Il film della settimana: “Tra le nuvole” di Jason Reitman

Giona A. Nazzaro

TRA LE NUVOLE – Regia di Jason Reitman, con George Clooney (USA, 2009)

Parafrasando un bellissimo film di Hal Ashby, ci sono almeno 8 milioni di modi per morire. Uno di questi è il licenziamento. E in epoca di crisi economica globale e neoliberismo rampante agonizzante, ma pur sempre letale, spuntano nuove professioni. Di quelle che non aspetti.

George Clooney, come il Vincent Wolf di Pulp Fiction, risolve problemi. I problemi che gli imprenditori non hanno il coraggio di affrontare: mandare a casa la gente. E così, dopo anni di lavoro in un’azienda, un bel giorno si presenta il bellissimo George e ti annuncia che “No lavoro? No party!”. Ma siccome lui il suo lavoro lo sa fare molto bene, è pur sempre un esponente dell’ideologia produttivistica, ti spiega anche che il licenziamento è solo quel nuovo inizio che tu non hai avuto il coraggio di regalarti da solo. Licenziato? Ma no! Ringraziami piuttosto, ora puoi finalmente fare ciò che hai sempre voluto. E le rate della macchina, il mutuo, l’apparecchio dentale di tuo figlio e le lezioni di pianoforte di tua figlia aspettano un po’ ma poi tutto si aggiusta.

George Clooney è un killer. Viene ingaggiato come il Léon di Besson quando gli imprenditori hanno bisogno di un lavoro pulito. Tra le nuvole è forse il film più attendibile sulle devastazione che la crisi ha introdotto nella vita delle persone che (ancora) lavorano. Reitman costruisce il suo film con la perizia di un Garson Kanin, affronta il paesaggio americano con l’attenzione di un Frank Capra, filma schermaglie di seduzione come un Mankiewicz e schizza veleno come Blake Edwards.

Pare che ti accarezzi, Reitman. E invece nasconde il randello dietro la schiena. Al contrario di Michael Moore che blandisce lo spettatore e lo fa sentire dalla parte degli umiliati e offesi, Reitman ci porta dalla parte dei colpevoli e ci mette al loro posto. Costringe a pensare perché non conforta i nostri pregiudizi. Tu che faresti pur di lavorare? E raramente il costo di un lavoro fatto bene nel cinema americano è stato più devastante. Il complimento per eccellenza, “A good job”, diventa un epitaffio per migliaia di individui.

Come un angelo della morte che vuole solo conquistare il suo record di voli e miglia percorse, il buon George abbandona la terra e volteggia solitario per il cielo. E non vede più nulla anche se è convinto di controllare tutto. Al punto che si convince che può persino cambiare vita. Già. Il problema è che il sistema economico difeso dalle persone come George modella gli individui a propria immagine e somiglianza in base alla priorità del lavoro e al ricatto che esso possa mancare da un momento all’altro.

Tra le nuvole è un capolavoro. Un film straordinario non solo per il suo indiscutibile valore politico che ridicolizza il saccente Moore, ma soprattutto per come reinventa, con classe cristallina e gusto impeccabile, il saettare dell’intelligenza della commedia sofisticata hollywoodiana. Ritmo, eleganza, ferocia. Tre elementi che s’intrecciano con sapienza creando un meccanismo perfetto che seduce lo sguardo e pugnala senza pietà il cervello con la sua crudele analisi che non fa sconti a nessuno.

(17 febbraio 2010)

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