Il G8 oltre gli effetti mediatici e la scenografia delle macerie

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di don Raffaele Garofalo

In un brano del Vangelo Cristo raccomanda di dare ai poveri “quod superest”. Per molto tempo si è interpretato che ai bisognosi andava “ciò che avanza”, l’“elemosina”. Riferendosi al contesto del banchetto, durante il quale la frase sarebbe stata pronunciata, altri traducono: “ciò che è sopra” (il tavolo del convivio), cioè il cibo, l’indispensabile per vivere. E’ il concetto della condivisione, il divieto della “sperequazione” di cui parla anche Benedetto XVI.
Il G8 ha richiamato alla mente la mensa del “ricco epulone”. Nel 2001 a Genova i grandi si assunsero l’impegno della lotta globale alla povertà e di dimezzare il numero dei destinati a morire per fame entro il 2015 (mettendo con freddo calcolo nel conto la morte dell’altra metà degli sventurati!). Ma nemmeno questo parziale obiettivo sarà raggiunto per quella data e il governo italiano ha versato solo il 3% delle risorse che si era impegnato a destinare. Col G8 dell’Aquila, al di là dell’apparato propagandistico, sembra che sia stata affossata di nuovo la speranza di un approccio concreto alla soluzione del problema. Non sono state stabilite cifre né scadenze per il loro versamento, si è rimasti agli impegni dell’accordo di Gleaneagles 2005, cioè di un aumento di 25 miliardi di dollari entro il 2010. All’Aquila sono state fatte ulteriori promesse rimandando l’analisi della tragica situazione a nuove “commissioni di studio” mentre la crisi economico-finanziaria ha provocato danni più rilevanti alle nazioni in crescita. Nelle favelas, nelle bidonvilles, negli slums del mondo povero, colonizzato dal capitalismo europeo, si continuerà a morire per fame anche dopo l’hollywoodiano G8 abruzzese.
Berlusconi si è “sbracciato” oltre misura davanti alle telecamere nel salutare, presentare, riverire gli altri 7 grandi. Nell’intento evidente di dimostrarsi all’altezza della situazione, dopo la caduta verticale della sua considerazione a livello mondiale, ha messo in atto tutte le sue capacità clownesche per intascare un successo di cui appropriarsi in prima persona. Nonostante abbia trascinato il Paese nella vergogna, fino a costringere anche la Chiesa a rompere il suo equivoco silenzio, continua a mostrare la sfrontatezza di negare i fatti e accusare gli avversari politici e la stampa estera. Il lusinghiero giudizio di aver “fatto più per la Chiesa di ogni altro politico democristiano”, espresso dal fido Bondi, è stato mortificato dalla più realistica e sferzante citazione di Caterina da Siena, una donna dal linguaggio esplicito: “Non si può essere buoni politici se prima non si signoreggia se stessi”.
Dopo la presa di posizione della Cei e della stampa cattolica, con l’accusa di “libertinaggio” e il rifiuto da parte del papa di ricevere il premier, ora Berlusconi tenta un compromesso col Vaticano che ha tutto il sapore del ricatto. I suoi sherpa, “cortigiani” sempre pronti a porre rimedio alle sue malefatte, mai a prevenirle, si stanno impegnando alacremente per ricucire lo strappo, accelerando i tempi per l’approvazione di una legge sul testamento biologico gradita ai monsignori. Dietro un premier senza scrupoli non possono esserci che consiglieri di uguale bassezza: la morale individuale e pubblica non si può contrattare al mercato dello scambio, è il monito che viene da Associazioni e singoli cattolici “adulti”. Parigi non vale più una messa.
A “festa finita” nella caserma di Coppito, con “gli amici” andati via, gli amministratori locali aquilani tirano le somme della concretezza e mettono in risalto il “contrasto tra l’oasi di benessere creata per delegazioni e giornalisti, da una parte, e il dolore e l’incertezza sul futuro di chi da mesi vive nelle tende”. La gente terremotata è stata beffata prima da un decreto ingiusto e poi dalla norma che obbliga i terremotati a ripagare le tasse a partire da gennaio (514 milioni in 24 rate) mentre le attività commerciali della città sono ferme. Il danno non bastava. E’ un dato confortante che l’immagine positiva della città sia stata esportata in tutto il mondo dall’eccezionalità dell’evento e dalle manifestazioni pacifiche e civili (Yes we camp) che esorcizzavano ogni giustificato timore per le funeste esperienze di Genova. Gli amministratori locali tuttavia lamentano che è “mancato un momento di incontro vero, istituzionale con la città”. Sul piano concreto della ricostruzione, delle 45 opere monumentali da varare per il restauro, di cui tanto si parlava, finora soltanto 3 sono state oggetto di un concreto impegno.
Con sorprendente concomitanza il G8 è stato affiancato dalla nuova Enciclica del papa in cui Ratzinger auspica che l’“etica” non si riduca alla elemosina, alle briciole che cadono sui poveri Lazzari del mondo, mentre i “ricchi epuloni” continuano senza scrupoli le loro gozzoviglie. Il papa raccomanda che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è la persona umana nella sua integrità”, affronta i temi della disoccupazione, del diritto al lavoro, denuncia “situazioni di degrado umano oltre che di spreco sociale”. Ratzinger non è diventato “comunista”. Il “comunismo” è negli Atti degli Apostoli (capitoli 2, 4 e 5). La forza sociale dirompente, “rivoluzionaria” di quei brani la Chiesa l’ha scoperta con enorme ritardo, a rimorchio della Storia, e fatica a farla propria rendendo evidente il contrasto tra i pronunciamenti ufficiali e la mancata coerenza delle sue scelte passate e presenti. L’istituzione ecclesiastica ha fatto sue le logiche del capitalismo, della speculazione sul denaro, ha condannato la Teologia della Liberazione che, coniugando fede e impegno politico, affronta sul campo le tematiche cui il papa accenna nell’Enciclica.
Nel parlare del G8 è stato scritto che tra le macerie dell’Aquila non può morire il sogno di miliardi di persone che sopravvivono a mala pena nelle periferie malsane delle città africane, nelle campagne prive di acqua potabile, nei villaggi senza scuola, nella generale mancanza di cibo. E’ la gente disperata di quel Continente che preme soprattutto sull’Europa per essere accolta. “Il pianeta dei sommersi del turbo-capitalismo, delle vittime delle ‘strutture di peccato’ della finanza senza etica e dell’economia dei flussi, di merce e di capitali, oggi vede morire la sua speranza.” (Jean –Léonard Touadi ). L’ottimismo di Obama e la sua fiducia in un Continente africano che “può farcela” da solo, in piena autonomia, rimangono una debole speranza finché saranno gli uomini d’affari, la finanza internazionale, a controllare il denaro, a decidere i destini dell’Africa. Un capitalismo selvaggio che, dopo l’89, si presentava nelle vesti del salvatore dalle miserie del pianeta, ha ridotto invece sul lastrico l’intera economia del mondo.
L’ottimismo insensato del nostro presidente del Consiglio minimizza il fatto rilevante che l’Italia eccelle nella elusione degli impegni presi nella lotta contro l’Aids, la tubercolosi e altre malattie infettive. La quota di Pil destinata allo sviluppo ha raggiunto la cifra astronomica dello…0,09 %. Tutto ciò significa che il governo italiano ha contribuito a favorire il flusso emigratorio dalle nazioni africane, nonostante venga costantemente ripetuto che bisogna aiutare quei Paesi a risollevarsi ed essere autosufficient
i. E’ miopia non considerare che un miliardo di africani sono una opportunità per la stessa sopravvivenza del vecchio Continente. Le parate di pacificazione mediatica con l’inaffidabile Gheddafi non riusciranno a smentire la crescente delusione del mondo africano nei riguardi di un’Europa che sfugge agli impegni assunti, ai doveri verso il Continente vicino. Il capo libico schiavizza i “respinti” nei propri campi di concentramento, quando non li espone alla morte sicura nel deserto. Gheddafi si complimenta con Berlusconi per i “risarcimenti” che il governo italiano si è impegnato ad offrire per riparare i danni del nostro periodo coloniale in Libia ma il nostro governo non ha impegnato il governatore libico a “risarcire” gli italiani che nel ‘69 furono derubati di tutti i beni e costretti ad abbandonare il suo Paese.
La legge del respingimento e le misure repressive verso gli immigrati sono la fine di un sogno per i disperati e la fine della “civiltà” per un Continente che si vanta delle proprie “radici cristiane” e di essere stato, nella Storia, la “culla della civiltà” e di averla esportata ad altri popoli. Da esportare (in un pianeta disabitato) rimane ora, dal nostro Paese, il razzismo becero del ministro Maroni e l’incoscienza delirante di un presidente del Consiglio “che non sta bene”, che esalta il suo narcisismo sulle macerie fumanti di un terremoto e sulla gente che impazzisce nelle tende.

(20 luglio 2009)



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