Il film della settimana: “La scelta di Barbara” di Christian Petzold

Giona A. Nazzaro



Si dice poco. Lo si scrive meno ma il cinema tedesco ci manca. Trascorsa e inevitabilmente tramontata la stagione prodigiosa del Nuovo Cinema Tedesco (ma purtroppo oggi nessuno si ricorda, nome a caso, di Alexander Kluge), la distribuzione, prescindendo dai titoli di grande richiamo, non ha prestato molta attenzione al cinema che si produce attualmente nella Germania riunificata.

Per cui non si può non accogliere con soddisfazione la distribuzione di un film come La scelta di Barbara, film diretto con grande fermezza e attenzione da Christian Petzold, regista tra i più interessanti fra quelli emersi in Germania a partire dagli anni Zero.

La scelta di Barbara, alla cui sceneggiatura ha partecipato anche il cineasta e documentarista Haroun Farocki, figura chiave del cinema tedesco sperimentale e militante il cui lavoro in Italia è stato seguito solo da pochissimi, è un film che esprime benissimo lo stile e la tipologia di sguardo che Petzold porta nei confronti del reale.

Interpretato dalla magnifica Nina Hoss, attrice che ha sviluppato con il cineasta un sodalizio fatto di reciproca fiducia, al punto che la filmografia del regista si offre anche come il documento delle trasformazioni cui la presenza dell’interprete è andata incontro nel corso degli anni, La scelta di Barbara è un ritratto femminile di notevole intensità oltre che un lavoro nel quale Petzold adotta un registro più prossimo al cinema classico.

Ambientato dietro la cortina di ferro, quando metà della Germania stava sotto il dominio dell’Unione Sovietica, il film evita sia i banali proclami sociologici sia le tirate politicamente corrette.

Petzold non è ingenuo ed è ben consapevole di non vivere nel migliore dei mondi possibili. Pertanto la sua descrizione della realtà della Germania dell’Est non è fatta dalla parte dei vincitori, ma calata nei dettagli di una vita retta da banali routine e soprattutto sguardi. Non ci sono insegne, stemmi, divise. La Stasi si presenta con il volto stanco di un funzionario la cui moglie sta morendo di cancro. Gli ospedali attendono macchinari da Praga.

L’economia degli sguardi del film di Petzold racconta una storia parallela. Una storia non detta, che non può essere detta.
Barbara sogna di fuggire, raggiungere il suo amante dall’altra parte e pertanto è oggetto di controlli, irregolari ma continui.
Lo Stato per spiarla meglio le assegna un lavoro in un altro ospedale nel quale il primario è incaricato di tenerla d’occhio e riferire.

Petzold ricostruisce con grande attenzione il tessuto silenzioso della delazione praticata con scientifica precisione da parte dei cosiddetti IM (acronimo che nel gergo Stasi per Inoffizieller Mitarbeiter ossia Collaboratore non ufficiale). Evita di banalizzare una tragedia che ha coinvolto milioni di vite e che ha portato nel 1989 all’occupazione del palazzo della Stasi. Per chi volesse farsene un’idea, consigliamo il film di Thomas Heise Mein Bruder. We’ll Meet Again.

D’altronde la lezione indimenticabile di Thomas Brasch, scrittore e regista la cui importanza capitale è scandalosamente trascurata in Italia, dimostra che i rapporti tra BRD e DDR non erano così manichei come li immaginava il signor Kohl. Non a caso Brasch non si è mai fatto ridurre alla caricatura del dissidente che l’Occidente richiedeva a chi abbandonava la Germania dell’Est.

La scelta di Barbara, in questo senso, racconta l’ex DDR in forme quasi subliminali. Tutto è calato in una sorta di torpore provinciale cui solo il vento sembra fare da controcanto lirico.
E le inquadrature di Nina Hoss che fila in bicicletta tra i rami degli alberi agitati dal vento sono quasi un segno brontëiano (nel senso di Emily Brontë) della tempra, della solitudine e della disperazione di Barbara che sogna di andare altrove.

Nelle note di regia, Christian Petzold afferma di essersi rivisto Acque del sud di Howard Hawks per mettere in scena la complicità degli amanti consapevoli di essere spiati. E la compostezza classica del suo ottimo film dichiara che la lezione è stata compresa a fondo.

Dichiaratamente classico nella sua impostazione, senz’altro il più accessibile e immediato dei film di Petzold, La scelta di Barbara permette quindi di fare la conoscenza di un regista talentuoso e acuto.

(13 marzo 2013)



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