Il fondamentalismo liberista, l’ultima delle ideologie
Egregio Direttore,
Stiamo vivendo una situazione economica drammatica, le persone perdono il lavoro, gli Stati per salvare le loro economie si sono indebitati fino al collo (e noi cittadini con essi). Eppure viene spontaneo chiedersi se stiamo vivendo solo un brutto sogno, la situazione appare infatti surreale. Solo vent’anni fa, nel 1989, cadeva il muro di Berlino, il modello liberal-democratico dei Paesi Occidentali coglieva una storica vittoria sugli Stati comunisti economicamente collassati. Invece, oggi le economie di quegli stessi Paesi occidentali sono boccheggianti, il loro debito pubblico e le loro imprese sono in gran parte nelle mani dei fondi sovrani di Stati certamente non liberali: i Paesi arabi del golfo, la Russia di Putin e la Cina comunista (quest’ultima ospita anche una parte notevole del sistema produttivo un tempo dislocato a casa nostra).
Buon Dio, ma non avevamo vinto? Perché in appena vent’anni (1989-2009) siamo passati velocemente da uno storico trionfo all’ennesima colossale crisi finanziaria e del nostro sistema sociale? Cosa è successo nel frattempo? Porsi queste semplici domande è doveroso, qui cercheremo di dare anche qualche risposta partendo dalla malapianta del dogmatismo ideologico.
Serissimi studi ci hanno illustrato le conseguenze nefaste di un approccio ideologico alla realtà (nazismo e comunismo). Ci hanno giustamente spiegato che gli Stati comunisti sono collassati perchè la gabbia ideologica marxista aveva reso schiavi i loro cittadini e soffocato le loro economie. Abbiamo pensato di andare finalmente verso un mondo libero dalle ideologie dove, come insegnava Isaiah Berlin, non esistessero valori ultimi assoluti (libertà, uguaglianza, giustizia, religione ecc…) a cui immolare vite e sacrificare esistenze. Una società liberale il cui obiettivo (sempre citando Berlin) è quello di realizzare non una società perfetta, ma una “società decente”, improntata alla responsabilità individuale, una società che non nasconda i conflitti ma li attenui. Riconoscendo che in una società autenticamente liberale anche l’antagonismo e le differenze sono una ricchezza ma che, poiché nessuno dei valori è assoluto nessuno può essere pienamente soddisfatto, devono esistere concessioni reciproche che li compongono. Per dirla con le parole di un altro grande liberale (Darhendorf) l’obiettivo di una società deve essere quello di far quadrare il cerchio della creazione di ricchezza, della coesione sociale e della libertà politica. In questo disegno liberale, improntato all’empiria del vivere sociale, è essenziale il ruolo della politica che queste equilibri deve cercare, interpretare ed applicare. Il pensiero liberale sa che la storia ha sempre un suo lato oscuro, che gli esseri umani hanno un lato violento legittimato dalla cultura dominante di turno e questa consapevolezza è una pratica di vita prima che di pensiero. Le libertà che abbiamo oggi ci possono essere tolte domani poiché l’ideologia è un mostro sempre in agguato.
Purtroppo il mostro che l’avrebbe fagocitato il liberalesimo politico l’aveva proprio in casa, il dogmatismo liberista ha rapidamente soppiantato il dogmatismo marxista sostituendolo come pensiero unico dominante. Il liberismo ne ripercorre anche il metodo di divulgazione e il tono da crociata: operare una brutale semplificazione della complessità storica individuando un unico colpevole di tutti i guai dell’uomo, proporre l’eliminazione di quella causa come miracolosa soluzione verso la società perfetta. Così il marxismo additava la proprietà privata come causa di tutti i mali del mondo, e indicava la lotta di classe e l’abolizione dello Stato borghese (che la proteggeva) come naturale soluzione. Parimenti, l’ideologia liberista individua nello Stato la causa di tutti i mali, al suo interventismo nella società imputa la lesione della libertà degli individui, alla sua eccessiva produzione di moneta l’inflazione e la povertà: imporre una drastica privatizzazione, ridurre all’osso le regole, applicare una rigida politica monetarista sono l’ovvia panacea per la società perfetta!
I liberisti, fautori di questo progetto ideologico, hanno il loro profeta in un grande pensatore, Friedrich von Hayek, che, nonostante la seconda guerra mondiale allora in corso, aveva come suo principale incubo non Adolf Hitler ma l’interventismo dello Stato nella società e nell’economia. Proprio nel 1943, nel pieno del secondo conflitto mondiale, scriveva un duro pamphlet contro il governo di coalizione di Churchill, “La via della servitù” (The road to Serfdom)” denunciando l’economia di guerra come il tentativo di statalizzare la società, dedicandolo ironicamente “… Ai socialisti di ogni partito”. Successivamente il premio Nobel Milton Friedman completerà l’operazione ideologica, rilanciando il monetarismo e delegittimando quel keynesismo (lo strumento economico dell’interventismo statale) che aveva permesso di uscire da una crisi del capitalismo più grave di quella odierna.
Un ultimo punto di contatto accomuna gli ideologi liberisti a quelli marxisti: l’obiettivo di liberarsi della concorrenza in casa. Il marxismo per decenni ha cercato di sbarazzarsi (senza successo) dei cugini socialisti, i crociati del liberismo economico hanno fatto lo stesso (con successo) del pensiero politico liberale che verrà liquidato come anticaglia storica. A partire dal comune anticomunismo, la carta vincente dell’ideologia liberista sarà la sua alleanza con il pensiero conservatore e la destra religiosa (cattolica e protestante), trovando in essi il suo completamento ideologico nei confronti delle masse. Così nasce la rivoluzione conservatrice (o liberismo conservatore) incarnata politicamente da Reagan e dalla Thatcher e poi, sotto varie forme, diffusasi in tutto l’Occidente. L’assalto alla sua neutralità è il prezzo che lo Stato laico pagherà a questa “santa alleanza”, che vede la destra religiosa cercare di radicarsi o farsi Stato (parallelamente al ridursi dell’interventismo statale si incentiva quello religioso come suo naturale succedaneo).
Il fatto di imporsi come cultura dominante negli USA e in Gran Bretagna, ha reso più semplice agli ideologi liberisti appropriarsi moralmente del merito della caduta del muro di Berlino, proponendosi come una evidenza storica invece che come semplice progetto ideologico. Anche qui (con altri attori) si ripropone un copione già visto. Se il marxismo si era sfacciatamente proposto come “scientifica” soluzione della crisi del sistema capitalistico, il liberismo conservatore si è propagandato tout-court come il fattore storico del successo dei Pesi aderenti alla NATO su quelli del “Patto di Varsavia”. L’esito di questo lungo conflitto è stato estrapolato dal suo naturale contesto storico (epilogo di un complesso scontro tra Stati ed alleanze) per trapiantarlo di sana pianta su piano interamente ideologico: Dio e il mercato hanno trionfato sul sistema comunista. Da quel momento tutto quello che non era ideologicamente liberista è stato bollato come storicamente obsoleto, da abbattere, anche all’interno degli stessi Stati occidentali (primo fra tutti il Welfare State). Invece, ai Paesi del terzo mondo ed ex comunisti sono stati imposte cure da cavallo di politica liberista e di monetarismo che hanno lacerato del tutto il loro fragile tessuto sociale. La creazione forzosa di manodopera a basso costo è stata pagata da colossali flussi migratori che si sono riversati verso i paesi (ricchi?) dell’Occidente. La violazione dei
più elementari diritti di libertà (vedi la strage di Tien an Men e la guerra nell’ex Yugoslavia) ha prodotto solo reazioni di facciata ed un tardivo intervento militare limitato alla sola Serbia. Localismi e Nazionalismi si sono diffusi a macchia d’olio: il liberalesimo politico era già sepolto.
Il liberismo economico oltre a divinizzare il mercato come valore assoluto ha propagandato l’idea tout-court dell’inutilità della politica e degli stessi Stati (relegati a gendarmi del capitalismo della manodopera a basso costo), impedendo di vedere le evidenti storture che esso stesso aveva scatenato. L’odio nei confronti delle leggi (che dallo Stato promanano) si è tradotto in una generale avversione nei confronti delle regole, cosa che ha favorito sistematiche speculazioni e truffe finanziarie su scala planetaria. La nascita dell’antipolitica ne è una ulteriore naturale conseguenza, con il proporsi di figure che fanno delle loro ricchezze e dello smantellamento dello Stato il loro principale merito politico.
Invece di esportare un modello di liberal democrazia, di “società decente”, questi fanatici ideologi, che da anni monopolizzano i mass media, hanno imposto una magica visione del mercato che attraverso una taumaturgica “mano invisibile” risolve tutti i mali del mondo (globalismo economico). Agli Stati sorti dalle macerie del comunismo è stato assegnato l’unico ruolo di assecondare il mercato; raccomandando loro di considerare i sindacati, il diritto di sciopero e la sicurezza sui luoghi di lavoro eresie da tenere lontane! Questo estremismo ideologico, ha semplicemente fatto il buon gioco del capitalismo concreto, quello degli speculatori senza scrupoli che hanno potuto esercitare concorrenza sleale delocalizzando le loro produzioni in Paesi dove i costi del lavoro erano tenuti artificialmente bassi da politiche illiberali e oppressive. Nel più assoluto silenzio si sono legittimate colossali operazione di dumping economico, mettendo fuori mercato gli stabilimenti industriali allocati nelle Democrazie occidentali. Invece di denunciare questo colossale imbroglio, si sono via via colpevolizzati i lavoratori occidentali, convincendoli che la causa della crisi stesse nei loro alti salari, nelle loro troppo tutele ed in un Welfare State troppo oneroso. A nessuno (neanche a sinistra) è venuto in mente che esportare (oltre che liberismo) anche un po’ di sano sindacalismo avrebbe garantito sia migliori condizioni di vita ai lavoratori dei Paesi del terzo mondo ed ex comunisti, e sia una reale credibilità allo stesso principio della libera concorrenza del mercato. Ma è anche vero che mentre le imprese multinazionali si sono mosse istantaneamente alla conquista dei nuovi Paesi ex comunisti, i sindacati occidentali sono rimasti arroccati nella difesa delle loro comode poltrone. Gli effetti di due decenni di questa ortodossia liberista sono stati palesi. Gli Stati occidentali, svuotati di gran parte del loro apparato produttivo, hanno perso molto del loro potenziale economico e di conseguenza del loro peso geo-politico. La loro coesione sociale è stata gravemente minata dal venir meno delle garanzie sociali, dovendo contemporaneamente ospitare anche crescenti flussi migratori.
Si ricorderà come negli anni ’70, nel pieno della crisi degli euromissili, da destra si bollarono i pacifisti che sfilavano in massa con l’epiteto di “utili idioti”, accusandoli di indebolire i Paesi NATO al loro interno. In realtà essi non fecero alcun danno perché gli “euromissili” rimasero al loro posto fino al ritiro degli SS20 sovietici. Lo stesso non può dirsi del pensiero unico liberista che ha prodotto in due soli decenni un ribaltamento delle posizioni storiche. Paesi usciti vincenti dalla Guerra Fredda oggi sono in evidente declino, viceversa Paesi che la Storia aveva messo fuori corso oggi sono nuovamente protagonisti (la Cina è solo il caso più eclatante). Proprio i leader del partito comunista cinese, con realismo politico e cinismo storico, hanno pazientemente aspettato che la fame di guadagno dei capitalisti veri ed il fanatismo dei loro ideologi portasse le imprese ed il potere economico direttamente a casa loro; gli è bastato giusto cannoneggiare Piazza Tien an Men per convincerli che nessuna cultura liberale o tutela sindacale avrebbe ostacolato i loro affari e profitti. Almeno per riconoscenza sarebbe doveroso che le elitès politiche cinesi (e non solo) istituissero una giornata nazionale del ringraziamento, ai veri utili idioti che hanno riconsegnato loro le chiavi della leadership della storia odierna. Dalle nostre parti invece sarebbe importante riconoscerli e metterli culturalmente in quarantena come portatori dell’ennesimo, letale, virus ideologico che ha intossicato le nostre società. Sarebbe un primo passo per impostare un percorso di uscita dalla spirale di declino geo-politico, povertà economica ed insicurezza sociale in cui questo liberismo conservatore ha precipitato le nostre Democrazie.
Giuseppe Dalmazio, Siracusa
(23 febbraio 2010)
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