Il film della settimana: “A Dangerous Method” di David Cronenberg

Giona A. Nazzaro

L’unico metodo pericoloso è quello di David Cronenberg.

Per anni Cronenberg ha dato forma, meglio carne, a quello che, mutuando una celebre espressione di J.G. Ballard, possiamo definire “lo spazio interiore”. Per anni ha lavorato intorno all’ossessione del corpo come entità in grado di produrre, proprio come un virus, altri corpi. Da discepolo di William S. Burroughs, Cronenberg ha sempre saputo che “language is a virus”. E come Burroughs ha condotto la sua indagine sino ai margini estremi del pensiero contemporaneo. Tutta la sua filmografia è un’indagine accurata è meticolosa, quasi tassonomica, delle teratomorfie implicite nel corpo. Come il Leslie Fiedler di Freaks, i film di Cronenberg hanno indagato le possibilità di vita al di là dei codici esistenti.

La grande intuizione filosofica di Cronenberg è stata di avere compreso, attraverso lo studio di Marshall McLuhan e William Burroughs, come il nostro sistema nervoso si sarebbe trasformato a contatto con la modificazione del principio d’individuazione e di realtà introdotti dalle nuove tecnologie digitali. Cronenberg, come Burroughs, ha condotto queste sue sperimentazioni in territorio analogico, proprio come l’autore de Il pasto nudo che studiando i cut up dei nastri magnetici ha dato corpo e forma totalitarismo della comunicazione di massa.

Marshall McLuhan interviene nella costruzione dell’universo poetico di Cronenberg attraverso la sua convinzione che i media, e soprattutto l’introduzione di nuovi media, rappresentano delle vere e proprie guerre psichiche. Ossia i nuovi sistemi di decodifica della realtà sostituiscono i precedenti e in questo processo attivano delle trasformazioni (anche fisiche). Per intenderci: il cervello di un bambino che usa il computer oggi è senz’altro diverso da quello di un suo coetaneo di venti o trent’anni fa. Videodrome, per esempio, raccontava proprio questo processo di mutazione e come e se era possibile intervenire su e in esso. Ogni nuovo media è un’estensione del sistema nervoso. E se il sistema nervoso modificato s’innamora di un virus e produce un nuovo organo? La poetica di Cronenberg danza sempre sulla sottile linea che separa il principio d’individuazione dal principio di realtà. L’uno modifica impercettibilmente l’altro, come dimostra M Butterfly.

La geniale perversione di Cronenberg è di trattare il corpo come uno strumento di comunicazione. Una morbida macchina che serve per (in)scrivere nuovi codici e processare realtà altre. I virus, in questo, sono gli agenti di un cambiamento, un po’ come gli zombi per Romero. Il corpo, dunque, è il luogo-narrazione, metastabile per definizione, il teatro del cambiamento.

Cronenberg, con il tempo, è progressivamente stato sempre più attratto dal versante invisibile della mutazione. Basti pensare alla scelta di eliminare tutti gli effetti speciali a vista da Inseparabili o a M Butterfly dove tutto accade nello sguardo del protagonista. E, ovviamente, il cinema di Cronenberg è uno schiaffo per i fautori della “verosimiglianza” che mal tollerano le incongruenze psicologiche dei suoi film (quando non c’è il rifiuto basato sul semplice rigetto moralistico della violenza).

Non sorprende, dunque, che il regista che in Inseparabili teorizzava concorsi di bellezza per gli organi interni, nel corso degli anni abbia messo progressivamente a punto una strategia che a partire dall’evidenza del corpo e delle sue manifestazioni arretrasse verso il cervello. Il primo sintomo di questa strategia, e per chi scrive l’unico parziale passo falso del regista, s’era manifestato con Spider, la schizofrenia come l’alba della scrittura (e quindi del linguaggio). Progressivamente il regista ha continuato a muoversi lungo queste coordinate, e con A History of Violence, una vicenda di mutazioni senza mutazioni (apparentemente) e con La promessa dell’assassino, un’altra storia di scritture e corpi mutanti, ha trovato le energie necessarie per confrontarsi compiutamente con quella che sembra offrirsi come la scena primaria del cinema cronenberghiano.

A Dangerous Method, a dispetto di coloro che rimproverano al regista di essersi convertito a una sorta di accademismo inerte, e ai tutori del verbo freudiano offesi dalle libertà che il regista si è concesso, sembra invece, a tutti gli effetti, la reinvenzione delle origini del cinema cronenberghiano.

Sin da Transfer, il suo primissimo cortometraggio del 1966, Cronenberg mette in scena uno psichiatra perseguitato da un suo paziente. In From the Drain, film dell’anno seguente, due uomini in una tinozza parlano, mimando il processo dell’analisi, sino a che uno dei due non viene strangolato da una pianta misteriosa (l’inconscio che emerge dal basso…). Ma sono soprattutto Stereo e Crimes of the Future che sembrano già preconizzare A Dangerous Method, con la centralità del medico-guru che torna in tutti i film del regista insieme alla relazione medico (analista)-paziente.

A Dangerous Method, quindi, è l’origine ideale dei melodrammi virali di Cronenberg. Non a caso attraverso la psicosi del personaggio femminile è possibile dare vita a un processo di scrittura che viene decifrato a sua volta dal corpo di un macchinario che letteralmente trascrive i processi del corpo (e siamo sempre in territori burroughsiani: non si scrive mai, al massimo si trascrive). Il sesso è il virus liberato dal corpo in trasformazione e la scrittura diventa la mappa di un nuovo mondo. Tutto il cinema di Cronenberg si ritrova distillato in A Dangerous Method.

In questo senso anche il classicismo del regista, sinora rimasto sempre all’ombra delle sue invenzioni più visionarie, emerge per la prima volta in maniera compiuta. L’inquietudine è affidata a impercettibili movimenti di macchina, a angolazioni di ripresa inconsuete, a lievi torsioni dell’immagine. Anche il film di Cronenberg replica le strategie mimetiche dei corpi: si vede sempre un’altra immagine e l’immagine visibile è solo la copertura mimetica, strategica dell’altra. La quintessenza del cinema di Cronenberg.

Ed è in questa danza dominata dall’immagine invisibile che il gioco di seduzione fra parola, scrittura e corpo che A Dangerous Method formula un progetto politico preciso: il corpo come sperimentazione di patti sociali ancora tutti da immaginare.

(28 settembre 2011)

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