari, si accompagna all’assenza di adeguati interventi nella sanità, nei trasporti e nei servizi pubblici e soprattutto al vuoto assoluto di pianificazione economica e organizzazione sociale.
Avevamo una Costituzione sociale avanzata, che nel suo articolo 3 riconosce l’ipocrisia delle libertà formali, se la Repubblica non interviene per rimuovere le diseguaglianze sociali. Da tempo quella Costituzione è stata stravolta sul piano sostanziale, con la precarizzazione del lavoro e le privatizzazioni non solo dell’economia, ma della sanità della scuola dei beni comuni. Tutta la vita sociale è stata sottoposta al dominio del profitto e degli affari e infine anche sul piano formale è stata stravolta quella Costituzione che quella vita sociale avrebbe dovuto tutelare prima di ogni cosa. Il distanziamento sociale si è sempre più esteso e con il Covid è diventato un abisso.
Il regionalismo competitivo e distruttivo costituzionalizzato con la riforma del 2001, di cui ora subiamo tutti i danni di fronte alla pandemia, la devastante austerità europea del Fiscal compact costituzionalizzata con la riforma del 2012 e infine il taglio del Parlamento approvato con l’ultimo referendum; nel tempo la Costituzione non solo è stata socialmente negata, ma formalmente stravolta. E le leggi di Minniti e Salvini hanno restaurato il sistema autoritario del fascista Codice Rocco contro manifestazioni e opposizioni sociali.
Ora bisogna assolutamente ripristinare il diritto a manifestare, offeso da un governo che permette le cerimonie religiose, ma vieta i congressi politici. Manifestare oggi è necessario proprio per evitare che la rabbia sociale venga usata da reazionari e fascisti per negare il virus e le sue conseguenze. Ai manifestanti che rivendicano la libertà berlusconiana va contrapposta nelle piazze e nella politica la mobilitazione per il pubblico, la pianificazione economica e l’eguaglianza sociale. Nel nostro sistema fallito il conflitto è tra socialismo o barbarie e chi oggi predica legge e ordine lavora per la barbarie.
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