Il film della settimana: “Sorelle d’Italia” di Lorenzo Buccella e Vito Robbiani

Giona A. Nazzaro

L’idea che sta alla base del film Sorelle d’Italia realizzato da Lorenzo Buccella e Vito Robbiani è semplice. Ascoltare cosa hanno da dire le donne italiane a partire dalle loro opinioni sull’attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. I due autori giustamente ci tengono a sottolineare in apertura che il loro film non è su Berlusconi ma sul paese osservato esclusivamente attraverso un’ottica femminile. Pertanto il film diventa un attraversamento, un viaggio, attraverso un territorio verbale e linguistico colto con estrema precisione nelle diverse tonalità e sfumature che lo compongono da nord a sud.

Così facendo i due autori di fatto saggiano, a livello orale, la tenuta stessa dell’idea di paese e di stato. Sorelle d’Italia, nonostante l’inevitabile polarizzazione estremamente forte delle opinioni espresse, evita davvero di essere un film su Berlusconi immergendosi nel tessuto del linguaggio di un paese che, sollecitato dall’occhio della videocamera, tenta di mettere in scena, con parole proprie (come si suol dire), un momento estremamente critico della vita politica, civile e sociale italiana.

Il viaggio di Sorelle d’Italia comincia ad Arcore e termina in Sardegna. I due registi bloccati dai Carabinieri davanti ai cancelli della villa arcoriana subiscono lo stesso trattamento davanti alla residenza estiva del premier. In mezzo ci stanno le parole delle donne italiane, e non solo, che pur essendo solo un campione, per quanto rappresentativo, offrono un ritratto molto complesso del regno di Berlusconi.

A partire da semplici sollecitazioni, i due registi riescono a immettersi nel flusso di un sentire molto forte e soprattutto molto lontano dalle banalizzazioni che ne operano i media ufficiali. Soprattutto operano sul territorio che ritorna a essere cassa di risonanza delle voci delle persone che lo abitano sottraendolo così alla sua misera funziona di mero dato statistico da utilizzare alla bisogna dei rispettivi tornaconto elettorali.

Buccella e Robbiani ascoltano davvero con lo sguardo senza mai intervenire e il montaggio opera con grande sensibilità un continuo oscillare non tanto delle opinioni quanto della dialettica che risuona tra un accento e un pensiero.
L’Italia, nel film di Buccella e Robbiani, torna a essere quindi una sorta di piazza dove la parola è ancora il veicolo principale delle idee e della lotta politica. E attraverso questo semplice spostamento del punto d’osservazione, Sorelle d’Italia riesce a fornire un ritratto niente affatto prevedibile del nostro paese.

Grazie a un gagliardo spirito avventuroso e genuinamente zavattiniano, Buccella e Robbiani pedinano l’Italia ascoltandola, usando la videocamera più come un registratore a nastro che come una 16mm da cinegiornale.
Lavorando sui suoni e le voci sul campo, in questo momento storico, i due registi compiono un notevole e appassionante campionatura antropologica (e fonetica) che è anche un’istantanea piuttosto attendibile dello stato del linguaggio all’apice del berlusconismo. E il ricordo, con tutte le differenze del caso, e senza volere insinuare alcun confronto, inevitabilmente corre alle tensioni colte da Comizi d’amore.

Sorelle d’Italia
è cinema inteso come servizio pubblico. Quel servizio pubblico che si tenta di bloccare e snaturare, offendendolo con grottesche parodie della cosiddetta par condicio.
Come dire: vedere oggi per sapere domani come eravamo ieri.

(27 aprile 2011)

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