Il futuro? È delle donne e in Europa

Moni Ovadia

Pubblichiamo la prefazione del libro “Europee. Dieci donne che fanno l’Europa” (Textus Edizioni). Un testo – frutto di dieci testimonianze al femminile – “necessario per capire e per non essere travolti dagli slogan di sedicenti sovranismi che puzzano lontano un miglio di stantio nazionalismo dei cui esiti abbiamo già fatto esperienza con due conflitti mondiali e tutto il loro bagaglio di morte, di sangue e di orrori”.



La prefazione di un libro, solitamente, è richiesta da chi lo ha scritto a una persona di cui si ha stima per conferire all’opera che si intende pubblicare un plus. Ebbene questo non è il caso. Sono io che ricevo dal fare questa prefazione, un dono e un onore.

Ben dieci donne di alto profilo umano e professionale, impegnate a vario titolo ma con un idem sentire a edificare l’Europa che tutti gli autentici democratici hanno sognato e che, malgrado le delusioni talora cocenti, non cessano di sognare e di volere come irrinunciabile orizzonte, si sono affidate a un maschio per presentare le loro esperienze e le loro visioni europee ed europeiste.

La prima cosa che mi sento di fare, è quella di presentare i loro nomi uno per uno, con la preghiera ai lettori di impararli bene e di collegarli con attenzione alla lettura delle loro testimonianze per potere in futuro parlare di Europa comunitaria evitando superficialità e affermazioni generiche.

Le autrici sono nell’ordine: Silvia Bartolini, Antonia Battaglia, Giovannella D’Andrea, Monica Frassoni, Annalisa Gadaleta, Isabella Lenarduzzi, Marina Marchetti, Elly Schlein, Francesca Venturi, Daniela Vincenti.
Queste dieci donne, a mio parere, rappresentano ciascuna nel proprio ruolo, individualmente e tutte insieme, un paradigma dell’Europa. Le loro biografie, il loro impegno personale e professionale mostrano che, al di là degli eurodisfattismi di risulta, l’Europa unita c’è, tanto più essendo legittimati a indurre che la passione di queste europeiste italiane, verosimilmente si riverbera e si sinergizza con altrettali parlamentari, funzionarie, politiche, militanti degli altri paesi dell’Unione.
Il mio entusiasmo per questa opera collettiva e per le sue magnifiche autrici, non è un peloso atto di piaggeria maschilista nei confronti di donne colte, impegnate, autorevoli e indipendenti, ma una constatazione che il loro essere convinte sostenitrici dell’Europa come imprescindibile prospettiva della democrazia di ciascuno dei nostri paesi, non si fonda su un’adesione acritica o su un facile entusiasmo ma, al contrario, sull’attraversamento consapevole di tutti i disincanti, le delusioni, i fallimenti, i mediocri compromessi, i limiti burocratici che tuttavia non possono distruggere le conquiste, i valori e le realizzazioni, le inedite possibilità.
Ritengo che oggi questo libro ci sia necessario per capire e per non essere travolti dagli slogan di sedicenti sovranismi che puzzano lontano un miglio di stantio nazionalismo dei cui esiti abbiamo già fatto esperienza con due conflitti mondiali e tutto il loro bagaglio di morte, di sangue e di orrori.
Questo gruppo di europee è straordinario proprio nel mostrarci che un impegno autentico si affronta come la vita, che non è una festa in discoteca. Siamo chiamati ad accettare e a mettere in conto cadute, ferite, sconfitte, offese e le donne conoscono questo travaglio che, per sopramercato, devono affrontare in quanto donne, soprattutto quando rivendicano la loro intrinseca dignità e il loro merito e non si fanno cooptare con scorciatoie accettando logiche machiste come troppo spesso abbiamo visto nella nostra politica nazionale.
Il male e le sofferenze non possono fermare l’imperativo di continuare la lotta per edificare l’Europa come concepita nel manifesto di Ventotene, l’Europa degli esseri umani e dei diritti universali.

E c’è un altro ammaestramento in questa opera che si contrappone con nitore e chiarezza alla sottocultura mediatica che ci ammorba all’insegna del non-pensiero: «La mia ignoranza vale quanto il tuo sapere», il rifiuto della faciloneria, un termine abbandonato che dobbiamo reintrodurre nella nostra lingua per stigmatizzare la pestilenziale retorica da bar sport che riduce il discorso politico a caricatura con effetti distruttivi sul piano della civiltà sociale.

© Textus Edizioni

(6 dicembre 2018)




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