Il film della settimana: “Tutti contro tutti” di Rolando Ravello
Giona A. Nazzaro
La commedia sembra essere il destino del cinema italiano, così come il cinema “politico” sembra essere la sua vocazione. Senza prolungarsi in inutili sociologismi approssimativi sul perché gli italiani che non hanno molto da stare allegri preferiscano andare al cinema per ridere, non si può fare a meno di notare che sarebbe comunque ingiusto buttare la bacinella dell’acqua sporca della commedia all’italiana con il bambino della qualità.
Purtroppo, a conti fatti, non sono poi molte le commedie degli ultimi anni che vale la pena salvare (a nostro modestissimo avviso). A memoria ne citiamo tre: Si può fare (di Giulio Manfredonia), Nessuno mi può giudicare (di Massimiliano Bruno), e Ci vediamo a casa (di Maurizio Ponzi). Senza contare, ovviamente, gli ultimi exploit di Carlo Verdone (Io, loro e Lara, Posti in piedi in Paradiso) che ancora una volta evidenziano l’umiltà di un fondista del cinema comico italiano che sapientemente coniuga il sorriso con un caldo umanesimo di matrice popolare.
Tutti contro tutti, esordio dietro la macchina da presa di Rolando Ravello, si può ascrivere senza ombra di dubbio a quel drappello sparuto di film che tentano di rinnovare dall’interno la commedia italiana, senza rinunciare né al sorriso né al dialogo con la società.
Se si può e si deve rimproverare al nostro cinema l’assoluta incapacità di osservare la società al di là degli steccati e categorie di classe forniti dalla ideologia borghese, allo stesso modo non si devono trascurare quei lavori che invece desiderano mettersi in relazione con quella parte della società italiana che vive al di là dei valori promulgati dallo schermo televisivo tentando anche di sciogliersi, per quanto possibile, dalla retorica del politicamente predicato dagli scampoli della sinistra italiana.
In questo senso Tutti contro tutti, agile commedia corale che Ravello conduce con mano sicura attraverso una sceneggiatura costellata di chiaroscuri e firmata in tandem con Massimiliano Bruno, si offre come un potenziale modello (anche se ovviamente siamo convinti che non era certo questa l’intenzione degli autori) per una commedia adulta, lontana dalle semplificazioni in dialogo con il tempo presente.
Ravello, lo ricordiamo in Romanzo di un giovane povero di Ettore Scola e nei successivi film del maestro come La cena, Concorrenza sleale e Gente di Roma, si ricorda di una lezione fondamentale della commedia all’italiana: permettere sì agli interpreti di portare il tema del film per permettere ai comprimari assoli e improvvisazioni, ma soprattutto organizzare una credibilità ambientale e territoriale tale da evitare generalizzazioni e approssimazioni.
In questo senso il suo film riparte consapevolmente da Il tetto di Vittorio De Sica, aggiorna il modello di Brutti, sporchi e cattivi di Scola (con infinitamente meno veleno, va detto…) e ricordandosi persino della tenuta delle migliori stagioni della sitcom di RaiTre Un posto al sole (che a suo modo ha reinventato un certo neorealismo rosa) compone una commedia lieve e cogitabonda che a tratti sembra come scrutare da lontano il magistero comenciniano.
Il film di Ravello è ambientato in un paese dilaniato dalla povertà, dall’assenza di regole e di qualsiasi tutela sociale. Come dire: c’era una volta, tanto tempo fa, un paese e adesso non c’è più.
Agostino, il protagonista, ispirato a un amico dell’attore e regista, alle prese con il problema di ritornare in possesso del suo appartamento occupato, sottrattogli da un altro disperato durante la cerimonia della prima comunione del figlio Lorenzo (una velocissima strizzatina d’occhio a Blasetti?), deve far quadrare il cerchio mentre la sua vita va a rotoli. Perché senza tetto proprio non si può stare.
Fra ras del quartiere xenofobi (l’impagabile Antonio Gerardi), un coro greco strafumato che sembra richiamare alla memoria gli sfaccendati di Fa’ la cosa giusta di Spike Lee nel quale spicca lo Scrocchiazeppi Riccardo De Filippis, un nonno saggio ma rompiscatole, rompiscatole ma saggio (il magnifico Stefano Altieri, degno del Paolo Panelli de Il conte Tacchia di Sergio Corbucci) e un Marco Giallini sempre eccellente per come riesce a calibrare i tempi comici, mettersi al servizio del racconto alternando, sovente nell’arco della medesima battuta, una malinconia sconfinata e un disperato ottimismo rassegnato che si risolve fulmineo in una gag verbale.
Tutti contro tutti, proprio come Acab, ci dice che siamo diventati tutti un po’ più razzisti del normale. Che la povertà e la disperazione si sta mangiando, un morso dopo l’altro, la nostra dignità e le speranze residue.
In assenza di una progettualità politica degna di questo nome, il film di Ravello propone una soluzione semplice, magari, ma tutt’altro che un banale placebo. Che fare quando i tuoi vicini si ritrovano a dormire su un pianerottolo? Semplice: li fai entrare a dormire a casa tua. Una soluzione così “semplice” da essere quasi “scandalosa” nella sua ovvietà. Da gesti di banale quotidianità, come non far pagare un trancio di pizza al taglio, può rinascere magari uno straccio di solidarietà in grado di resistere agli abusi retorici della politica. E magari indignarsi per davvero quando “qualcuno” incendia un campo Rom.
Sono molti, dunque, gli elementi di interesse di un film come Tutti contro tutti cui si può rimproverare semmai una presenza eccessiva della musica di Alessando Mannarino e Tony Brundo che invade lo spazio del film con soluzioni ritmiche, melodiche e timbriche che a tratti rischiano quasi di sostituirsi al racconto stesso (anche se è chiaro che l’idea di partenza doveva essere un po’ quella di creare una ballata urbana dai sapori tzigani…).
Nella sua umiltà, Tutti contro tutti evita di dare giudizi, rilancia dei valori elementari a volte troppo dimenticati, affermando che la dignità delle persone coincide, a volte, con l’avere un tetto sulla testa che ti permette di trascorrere la notte al riparo.
Insomma, Tutti contro tutti è un piccolo film modesto ma motivato che senza nascondere i propri limiti si mette in gioco e non nasconde mai la mano.
(3 marzo 2013)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.