Il film della settimana: “Inside job – Chi ci ha rubato il futuro?” di Charles Ferguson
Giona A. Nazzaro
Un “inside job”, un lavoro fatto in casa. Come farsi rubare la macchina per incassare il premio dell’assicurazione. Come spiegare, però, la crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l’economia USA e quella europea senza ricorrere alle teorie cospirazioniste o alla presenza ingombrante di un cineasta star come Michael Moore? Semplice: con i fatti. Puri e semplici.
Charles Ferguson mette in piedi un micidiale meccanismo didattico e smentisce uno dei luoghi comuni che hanno accompagnato il dilagare delle informazioni sulla crisi: non è vero che di economia non ci si capisce nulla. Dipende da come la spieghi. E come spiegare le cose è parte integrante delle strategie della crisi. Anche in questo caso bisogna schierarsi. Con la chiarezza o con la propaganda.
Ferguson è uno che non parla mai, al contrario di Moore, ma fa parlare. La sua tesi è che la crisi è insita nei processi neoliberisti e nel complesso di regole create ad arte per far sì che le banche potessero investire anche i soldi che non avrebbero mai dovuto toccare. Ferguson parte dalla crisi che ha ucciso l’economia islandese, ne mette in luce l’aspetto di esperimento politico e passa a studiare la bolla dei mutui delle case e della compra-vendita dei debiti. Impossibile affermare a proiezione terminata “non ci ho capito niente”.
Inside Job è una vera e propria lezione di economia che si segue con il fiato sospeso. Come se fosse un thriller di Pakula o di Pollack. Nomi e cognomi. Date e fatti. Grafici e soluzioni possibili. Ferguson non fa sconti a nessuno, tanto meno a Obama. I dati sono inconfutabili. Sotto gli occhi di tutti. Inside Job non solo non è televisione, almeno non di quella che (a parte poche eccezioni) si pratica in Italia, è cinema politico. Illuminista. Cinema di massa. Una lezione di democrazia memorabile. Cinema che finalmente offre il piacere (piacere!) di capire cose che altrove si vogliono adatte solo agli specialisti (quelli che lucrano…). Cinema che rompe il silenzio del collaborazionismo.
Resta da capire come mai, considerato che nonostante tutto alcuni documentari un loro spazio sono riusciti a conquistarlo, Inside Job, che ha pure vinto un Oscar, in Italia sia stato prima annunciato e poi rimandato a data da destinarsi. Come dire che nemmeno l’Oscar, che garantisce visibilità a prodotti ben più scadenti, è riuscito a far sì che il film di Ferguson fosse distribuito. Immaginate cosa potrebbe succedere se un Ferguson italiano riuscisse a mettere per immagini il racconto che Marco Revelli fa nel suo libro Poveri, noi della cosiddetta "modernità regressiva" in atto nel nostro paese.
In questo senso Inside Job, presentato l’anno scorso a Cannes, è davvero un pessimo esempio (si fa per dire, ovviamente…). Perché dimostra che si può spiegare e parlare di cose apparentemente complesse permettendo a tutti di comprenderle. Un vero peccato che la distribuzione abbia impedito al pubblico italiano di conoscere questo straordinario esempio di cinema didattico e politico.
(6 maggio 2011)
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