Il film della settimana: “Adam Resurrected” di Paul Schrader

Giona A. Nazzaro



Nonostante Paul Schrader sia stato lo sceneggiatore di Taxi Driver, Toro scatenato, L’ultima tentazione di Cristo e Al di là della vita di Martin Scorsese e abbia firmato la regia di alcuni dei film inevitabili del cinema statunitense degli ultimi decenni come Blue Collar – Tute blu, American Gigolo, Il bacio della pantera, Mishima, Lo spacciatore, Affliction, Auto Focus e, ancora, nonostante la critica italiana si sia sempre dimostrata molto attenta nei suoi confronti (il regista ha ottenuto tra l’altro il premio Filmcritica e il Sergio Amidei di Gorizia), il cinema schraderiano è sempre stato poco o mal frequentato dalla distribuzione italiana.

Adam Resurrected, il suo ultimo film in ordine di tempo, è in attesa di vedere il buio delle sale della penisola da mesi ormai ma la data di distribuzione continua a essere rimandata di settimana in settimana. Proviamo quindi ad accelerare i tempi.

Tratto dall’omonimo romanzo di Yoram Kaniuk, il film, interpretato da un Jeff Goldblum che si produce in quella che può senz’altro essere considerata l’interpretazione di una vita (insieme a La mosca di David Cronenberg), mette in scena la vicenda di un attore e illusionista ebreo di nome Adam Stein che dopo la fine della seconda guerra mondiale viene ricoverato in una clinica israeliana che ospita solo pazienti che hanno subito traumi psichici in seguito alle persecuzioni naziste.

Divorato dai sensi di colpa a causa della morte della madre e della figlia, Stein si muove nell’universo concentrazionario della clinica con estrema libertà. L’incontro con un misterioso paziente dell’istituto, rinchiuso in una stanza segreta, provoca in lui una violenta crisi che lo costringe, forse, ad affrontare i suoi demoni.

Interrogato sul perché avesse scelto un film dalle caratteristiche tematiche apparentemente lontane dalla sua formazione calvinista, Schrader ha sottolineato che il suo non è l’ennesimo film su un sopravvissuto dei campi di sterminio quanto una riflessione sull’evoluzione di un personaggio che, muovendo da un luogo molto buio del cuore, riesce progressivamente a dare un volto e un nome a ciò che lo tormenta.

Il percorso che compie Adam Stein è simile a quello degli altri personaggi schraderiani i quali colti in una dimensione di autocontemplazione si trovano poi scaraventati nell’agone della storia (come Mishima) o della politica (come accade al protagonista di The Walker) oppure finiscono per consumarsi alla luce della propria immagine (Auto Focus). Adam Stein racchiude tratti che lo rinconducono a ciascuno dei protagonisti dei precedenti film di Paul Schrader. Si potrebbe addirittura sostenere che Adam è la quintessenza del personaggio schraderiano.

In questo senso Adam Resurrected è un film visceralmente schraderiano. Non solo tematicamente, ma soprattutto dal punto di vista formale. Schrader, infatti, costretto da sempre nell’angusto cono d’ombra proiettato dalla sua collaborazione con Martin Scorsese non è quasi mai stato considerato come un cineasta a tutti gli effetti, ma sempre, con un atteggiamento di fastidiosa pigrizia intellettuale, uno sceneggiatore dalle irrisolte ambizioni registiche. Nel corso di una carriera decisamente entusiasmante che della discontinuità ha fatto il suo elemento fondante, Schrader si è rivelato invece un temperamento sperimentale molto più propenso a prendere rischi rispetto al suo amico e collega Scorsese.

Rispetto a Shutter Island, Adam Resurrected mette in scena un universo concentrazionario che nulla deve alla classica iconografia noir o mutuata dagli horror della Universal degli anni Trenta. Talento schiettamente modernista, Schrader ambiente il film un’architettura che ricorda vagamente il Bauhaus e lavora la profondità dell’immagine utilizzando linee di fuga nette. La tonalità dominante del bianco, erodendo le ombre e il buio, contribuisce a dar vita a un incubo ad occhi aperti lontanissimo dal manierato gotico del film di Scorsese. La luce è abbacinante nel film di Schrader, il nero è riservato ai flashback e alla notte. E laddove nel film di Scorsese l’indagine del detective interpretato da DiCaprio si rivela presto nella sua macchinosa prevedibilità, Schrader riesce a costruire una genuina tensione horror nel corso di tutto il film al cui apice c’è una parossistica reinvenzione della scena della tentazione di Gesù nel deserto da parte di Satana. Una scena particolarmente complessa, risolta con una maestria ineffabile, grazie a raccordi, efficacissimi tagli di montaggio e a un lavoro superbo degli interpreti.

In questi momenti Schrader dimostra al di là di tutti i dubbi non solo di essere uno straordinario costruttore di congegni narrativi, ma soprattutto di saperli reinventare per permettere a una scena o a un personaggio di affrancarsi dalla pagina scritta della sceneggiatura e iniziare a vivere come voce e corpo cinematografico.

Non solo. Adam Resurrected, oltre a essere uno dei film più riusciti di sempre di Schrader, si offre come originalissima rilettura della nascita dello stato di Israele parafrasando sia la parabola del lebbroso che la vicenda del ragazzo selvaggio truffautiano. E in questo senso il film risulta opera squisitamente politica.

Adam Resurrected dunque conferma non solo tutto il talento di Paul Schrader ma dimostra che l’autore di Mishima, lungi dal cedere alle sirene della normalizzazione, continua a percorrere le strade di un cinema che del rischio e dell’invenzione fa la sua stessa ragione di vita.

(26 ottobre 2010)

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