Il film della settimana: “Vallanzasca – Gli angeli del male” di Michele Placido
Giona A. Nazzaro
Michele Placido oggi incarna al meglio l’idea di cinema civile che una volta fu di Francesco Rosi. Certo Placido non possiede il rigore illuminista del maestro napoletano, ma sopperisce abbondantemente con un’idea non derivativa di morale (del cinema e non) e tanta mediterranea passionalità che permettono al suo cinema di procurare sempre delle sorprese.
Per dirla con Andrea Martini che su le pagine de La Nazione recensiva Le amiche del cuore, "Placido non è un innovatore, ma ha fiducia nel cinema". Motivo per cui anche risultati non del tutto convincenti offrono sempre motivi d’interesse in virtù della schiettezza verace con la quale il Placido regista affronta tutti i suoi film. E se è vero che il cosiddetto cinema di denuncia è un genere a parte in Italia è altrettanto vero che Placido non lo ha mai affrontato dal versante banalmente politicamente corretto. Come il Damiano Damiani doc degli anni Settanta ha sempre attribuito il giusto valore alla spettacolarità e come Rosi è sempre riuscito a dare voce al suo sdegno conservando una lucidità che gli permesso con gli anni di diventare uno dei registi italiani più appassionanti. A Placido più che denunciare interessa fare cinema.
Vallanzasca – Gli angeli del male è probabilmente il miglior film di Michele Placido dai tempi di Del perduto amore e Un eroe borghese e il miglior film poliziesco italiano dai tempi lontani de Il camorrista di Giuseppe Tornatore.
Rispetto a Romanzo criminale vanta una coesione esemplare e un ritmo implacabile, laddove il film tratto da De Cataldo purtroppo si slabbrava con il procedere del racconto. Come nel miglior cinema di Carlo Lizzani, Florestano Vancini e Giuliano Montaldo, Placido si posiziona saldamente nel tessuto della società italiana che vuole mettere in scena riuscendo contestualmente a renderla al presente. Il sorgere dell’astro criminale di Renato Vallanzasca va contestualizzato, infatti, nell’insieme delle contraddizioni sociali ed economiche dell’Italia del tempo, società nella quale la classe operaia tentava di far ascoltare la sua voce e l’offensiva padronale era fortissima.
Vallanzasca, pur estraneo a queste dinamiche sociali, è un prodotto di quella società. E ad essa va ricondotto se si vuole provare a ragionare invece che invocare solo roghi purificatori. Placido, da cineasta lucidamente viscerale qual è, fa esattamente questo. Gli bastano pochi tocchi per presentare un ambiente credibile e le pulsioni fameliche di chi si pone al di fuori di qualsiasi contesto, politico e sociale, pur di perseguire un modello di vita fatto balenare come miraggio dall’economia ma di fatto irraggiungibile se non per pochi. Soprattutto Placido evita un’altra tentazione: psicologizzare Vallanzasca. Fornirgli alibi. E questa è in sé una scelta profondamente morale.
Coadiuvato in maniera mirabile da un superbo Kim Rossi Stuart, un fascio di nervi tutto teso nelle sue azioni, e sembra di vedere all’opera le raccomandazioni che Nick Ray forniva ai suoi studenti di regia, Vallanzasca emerge come un uomo libero nel film di Placido. Il regista e l’attore permettono a Vallanzasca di vivere all’interno del loro film permettendo in questo modo allo spettatore di esercitare il proprio giudizio. Non sono molti i film che mettono in atto questa democrazia diretta. Placido (e Rossi Stuart) rifiutano il film con la condanna già preconfezionata. Osano invitare alla discussione. Osano pensare. Soprattutto osano riaprire il discorso su alcuni anni della vita di questo paese troppo frettolosamente archiviati nel segno di generiche condanne moralistiche, mentre altre condanne ancora non sono state pronunciate e probabilmente mai lo saranno. È questo il vero scandalo. Non Vallanzasca. Lui, il fuorilegge che si dichiarava tale, ha fatto la sua guerra allo stato, l’ha persa e sta pagando. Ricordiamolo: quattro ergastoli e 260 anni di reclusione.
Il vero problema che un film come Vallanzasca pone, a quanto pare un problema vero, è che sottrae il monopolio della storia recente, un tabù per la classe politica, al silenzio dei faldoni polverosi per restituirla all’attualità. Come dire che la storia è "cosa loro". Ma film come questo di Placido compiono un vero e proprio "esproprio cinematografico" facendo sì che la storia diventi un po’ anche… "cosa nostra". Eppure, nonostante l’evidente rigore politico che ispira il fare cinema di Placido, il regista e attore non si dimentica che il vero e solo gesto politico è fare del cinema perché per citare ancora una volta Jean-Marie Straub "per un cineasta sbagliare inquadratura è come per un politico sbagliare politica".
A Placido con Valllanzasca è riuscita una vera e propria jam session. Non che Romanzo criminale non ambisse a questa dimensione corale, ma in quel caso il gioco fra il riff e gli assoli non era messo a fuoco perfettamente. Qui il tiro è perfetto. Il film parte in quarta, lancia il tema e i solisti, tutti superbi, si danno il cambio e si spalleggiano come la più levigata delle band. Senza contare che il film è tutto calato nell’incubo di Vallanzasca. Il mondo esterno è solo una proiezione di un uomo in fuga. Ed è questa dimensione così fragile e unica che permette al Vallanzasca di Placido e Rossi Stuart di essere "libero" per la durata del film. E in questo modo anche lo spettatore può fare l’esperienza critica di questa libertà indicibile lordata di sangue.
Contro le verità uniche, Vallanzasca – Gli angeli del male si permette di dissentire. Il silenzio organizzato è sempre una censura. E come non ricordare, con Giuseppe Gariazzo, che "c’è una coscienza profonda del filmare, in Placido, che porta a una tensione visiva rara da individuare nel cinema (italiano e non solo) contemporaneo. Ogni evento trae forza e nutrimento dalle immagini, da un rapporto profondo che si instaura fra suoni e luci, rumori e corpi. La politica e il cinema dell’impegno non rimangono radicati su posizioni schematiche".
Davvero: se dovessimo indicare un modello di cinema industriale, popolare e d’autore al tempo stesso, questo non potrebbe non assomigliare al cinema di Michel Placido e a un film come Vallanzasca – Gli angeli del male.
SEI DOMANDE A MICHELE PLACIDO
Come mai la RAI non ha voluto produrre il film?
"I funzionari incaricati hanno detto che non si trattava di un film adatto alla RAI. Magari oggi diranno che invece aspettavano solo di sistemare alcuni dettagli formali, ma resta il fatto che non hanno voluto produrre il film".
Che cosa pensa della Lega Nord che chiede di boicottare il film?
"Si tratta solo di una mossa pubblicitaria in vista delle elezioni. Viviamo in mezzo agli scandali della politica e mai una parola di denuncia da parte dei politici. Usano la morale come un tornaconto politico. Invitare a boicottare un film mi fa pensare a Hitler e Mussolini. La cosa interessante è che l’unico film che il popolo della Lega Nord ha boicottato è stato Barbarossa dedicato ad Alberto da Giussano e voluto dalla stessa Lega. Un film prodotto dalla RAI, costato 12 milioni di euro presi dalle tasche dei contribuenti, che ne ha incassato 300.000".
L’accusa contro il suo film è la solita: glorificare un assassino.
"Sarà la nostra origine cattolica che ci obbliga sempre all’imitazione di Cristo, al
contrario dei paesi anglosassoni dove c’è stata la riforma nei quali hanno un rapporto diverso con il male. D’altronde io stesso ho interpretato numerosi religiosi. Basti pensare ad autori come Dostojevski e Shakespeare che si sono confrontati instancabilmente con il male. Il mio film non esalta un criminale. È la storia di un uomo che si è posto fuori dalla legge, che ha causato morte, ha versato sangue e ha pagato in maniera durissima questa sua scelta".
Rispetto alle difficoltà incontrate dal film in fase di produzione non si corre il rischio che il cinema italiano debba trasferirsi all’estero proprio come i precari in cerca di lavoro?
"Sono d’accordo. Stanno mettendo il bavaglio al cinema italiano. Di questo passo non saremo più in grado di fare il cinema dei Francesco Rosi e di altri registi che hanno reso importante il cinema italiano. Va bene la commedia e siamo tutti contenti del successo che ottiene, ma bisogna creare spazio anche per un altro cinema. Oggi in Italia io non riuscirò mai a fare Mani pulite. Bisogna trovare nuove strategie per far partire i propri progetti dall’estero. Far partire i progetti da Parigi, Berlino e poi farli entrare in Italia. Per Mani pulite intendo muovermi in questo modo e anche il mio prossimo film sarà prodotto in Francia".
Sembra che Vallanzasca si sia sentito tradito dal film.
"Accettando di fare il film avevo messo le cose in chiaro. Anche che se si tratta della sua vita il film avrebbe riflesso solo la mia visione dei fatti. Non faccio sconti a nessuno. Mi interessava il percorso compiuto da quest’uomo passato attraverso la follia criminale e giunto all’espiazione. Quanto Vallanzasca si è finalmente arreso allo Stato, ha smesso di tentare evasioni, ha iniziato un percorso di espiazione che poco alla volta lo ha portato a diventare un altro uomo in grado di fare i conti con le sue scelte del passato".
Il film possiede una sua moralità inconfondibile.
"A questo proposito mi fa piacere riportare quanto mi è stato detto da un sacerdote a Venezia dopo la proiezione. Mi ha detto che è un film estremamente morale perché dimostra come la follia del volere sempre di più conduce all’autodistruzione. Si è detto convinto che si tratti di un film che i giovani devono vedere per non ripetere gli errori di chi li ha preceduti".
(a cura di Giona A. Nazzaro)
KIM ROSSI STUART PARLA DI VALLANZASCA – GLI ANGELI DEL MALE
"È una cosa veramente assurda. Ci si continua ad accanire da 35 anni contro un uomo che ha pagato e sta ancora pagando per tutti i crimini che ha commesso. Un uomo che ha sempre dichiarato di essere un fuorilegge. Non ha mai negato di essere un fuorilegge. E ha pagato con una vita in carcere. Ma lo scandalo è sempre e solo Vallanzasca. E a gridare allo scandalo sono magari quelli che protetti dalla loro ipocrisia non si indignano di fronte ai crimini della speculazione edilizia che provoca morte e disperazione. Un’ipocrisia davvero eccessiva. Gente che dice ‘io sto dentro le regole’, e invece non ci sta. Tutt’altra cosa, invece, è il rispetto dovuto alle vittime e i loro familiari che hanno tutto il diritto di vigilare. Rispetto la posizione dei parenti delle vittime, che non vogliono perdonare Vallanzasca anche se ha cambiato vita. Abbiamo girato cinque scene al giorno. Un ritmo incredibile. Senza contare il freddo del carcere di San Vittore. Ciò che si vede sullo schermo è quanto ho compreso del personaggio. Ho tentato di restituire ciò che ho assimilato. Il nostro è un film su una persona vivente. Ho conosciuto Vallanzasca. Prima delle riprese ci siamo visti sette, otto volte. I dialoghi del film sono il frutto delle nostre conversazioni e li abbiamo riportati senza alcun cambiamento. La violenza non mi appartiene e lui oggi è un altro uomo. M’interessano però la coabitazione di elementi contrastanti e iperbolici. Per questo motivo si fanno i film. A questo proposito mi fa piacere riportare quanto mi è stato detto da un sacerdote a Venezia dopo la proiezione. Mi ha detto che è un film estremamente morale perché dimostra come la follia del volere sempre di più conduce all’autodistruzione. Si è detto convinto che si tratti di un film che i giovani devono vedere per non ripetere gli errori di chi li ha preceduti".
(20 gennaio 2011)
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