Il film della settimana: “Il profeta” di Jacques Audiard
Giona A. Nazzaro
IL PROFETA di Jacques Audiard (Francia Italia, 2009)
Quella di Jacques Audiard è stata una marcia lunga un anno. Presentato in concorso l’anno scorso a Cannes, Il profeta ha trionfato ai César, l’equivalente transalpino degli Oscar, conquistando ben 9 premi. Proprio come The Hurt Locker di Kathryn Bigelow che, presentato in sordina a Venezia l’anno scorso nell’indifferenza generale, trionfa nella notte degli Oscar.
Jacques Audiard, cineasta in crescita costante, firma con Il profeta il suo film più riuscito e convincente. Un film che dovrebbe far riflettere. Non solo per come mette a nudo le deficienze del sistema carcerario, ma soprattutto per ciò che rivela della società francese contemporanea.
Il profeta deve molto alla tradizione del noir francese. Il cosiddetto polar portato ai massimi livelli da talenti come Jean-Pierre Melville, Jacques Becker e José Giovanni, tanto per citare solo i nomi più iconici.
Audiard mette in scena una sanguinaria educazione criminale. Il protagonista, interpretato da un sorprendente Tahar Rahim, si trova a dovere capire, e in fretta, come sopravvivere in un universo concentrazionario nel quale quelli come lui sono da sempre solo carne da macello.
Con accorgimenti formali che sembrano omaggi al Robert Bresson di Un condannato a morte è fuggito e altri che rimandano invece a Il buco di Becker, Audiard conferisce corpo e volume a una scala gerarchica di potere strutturata come una piramide alimentare.
Nessuna scorciatoia sociologica o soluzione politicamente corretta preconfezionata. Privo di qualsiasi psicologismo d’accatto e senza cedere mai alla tentazione di spiegare o giustificare, Audiard, messo in moto il suo gioco, lascia che sia il gioco stesso a determinare il movimento del film. Il profeta, in questo senso, è una autentica lezione di cinema.
Spietata analisi dei rapporti economici che s’instaurano in un territorio chiuso, Il profeta è altresì un’immagine attendibile delle mutazioni produttive che il cinema francese sta affrontando con estrema competenza e straordinaria consapevolezza.
Laddove nel nostro paese si ciancia a vuoto dei massimi sistemi, integrazione e antirazzismo (ma abbandonando al proprio destino i lavoratori di Rosarno), dando di conseguenza vita a un cinema che è la sagra paesana della falsa coscienza, in Francia le cose sono di segno completamente opposto.
Senza idealizzare una situazione a discapito di un’altra, Il profeta è l’immagine più attendibile di tutto ciò che il cinema italiano non è stato capace di essere, non è ancora e probabilmente non sarà mai.
A leggere i titoli di coda del film di Audiard, si scopre, una volta di più, un paese che aperto e contaminato. Un paese che ha letteralmente cambiato nomi reinventando la propria tradizione culturale nel segno di una dialettica metastabile. Aprendosi e diventando più ricco. Tutti insieme.
Film genuinamente meticcio che è riuscito a far diventare questa sua caratteristica una straordinaria forza estetica, narrativa ed economica, Il profeta è il segno più attendibile di un paese che (continua a) cambia(re) nonostante le resistenze dei LePen di turno. E che nel processo riesce a inventare storie e a creare immagini in grado di accompagnare e raccontare questa evoluzione.
Tutte le tensioni che attraversano la società francese si ritrovano nel film di Audiard alla stregua di un fascio di nervi pulsante che lo sguardo del regista riesce a decantare in soluzioni di regia in grado di vivisezionare politicamente lo spazio del carcere.
Senza contare il drammatico impatto linguistico della versione originale nella quale il francese si alterna al dialetto corso e all’arabo permettendo così al film di scorrere con un’irruenza e una determinazione del tutto sconosciuta ai fautori del doppiaggio a oltranza.
Il profeta, non solo è uno dei migliori film francesi degli ultimi anni, ma evidenzia con brutale determinazione la pochezza avvilente del cinema italiano in grado al massimo di produrre cose ignominiose come l’inguardabile Sbirri.
Il cinema è linguaggio mobile. E Audiard è il suo profeta.
(12 marzo 2010)
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