Il feticismo del dialogo

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La democrazia è dialettica e scontro, non braghe calate (sempre da una parte).

di Gianni Barbacetto, da www.societacivile.it/blog/

«Se ne fossi capace, vorrei scrivere un inno alla discordia, alla lotta, alla disunione degli spiriti. Il bello, il perfetto, non è l’uniformità, non è l’unità, ma la varietà e il contrasto». Luigi Einaudi

«Là dove esistono conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera». Carlo Maria Martini

Chissà perché in Italia c’è sempre qualcuno che inneggia al dialogo, all’unità, alla concordia. Lo fanno molti leader politici, lo ha fatto il capo dello Stato nel messaggio di fine anno. C’è sempre qualcuno che sogna grandi "riforme" (?), che chiede commissioni bipartisan, che brama volonterosi al lavoro, che ha nostalgia della Bicamerale… Come se non ci fosse già un luogo dove la democrazia forma le decisioni: il Parlamento della Repubblica.

Unità? Innanzitutto io non vedo ‘sta gran divisione: dov’è lo scontro, la conflittualità, la lotta? Mi guardo attorno e vedo pace sociale, bassa conflittualità sindacale, piazze vuote, fabbriche tranquille, scuole ordinate, politica eternamente dialogante, tg a reti unificate… Non vedo scontri di piazza, occupazioni, proteste, non vedo partiti che si accapigliano né ostruzionismo parlamentare. E questo clima non mi pare un buon segno: la democrazia non è uniformità, ma è scontro, come diceva anche Luigi Einaudi (non Che Guevara). È dal confronto democratico tra spinte diverse che può nascere una buona sintesi, non dalle braghe calate (e poi, chissà com’è, a calarle devono essere sempre gli stessi…).

Certo: c’è stata l’unità nazionale, come ricorda il capo dello Stato: nel primo dopoguerra e nel contrasto al terrorismo. Ma non vedo oggi una situazione paragonabile a quei momenti, in cui l’unità è stata raggiunta in nome della Costituzione repubblicana, dello Stato democratico da costruire dopo il fascismo o da difendere da nemici armati. Oggi, semmai, la Costituzione è indicata da una parte politica come un ostacolo da rimuovere, è considerata come il libretto d’istruzioni di una lavastoviglie, che si può riscrivere a piacimento.

Unità su che cosa, di grazia? Unità sul contrasto alla crisi economica: bene l’obiettivo, ma si fatica a vedere gli strumenti e la strategia messi in campo per raggiungerlo. Unità sul contrasto alla crisi politica: e qui essere uniti mi pare davvero difficile. Perché la politica sta reagendo alla sua crisi non riformando la politica, ma abbassando la soglia di legalità (come per l’inquinamento dell’acqua: la si rende bevibile alzando le soglie di veleni tollerati). C’è la più grave crisi della politica mai vista dal dopoguerra, e si fa finta (anche a sinistra) che invece ci sia la crisi della giustizia: il problema non sono i politici che rubano, ma i magistrati che li indagano e li intercettano. È questa, l’unità che si vuole? Destra e sinistra che si siedano a un tavolo per separare le carriere dei magistrati, togliere al pm la direzione delle indagini, proibire le intercettazioni e così via? Ecco dove cade il feticismo del dialogo: al solito, eterno sogno d’impunità della politica italiana.

(Il 2 gennaio al Tg1 il ministro ombra della Giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia, ha detto che il suo partito vuole, tra l’altro, il riequilibrio tra accusa e difesa. Bene. Dunque ci aspettiamo che gli avvocati siano parificati ai magistrati, per esempio che i legali eletti in Parlamento siano obbligati a lasciare la professione, ponendo fine allo scandalo degli avvocati che in Parlamento fanno leggi a favore dei loro clienti).

(4 gennaio 2009)



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