Il film della settimana: “Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz” di Franco Maresco

Giona A. Nazzaro

Con Daniele Ciprì, Franco Maresco è riuscito in un’impresa duplice: rinnovare il cinema e la televisione italiana attraverso le schegge di Cinico Tv. Chi scrive, pur avendo molto apprezzato il lavoro televisivo dei due autori, ha sempre nutrito dubbi sugli esiti strettamente cinematografici della coppia (anche se ovviamente sentiamo già quanti osservano, a ragione, che in realtà non esiste differenziazione alcuna).

Ci sembrava che tanto era essenziale il nero "murnauiano" dei film per la tv, tanto indulgente il pasolinismo "dreyerizzato" dei lavori per il cinema. Maresco e Ciprì, con eleganza e rispetto per le opinioni altrui, non solo non hanno serbato rancore, ma hanno accolto queste posizioni nel volume El sentimiento cinico de la vida, curato da Valentina Valentini ed Emiliano Morreale. I lavori cinematografici successivi della coppia, il Cagliostro con Robert Englund e il documentario dedicato a Franco e Ciccio, hanno evidenziato che i due sapevano come fuggire la tentazione di ripetere all’infinito una formula apprezzata. Curiosamente però proprio quest’ultimi lavori, considerato la levata di scudi critici in difesa dei primi lungometraggi, risultano accolti con una certa sufficienza mascherata da benevolenza, come se ci fosse una certa fretta, inconfessata, di andare oltre; mettere da parte i due siciliani (e soprattutto l’intrattabile Maresco) proprio mentre affrontano il giro di boa del proprio rinnovamento formale. Poi, come tutti sanno, Ciprì e Maresco, si separano. Il primo diventa uno dei direttori della fotografia più richiesti e apprezzati del cinema italiano recente (su tutti Vincere di Marco Bellocchio), mentre su Franco Maresco s’iniziano ad appuntare le puntate di chi lo considera prematuramente spacciato senza l’ausilio del collaboratore Ciprì. Errore. Infatti, nonostante tutto, Franco Maresco è vivo e vegeto. E il sofferto film dedicato al clarinettista Tony Scott, cui ha lavorato per anni, è probabilmente il suo capolavoro. Un’opera profondamente autobiografica, politica e che incidentalmente ha il merito di puntare i riflettori su una figura fondamentale del jazz moderno.

Presentato fuori concorso all’ultimo festival di Locarno, dove all’ultimo minuto Franco Maresco non ha potuto essere presente per altre problematiche, Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz è stato seguito da un pubblico numerosissimo, attento e commosso. Confusi tra gli spettatori, cineasti che magari diranno poco o nulla alla maggioranza degli spettatori italiani come Helena Ignez e Albert Serra, che sono rimasti in sala sino al termine della proiezione con gli occhi lucidi. Migliore attestato di stima non riusciamo a immaginare.

Sfondando dall’interno il formato della rievocazione biografica, Maresco intreccia la vita di Scott con quella delle metamorfosi del nostro Paese componendo un’autentica elegia funebre per onorare un talento unico divorato da una radicale e profonda pulsione autodistruttiva che ha avuto la sventura di scegliere come luogo dove vivere un Paese che della cannibalizzazione delle vite altrui, quelle più renitenti alla resa, ha fatto un vergognoso tratto caratteristico.

Nato artisticamente nell’ambito del Be Bop, Tony Scott (al secolo Anthony Joseph Sciacca), di origini siciliane, cresce musicalmente al fianco di giganti del calibro di Charlie Parker e Dizzy Gillespie. Direttore musicale di Billie Holiday, ha nel corso degli anni ampliato i confini del jazz contaminandolo con la musica orientale, in seguito a un lungo soggiorno in Giappone, e successivamente con la musica etnica. Pur rifiutando l’abbraccio con il free jazz, Scott ha sempre sgomitato genialmente contro le ristrettezze estetiche dello swing e della canonizzazione scolastica del Be Bop. Unico tra i clarinettisti, è riuscito a reinventare la lezione parkeriana per uno strumento che sembrava condannato invece a ripetere per sempre la lezione di Benny Goodman.

Partendo dalla constatazione che "il clarinetto nel jazz è cosa nostra", il riferimento è per il rivale storico nonché amico di Scott, ossia Buddy De Franco, altro musicista di origini siciliane, Maresco ripercorre con puntiglio filologico la parabola dell’uomo, evidenziando l’evolversi dello stile, le contraddizioni umane e le zone d’ombra politiche (Scott era una spia della CIA?). Infine, lo scontro frontale con l’Italia, Paese che lo tratta alla stregua di un eccentrico guitto che vede il clarinettista, in una misteriosa reazione in cui si confondono autolesionismo, bisogno costante di lavorare e incoscienza, assecondare un micidiale copione scritto da altri. Sino al desolante epilogo nel quale la salma di Tony Scott, ospitata nella cappella familiare di un suo concittadino di Salemi, rischia di essere sfrattata perché a tutt’oggi il comune non ha ancora dato seguito alla promessa di creare un luogo idoneo per le spoglie mortali del musicista, anche se il sindaco Vittorio Sgarbi si è impegnato in prima persona per porre fine a questa indecenza.

Il film di Maresco, per citare Roberto Turigliatto, è probabilmente la più grande biografia di un musicista "dai tempi del Giuseppe Verdi di Raffaello Matarazzo". La profondità dell’affondo di Maresco investe un intero Paese. La vicenda di un singolo individuo rischiara la sorta di una nazione. Il destino di uno riverbera in quello dei molti. Una forma d’arte cangiante si rivela caleidoscopio nel quale si riflettono tensioni e fallimenti. Atto d’accusa fermo e indignato nei confronti di un Paese che ha perso il proprio onore, il Tony Scott di Maresco è una maschera tragica potentissima. Il segno della morte in vita di un Paese. Lontanissimo da qualsiasi compromissione linguistica e politica con l’esistente, Maresco dimostra non solo che il suo sguardo ha retto benissimo l’urto della separazione da Ciprì, ma che il film su Tony Scott inaugura una nuova stagione del suo fare cinema. Una stagione probabilmente ancor più avventurosa di quella che l’ha preceduta.

(8 settembre 2010)

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