Il film della settimana: “Qualcosa nell’aria” di Olivier Assayas
Giona a. Nazzaro
Non è molto frequentato il cinema di Olivier Assayas in Italia. Della folta filmografia del cineasta francese, ex redattore dei Cahiers du cinema, sono giunti in Italia, e in forme abbastanza fortunose, pochi titoli. Citiamo a memoria: Desordre, Il bambino d’inverno (Academy), Contro il destino (distribuzione Darc). Poco altro. E, tanto vale ricordarlo, in occasione della presentazione a Cannes di titoli importanti nello sviluppo della poetica di Assayas, si pensa a film come Demonlover e Les destinées sentimentales, la stampa, e quella italiana in particolare, si è distinta nel ritrarre il regista come l’ennesimo esempio di quella cosiddetta “qualità francese” à la page fastidiosamente parigicentrica (ricordiamo en passant anche il trattamento subito da Boarding Gate e l’indifferenza totale con la quale è stato accolto l’eccellente L’Heure d’été).
Questo per dire che anche quando il cinema di Assayas varcava la soglia dell’indifferenza e della prevenzione, come nel caso di Clean, la distribuzione italiana riusciva comunque a distinguersi per cattivo gusto intitolando il film Quando il rock ti scorre nelle vene.
Insomma non si tratta di fare i pignoli, ma indispettisce l’unanimismo che accoglie ora lo splendido Apres-mai che da noi diventa Qualcosa nell’aria.
Vero è che in Italia la cinefilia delle riviste, in maniera trasversale, da Cineforum a Filmcritica, ha sempre seguito Assayas, e questo inevitabilmente lascia dei segni positivi per fortuna. Non di meno irrita l’apologetica dell’ultima ora che di Assayas traccia un profilo come di un cantore più o meno rock della bella gioventù sessanttottarda, il tutto già pronto per l’ennesima operazione di marketing griffata e politicamente corretta.
Il cinema e il lavoro di Olivier Assayas è molto più di questo. Basterebbe leggere i suoi scritti critici, che vanno dal cinema di Hong Kong (da antologia la sua analisi contenuta nel monografico dei Cahiers du cinema curato in collaborazione con Charles Tesson [attuale direttore della Semaine de la critique] della morte di Alexander Fu Sheng in Disciples of Shaolin di Chang Cheh) a Kenneth Anger passando per Ingmar Bergman e Guy Debord.
Dal lontano 1986 Assayas ha percorso un cammino eclettico e rigoroso, scrollandosi di dosso etichette e mettendosi continuamente in gioco e rischiando incomprensioni ma senza curarsene più di tanto.
Dal 2005, anno in cui il regista francese pubblica Une adolescence dans l’après-mai, volumetto autobiografico indirizzato ad Alice Debord, vedova di Guy, dopo un intenso lavoro sui film di quest’ultimo, raccolti poi in un cofanetto dvd da antologia, al 2012, anno in cui a Venezia è presentato Après-mai, trascorrono sette anni in cui il film prende compiutamente forma attraverso numerosi detour.
Après-mai crea un tessuto romanzesco che reinventa la struttura del libro che, sostanzialmente, è una risposta alla domanda di Alice Debord posta ad Assayas riguardante la sua scoperta del situazionismo. E se dunque nel libro il regista ripercorre con grande commozione e lucidità, e anche aspra critica, il percorso ideale che dai moti del 1968 conduce poi agli anni Settanta, nel film tale percorso è incarnato dal personaggio di Gilles, che vende per strada Tout!, che dipinge, ascolta Syd Barrett e Nick Drake e legge le poesie di Gregory Corso (proprio come il Gilles de L’eau froide declamava pedalando in bicicletta Wichita Vortex Sutra di Allen Ginsberg, poesia contenuta nelle raccolte Planet News e The Fall of America).
Rispetto agli altri film che hanno affrontato il 68, e si pensa ovviamente a The Dreamers di Bernardo Bertolucci e Gli amanti regolari di Philippe Garrel, che pur essendo due lavori radicalmente politici non affrontano, di fatto, frontalmente, le insorgenze ideologiche dell’epoca, Après-mai si fa carico di documentare non solo le idee ma anche le necessarie e inevitabili fratture nei confronti di un movimento che in fuga dal totalitarismo sovietico abbracciava ciecamente quello maoista accusando l’autore de Gli abiti nuovi del presidente Mao, il sinologo Simon Leys, di essere un agente della Cia o, addirittura, di non esistere. E, cosa ancora più importante, come una certa ala dell’ultrasinistra di fatto espropria la lotta studentesca dei suoi valori per ricondurla in seno a un dogmatismo totalitarista (esemplare il percorso di Jean-Pierre) che sfocia in un tentativo di lotta armata.
Inevitabilmente è Gilles, il baricentro del racconto. L’adolescente che si dibatte oscuramente nei meandri della sua passione per la pittura, dal cui isolamento tenta in tutti i modi di fuggire, innamorato di Christine, a sua volta coinvolta con un gruppo di agit-prop cinematografico reduce da una puntata a Reggio Calabria per osservare le rivolte operaie. Gilles, renitente ad abbracciare il cinema così come lo pratica il padre, ossia da impiegato delle sceneggiature dei Maigret settanteschi che andavano un tanto al chilo, ma che vuole uscire da se stesso.
E poi, certo, c’è Laure, la magnifica Carole Combes, quasi più di Tina Aumont di Tina Aumont stessa, che scompare in un olocausto di fuoco, mentre Gilles fugge da Parigi alla volta di Londra.
Qui ritroviamo Gilles negli studi Pinewood, impegnato nella lavorazione di La terra dimenticata dal tempo di Kevin Connor (in realtà Olivier Assayas era stato a Pinewood a lavorare al Superman di Richard Donner ma il motivo per cui in Après-mai è finito il film di Kevin Connor è “perché è più divertente, con i tedeschi e i dnosauri”).
Après-mai non è la storia del 68, il titolo significa “dopo maggio”, né tantomeno vuole essere un’analisi storica di quel momento.
Il film è un viaggio attraverso le pieghe del tempo e della memoria volto al presente. Ogni nostalgia o retorica reducista è assente dal film di Assayas (motivo per cui in Italia un lavoro simile è quasi impensabile).
Racconto di formazione in grado di parlare anche a chi oggi ha “solo” 14 anni o poco più, Après-mai è il contraltare di Carlos. Entrambi i film, infatti, sono ritratti dell’artista da giovane, ed entrambi i film raccontano delle strade “che non presi”.
Il valore di entrambi i lavori e di raccontare queste storie come se esse fossero parte integrante del nostro presente (e lo sono), restituendole alla nostra storia e così facendo sottraendole alla retorica e all’ideologia (e, ovviamente, alla rimozione e al revisionismo).
Per tentare un’impresa simile ci vuole un regista della tempra e lucidità intellettuale di Olivier Assayas: uno che sa cosa significa essere arrivati “dopo maggio”.
(17 gennaio 2013)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.