Il film della settimana: “The Road” di John Hillcoat
Giona A. Nazzaro
THE ROAD di John Hillcoat (Usa, 2009) – Dal 28 maggio nelle sale
Cosa resta quando tutto scompare? Come resistere quando la resistenza non ha più senso e il tempo infinito resta il solo spazio da abitare?
Tratto dal omonimo romanzo di Cormac McCarthy, The Road di John Hillcoat è un film impressionante. Che fa paura e che s’insinua sotto la pelle.
Rispetto alla scansione ritmica della pagina, impossibile da tradurre filmicamente, il regista compie un incredibile tour de force formale e stilistico nel mettere in scena un mondo giunto al capolinea senza indebitarsi con il filone distopico o postcatastrofico.
Il mondo della fine di Hillcoat è una bolla beige sporca percorsa da feroci assassini cannibali che per fortuna restano sempre fuori campo.
Quando il mondo è finito, al limite basta evitare i sentieri battuti dagli altri per evitare un conflitto frontale. Anche se le guerre continuano a esistere persino dopo la fine.
Hillcoat filma con estrema precisione il venire meno dei corpi. La loro fame perenne, la loro paura, la loro sporcizia. E soprattutto riesce a rendere con lancinante dolore il grumo biblico che sta al centro del libro di McCarthy.
Un uomo e un bambino “portano il fuoco” in un mondo nel quale piove sempre. E quando non piove, piove cenere.
Con una secchezza priva di orpelli, il regista mette in scena la possibilità di un altro inizio. Un inizio che annega nel dolore e nella paura come un parto le cui doglie si protraggono per notti intere.
E soprattutto filma spietato i mille e oltre modi con cui un nascente nucleo sociale può essere annientato in un attimo.
Come un requiem nel segno di una disperata pietas, The Road è il lamento di un mondo finito che prova a rinascere ancora.
Se Cormac McCarthy riscrive con The Road la sua personale visione del mito della frontiera, Hillcoat, rischiando di bruciarsi a contatto con uno dei libri più intensi e motivati dello scrittore statunitense, riesce a rispettarne lo spirito tradendone (necessariamente) a tratti la lettera.
Probabilmente sono pochi i film che tentano in maniera così radicale di toccare lo spettatore. Hillcoat, già fattosi notare con The Proposition, è un cineasta che conserva negli occhi la memoria visiva della grande frontiera ma non è così ingenuo da fingere che nulla sia cambiato.
The Road non è solo il racconto di una fine che non è mai spiegata. È soprattutto il ritratto necessariamente spietato di come sia arduo ricominciare a vivere quando tutto intorno muore. Senza aggiungere una parola di spiegazione di troppo rispetto al romanzo, il film ne abbraccia la tesi mettendola in immagini. Immagini di una potenza visiva mai artefatta. Come la musica di Warren Ellis e Nick Cave, vuota e piena di echi.
Non è un film piacevole, The Road. Non blandisce i sensi dello spettatore. Vuole far male e ci riesce benissimo.
Il mondo, ancora una volta, non finisce con un boato, ma con un lamento. Lo sapeva T. S. Eliot. Lo sa McCarthty. Hillcoat, dal canto suo, mette in gioco tutto il suo talento, per conferire un’immagine credibile a questo lamento insostenibile.
Tu porti il fuoco?
(12 maggio 2010)
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