Il governo dell’Ilva: muoiano i bambini purché aumenti l’acciaio
Antonia Battaglia
Sono passati quattro anni dalla morte di Francesco Zaccaria, operaio dell’Ilva deceduto per il crollo di una gru colpita dalla tromba d’aria che il 28 novembre 2012 ha toccato lo stabilimento Ilva di Taranto. Quattro anni in cui altri operai sono morti.
Dopo Francesco ci sono stati Claudio Marsella, Ciro Moccia, Angelo Iodice, Cosimo Martucci, Alessandro Morricella, Giacomo Campo. Sono solo alcuni degli uomini che in questi ultimi anni hanno dato la vita per l’acciaio nazionale.
Oggi 28 novembre 2016, a Taranto sarà lanciata in mare una corona in onore delle vittime del lavoro, in ricordo del sacrificio reso ad un Paese che dimentica cosa sia il diritto al lavoro sicuro, il diritto alla vita in una realtà come quella dell’Ilva, dove la Costituzione sembra esser sospesa in attesa di tempi migliori.
Il luogo è simbolico: il Molo Sant’Eligio, dove la città fronteggia lo stabilimento. Un lembo di terra felice dove le barche a vela ricordano che siamo ancora in città ma dove comincia l’abbraccio mortale con la fabbrica. C’è il sole oggi a Taranto, il mare è luccicante come sempre, ma la bellezza non basta a coprire il dolore delle perdite e di un futuro che appare quanto mai oscuro.
E’ di pochi giorni fa la notizia del taglio di cinquanta milioni di euro che un emendamento includeva nella Legge di Stabilità, somma destinata alla ASL di Taranto per finanziare l’assunzione di medici ed infermieri e per provvedere all’acquisto delle attrezzature sanitarie necessarie a far fronte all’emergenza in corso.
I dati sulla situazione di salute della popolazione sono, infatti, drammatici e di recente confermati dallo Studio Sentieri e dal Centro Ambiente Salute. Gli studi presentati all’ultimo congresso internazionale di epidemiologia dell’ISEE (International Society for Environemental Epidemiology) hanno evidenziato una situazione particolarmente critica, confermando la persistenza di un pericolo grave. Le conclusioni di una ricerca condotta dal Centro Ambiente e Salute hanno confermato anch’esse l’aumento dei casi di decesso a breve termine, ovvero dopo le 24 ore di esposizione alle polveri sottili in caso di vento che soffia dall’area industriale verso la città. Durante i wind days, a Taranto si muore di più e molto velocemente, nella stessa giornata in cui si verificano i picchi (la lista del materiale scientifico è su questo link che riporta alla pagina di Peacelink).
Le promesse fatte a Taranto sono state tante nel corso degli anni. Le ultime quelle del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti e del Ministro della Sanità Beatrice Lorenzin. Ma quella deroga, per 50 milioni, al decreto 70 che prevede tagli alla sanità, non è arrivata. L’emergenza che colpisce la città non è stata presa in considerazione nella legge di Bilancio, del resto Taranto non ha mai figurato e continua a non figurare tra le priorità del Governo. Ed essa è stata punita di nuovo, malgrado il suo +54% di bambini malati di cancro rispetto alla media regionale.
50 milioni di euro sono nulla rispetto alle necessità reali e a ciò che sarebbe necessario per ridare fiato ad una popolazione allo stremo. Ma anche una così irrrisoria somma è stata negata, in una escalation di dinieghi e razzismo ambientale.
E’ di poche settimane fa il video diffuso da Peacelink sulla fuoriuscita di catrame dal terreno adiacente allo stabilimento Ilva. Di pochi giorni fa la denuncia dello stato di forte inquinamento in cui versa la falda acquifera profonda della città.
Di pochi giorni fa è sempre tutto. Ci sono sempre nuovi eventi che riguardano Taranto, ma mai nessuno di essi di segno positivo, che apporti speranza. Non si intravvede un’azione del Governo sul come risolvere la questione economico-finanziaria della vendita dell’azienda, né su come far fronte all’emergenze ambientale e sanitaria. L’oblio pare essere la soluzione scelta.
Dalle pagine de “Il Sole 24 Ore” del 24 novembre scorso, Paolo Bricco ci consiglia un regalo di Natale. “Da infiocchettare e poi da spedire. I volumi che contengono le statistiche di WorldSteel dovrebbero essere recapitati, da inizio dicembre, a tutti quelli che vorrebbero buttare le chiavi dell’Ilva nel Mar Piccolo di Taranto”.
Perché secondo il Signor Bricco, e il Sole 24 Ore che si presta a pubblicare questo genere di articoli propaganda, Taranto é un limone da spremere e dovremmo festeggiare tutti il fatto che la produzione dell’Ilva sia in aumento, che la produzione di acciaio nazionale sia salita dell’11% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ci cita anche, cominciando dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e appellandoci “ambientalisti radicali, movimentisti e mediaticamente assai impegnati”.
Ci vuole dimostrare quanto l’Ilva sia fondamentale nella dinamica economica del nostro Paese. Stappiamo le bottiglie, perché quell’11% di economia per noi popolo di Taranto ha voluto dire solo una cosa, visto che i profitti vanno altrove: polveri sottili nei tessuti, nei polmoni, in tutti gli organi di bambini e adulti. Quell’11% ha voluto dire infarti, cancro, asma, ha voluto dire notti intere in cui ai Tamburi non si è respirato e si è pianto nel terrore che un bambino con un raffreddore avesse invece ben altre malattie.
Taranto è STANCA di pagare il prezzo della produzione di acciaio! Il modo per produrre senza inquinare ci sarebbe stato, gli investimenti poderosi che in altri paesi europei hanno affrontato avrrebbero potuto esser realizzati a Taranto già molti decenni fa. Ma non si è fatto. Non si vuole far nulla, neanche la realizzazione della più semplice e banale Autorizzazione Integrata Ambientale! Secondo la stessa ISPRA, e non secondo noi ambientalisti “radicali, movimentisti e mediaticamente assai impegnati” ci sono numerose violazioni allo stato di attuazione dell’Aia dell’Ilva.
Volete l’acciaio? Producetelo, ma non sulla nostra pelle e su quella dei nostri operai!
Inoltre, caro Signor Bricco, la notte della Taranta si tiene appunto a Melpignano. Taranto e la Taranta sono due cose ben distinte, nonostante lei utilizzi la similitudine onomatopeica per indicare il martoriato stabilimento. La sua pietas si rivolge a ferro e acciaio, dimenticando la carne dei tarantini.
Le vorrei quindi ricordare che le nostre azioni in difesa della città e del nostro popolo, non nascono da uno stato di invasato furore che termina con una danza tra fumi e polveri davanti agli uffici dell’ILVA.
Il nostro corpo è certamente martoriato ma non amiamo batterci evocando immagini truculente e da feuilleton, siamo certamente in un quadro di Bosch ma non amiamo scendere a quel livello nella dialettica che usiamo per i nostri interventi.
Noi pugliesi e tarantini in particolare ci battiamo da decenni con due strumenti: dati e diritto.
Siamo un popolo che studia, conosce la legge, commenta i decreti, conosce forse meglio di qualunque altra realtà italiana gli articoli di una Costituzione che vorremmo vedere attuata.
Noi tarantini non scendiamo in strada a fare i baccanali davanti all’Ilva, come vagamente la sua evocazione della Taranta potrebbe suggerire.
Abbiamo imparato di chimica, ingegneria, medicina perché a
questo siamo stati costretti da Governi che hanno cercato di schiacciarci e tapparci la bocca con tanti, tantissimi decreti.
Siamo fieri della resistenza intelligente e dotta che abbiamo costruito e se questo non è bastato, sappiamo bene che non è né con la violenza né con le immagini che lei evoca che il Popolo di Taranto vuole misurarsi.
(28 novembre 2016)
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