Il film della settimana: “L’uomo nell’ombra” di Roman Polanski

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L’UOMO NELL’OMBRA di Roman Polanski (Germania Usa, 2009)

di Giona A. Nazzaro

Si sa. Il mondo è un posto ostile. Pieno di luoghi oscuri che a volte si celano nei coni d’ombra della luce del giorno (ossimoro obbligato). L’orrore c’è ma non si vede. La storia, quella con la s maiuscola, è il motore primo degli incubi che si rovesciano sulla testa degli individui che sperano, sbagliando, di poter vivere al riparo degli ingranaggi (del male…) che girano instancabili. Sempre.

Roman Polanski è il regista più attendibile quando si tratta di mettere in scena il punto di rottura del reale. Quel punto quasi invisibile che è in realtà l’ultimo baluardo contro il dilagare spietato della follia. I suoi personaggi si trovano inevitabilmente confrontati con un ordine di cose che non li prevede (più) e dal quale finiscono puntualmente per essere divorati. Ciò che alimenta sempre l’angoscia del cinema polanskiano è che i segni del caos coincidono sovente con quelli che regolano persino la convivenza del nostro condominio.

Quasi mai si verificano macroavvenimenti mostruosi che incrinano il tessuto della materia della realtà. Si tratta sempre di piccole lacerazioni impercettibili, progressivi spostamenti del principio di realtà, che dovrebbero allarmarci ma che invece puntualmente trascuriamo.

Polanski gioca con grande scaltrezza la carta dell’erosione dei confini fra un dentro sempre barcollante, affetto da paure siderali, e un fuori progressivamente sempre più alieno. Gli orrori polanskiani sono determinati dal principio dell’incertezza. Difficile capire dove ci troviamo e con chi abbiamo a che fare.

In questo senso L’uomo nell’ombra risulta essere un film polanskiano al 100%. In superficie un thriller sofisticato che non emana puzza di zolfo, addirittura un tantino soporifero (stando agli scettici). Molto manierato, stanco (sempre stando agli scettici). A ben guardare, invece, Roman Polanski non solo porta a un grado di incandescenza impensabile la strategia formale della depurazione del segno di Alfred Hitchcock ma, proprio come Fritz Lang, a partire da questo nitore che sconfina nel puro rumore bianco favorisce il manifestarsi di un malessere sordo e devastante che s’insinua come un cuneo nella nostra percezione.

La vicenda del film ruota intorno a un “ghost writer” che accetta l’incarico lucroso di scrivere l’autobiografia di un controverso politico britannico che si è macchiato di connivenze con l’amministrazione di Bush Jr. violando fondamentali diritti umani e regole internazionali. Lo scrittore poco alla volta tenta di penetrare il muro di gomma che il politico erge per impedirgli di avvicinarsi troppo. Fatalmente questa strategia di dissimulazione attrae “il ghost writer” in una rete di menzogne e di ambiguità nel quale la sua ombra inizia a confondersi con quelle ben più imponenti proiettate dai crimini e dagli intrighi dei collaboratori più stretti del protagonista del suo libro.

Senza rinunciare a nessuna delle sue ossessioni metafisiche, Roman Polanski riesce nell’impresa magistrale di coniugare i tratti più noti di una poetica che si nutre di paure irrazionali con alcune delle emergenze politiche più sentite degli ultimi anni. Lo scrittore costretto ad abbandonare l’alveo delle proprie risicate certezze a causa del premere violento del mondo esterno alle soglie della sua coscienza, è l’ennesimo inquilino del terzo piano che si ritrova stritolato da un ordine di cose che non comprende. Come il pianista nel ghetto di Varsavia tenta di capire cosa accade, sperando che nessuno lo noti. E infatti non lo nota nessuno. Tranne coloro che saranno la sua rovina.

Nel mondo di Polanski, dove l’ordine apparente è solo la formulazione più beffarda della minaccia più letale e insidiosa, il male sorge come un veleno tra le pieghe del contratto sociale. Lo scrittore tenta di decifrare l’ordine occulto delle cose, ma questa sua hybris non è altro che la parte più raffinata e perversa del piano dei suoi nemici nell’ombra: quella in cui lui sogna di lasciare le retrovie della vita e diventare finalmente un… protagonista.

Polanski dunque è riuscito a declinare le sue paure e fobie più occulte in uno straordinario thriller politico. Eppure questo è solo uno dei numerosi meriti di L’uomo nell’ombra, film che ci ricorda, purtroppo, che il più terribile degli l’incubi è inevitabilmente la realtà (e quanti la manipolano per i propri fini, questi si occulti).
Vivi! Il mondo è fatto per i tiranni.

(8 aprile 2010)

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