Il film della settimana: “Habemus Papam” di Nanni Moretti

Giona A. Nazzaro

Dopo Il caimano, il più insoddisfacente dei film di Nanni Moretti, che probabilmente sarà ricordato esclusivamente per la sua chiusa apocalittica che lucidamente ha anticipato la tragedia etica e politica che stiamo vivendo da molti mesi a questa parte, il regista ritrova il passo cinematografico che gli è più consono, lontano dall’agone diretto ma tanto più calato con arguzia e passione nello specifico del linguaggio e della forma.

Habemus Papam, in questo senso, rischia davvero di figurare tra i lavori maggiori di Nanni Moretti. Procedendo ulteriormente lungo quella rarefazione formale che già aveva fatto la forza di un film sorprendente come La stanza del figlio, Habemus Papam ci consegna un regista in grado di controllare con estremo rigore una materia difficile e un apologo filosofico tanto preciso e potente quanto seducente e gentile.

Moretti, infatti, pur riservandosi il ruolo dello psicanalista, e ricorrendo alla metafora dello sport – e quindi non spostandosi di un millimetro dalla sua persona pubblica – che inevitabilmente suscita la complicità del suo pubblico, firma un racconto che inevitabilmente richiama alla mente Marco Ferreri, per come viviseziona le assurdità del potere e delle persone che tale potere servono, e Luis Buñuel per la fascinazione nei confronti delle forme dei rituali politici ed ecclesiastici.

Ovviamente Moretti non affonda sul pedale del sarcasmo come Ferreri ed evita lo sberleffo politico, né affronta tantomeno a muso duro dogmi e contraddizioni di fede. Eppure il suo affondo è preciso quanto quello dei maestri evocati, seppure più sottile e aperto. Al punto da suggerire, nei momenti più felici del film, addirittura una sorta di "fellinismo sobrio" e che comunque è da sempre presente nella poetica del regista manifestandosi in epifanie surreali e trovate fantastiche.

Eppure, se Ferreri affrontava l’assurdo, il principio dell’elemento del caos, come segno del disfacimento autodistruttivo della società tardocapitalista e Buñuel sfidava questo stesso elemento con le armi di un’antilogica onirica, Moretti, alfiere di una laicità à tout prix, traccia i contorni di una tragedia silenziosa che ci riguarda tutti come esseri umani.

In questo senso Nanni Moretti evita il ricorso alla boutade dell’anticlericalismo più facile che gli avrebbe senz’altro garantito l’appoggio dei suoi supporter più superficiali. Rielaborando il carattere leopardiano del suo La messa è finita, il regista si confronta con grande dignità umana con un horror vacui tanto pervasivo quanto, paradossalmente, impercettibile.

Attraverso l’evidente complicità che lo lega all’eccezionale Michel Piccoli, il quale in Habemus Papam rievoca addirittura la spoglia e dolente malinconia di Ritorno a casa, il capolavoro di Manoel de Oliveira, Moretti mette in scena il dramma di un uomo spezzato che rifiuta di recitare un copione che occulterebbe la sua fragilità umana mentre tutti intorno i comprimari gli chiedono, appunto, di recitare.

Raramente il cinema italiano ha affrontato le questioni inerenti al potere in forme tanto attente e precise. Attraversato da un pudore ironico e partecipe il film riesce nell’impresa di mettere in scena religiosi senza mai cedere alla tentazione dello spiritualismo a buon mercato che ormai dilaga. Ciò che sta a cuore a Moretti è l’individuo e il suo tentare di affrontare il mondo conservando la propria dignità.

Anche la metafora del mondo come scena è risolta da Moretti con grande attenzione senza calcare mai la mano sugli effetti più formalistici, concedendosi anche un grande pezzo di cinema genuinamente "unheimlich" (se ci è concesso l’aggettivo freudiano) quando i cardinali invadono il Teatro Argentina per andare a recuperare il Papa renitente.

Il Papa di Moretti, più che Vicario di Cristo che ascolta le pene del mondo, è un uomo che vorrebbe essere ascoltato, e che non potendo più esserlo a causa del suo ufficio, preferisce scomparire dal mondo e tentare di fare i conti con se stesso.

Il motivo del rifiuto degli organi ufficiali della chiesa è evidente. L’umanità è sempre e comunque la pietra dello scandalo quando questa non si sottopone all’autorità della chiesa. Senza contare che il dilemma del film – ossia può Dio ispirare nei suoi cardinali la scelta di un uomo che disobbedisce alla chiamata al soglio di Pietro – deve avere creato non poco sconcerto.

Eppure Habemus Papam è quel raro film del cinema italiano nel quale l’intelligenza politica non va a discapito della forma e del linguaggio. Un film che, mentre il nostro paese è squassato da una crisi profondissima e scandalosa, riesce a infondere speranza invocando semplicemente il primato del dubbio, della dignità e della laicità. Ma soprattutto un film profondamente morettiano, in grado di fondere in unico progetto La messa è finita e Palombella rossa, e offrire scorci di Roma di rara, commovente e quotidiana bellezza.

Habemus Papam inaugura davvero una nuova stagione del cinema di Nanni Moretti. Cosa che ci permette sin d’ora di attendere con grande curiosità l’evoluzione ulteriore della poetica del regista.

(21 aprile 2011)

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