Il grande inganno su tasse e debito pubblico

Emilio Zecca

Tutti i partiti, movimenti, deputati, senatori, professori, opinionisti, giornalisti e conduttori televisivi danno assolutamente per scontate ed ovvie tre cose, e cioè che:
1. Occorra assolutamente abbassare "le tasse" (denominazione con la quale essi intendono peraltro quelle che sono le "imposte dirette", e cioè l’Irpef essenzialmente);
2. Occorra guardarsi bene dall’introdurre imposte straordinarie patrimoniali ed evitare assolutamente che possano aumentare le imposte indirette sui consumi (IVA), sterilizzando le "clausole di salvaguardia" messe dai precedenti governi (tra cui quello presieduto da Matteo Renzi, che ora fa ovviamente il sacerdote ipocrita di tale esigenza come se non l’avesse creata anche lui);
3. Occorra fare una manovra in "deficit" per rilanciare l’economia, confidando nella benevolenza dell’Europa, nonostante il nostro enorme debito pubblico (che tuttavia abbiamo promesso – non solo all’Ue, ma anche ai nostri cittadini, e in specie ai giovani – di provvedere a ripianare, sia pur assai gradualmente).

Ora, in base alle mie cognizioni di scienza delle finanze e alla mia osservazione sessantennale della realtà della nostra finanza pubblica (anche come consulente e difensore in giudizio della materia, nei primi trent’anni della mia carriera di avvocato "erariale", come si diceva un tempo), io credo di poter dire che:

1. nel secolo scorso il debito pubblico è stato parzialmente liquefatto e ridotto – in termini di potere d’acquisto della lira – con una prolungata ed altissima inflazione a due cifre, oggi non più praticabile per via dell’euro e perché la BCE ha lo specifico compito di evitare inflazione troppo alta;
2. Non essendo quindi più praticabile tale sistema, il debito pubblico non può essere gradualmente riassorbito se non con imposte straordinarie sul patrimonio (considerata da tutti la soluzione più efficace e la più corretta), oppure con aumenti delle imposte ordinarie, il cui maggior gettito rispetto a quello degli esercizi precedenti sia preventivamente e costituzionalmente vincolato a riduzione del debito;
3. Oppure con tagli molto forti della spesa pubblica e quindi con un prolungato periodo di austerità, che è verosimilmente quello che ci imporrebbe l’Europa se insistessimo nel non provvedere adeguatamente da soli, strumento che è da tutti considerato però il peggiore, sia in termini di efficacia che di giustizia;
4. La continua approvazione di bilanci in deficit, se non accompagnata da un immediato, rapidissimo e grandissimo balzo in avanti della crescita, comporta addirittura un aumento del debito pubblico già nel breve e medio periodo (come si è d’altronde verificato nei decenni trascorsi).

Se taluno di voi pensa che anche uno solo di questi assunti sia erroneo lo prego di avvertirmene, indicandomi – sia pur brevemente – il motivo (magari con un minimo di bibliografia), tenendo presente che l’idea di ripianare il debito pubblico con la vendita dei beni pubblici è stata già confutata come illusoria da parte degli economisti che hanno rilevato come, se si tratta di beni che servono allo stato (caserme, ospedali, uffici ecc.) significa sostituire solo gli interessi del debito pubblico con canoni di locazione, altrettanto o maggiormente pesanti, mentre se si tratta di beni improduttivi di reddito difficilmente si ottengono ricavi sufficienti a ridurre efficacemente un debito pubblico immane, come prova d’altronde il fatto che tale metodo non è stato seriamente praticato, ma solo dichiarato come intenzione peraltro mai imboccata in modo serio e concreto.

Da tutto ciò ricavo la conseguenza che i governi i quali si vantano di non aver aumentato le imposte dirette, e dichiarano di volerle anzi fortemente ridurre (addirittura introducendo una "flat tax" ), ma che – per non aumentarle – hanno generato un aumento del debito pubblico, hanno in realtà aumentato le imposte, con l’aggravante di aver tentato di tenerlo nascosto ai cittadini riversandone l’onere sulle generazioni future, quelle che non votano o che non sono neanche ancora nate, e stanno quindi mentendo clamorosamente ai propri amministrati, e compiendo una di quelle azioni che – se praticate da un amministratore di una società – comporterebbe l’incriminazione per il reato di "false comunicazioni sociali".

Essi stanno in sostanza approfittando del fatto che il bilancio dello Stato, essendo un bilancio di previsione e non avendo perciò uno "stato patrimoniale", registra soltanto le possibili entrate e le possibili spese dell’esercizio immediatamente successivo, senza alcuna coordinata indicazione sullo stato del patrimonio, quello inciso appunto dal debito, e sulle sue prospettive future, e che consente quindi di ingannare tutti i cittadini rendendoli affetti da fortissima e generalizzata miopia: tutti contenti che non pagheranno imposte più elevate, ignorando che però le pagheranno molto più alte per forza i loro figli e i loro nipoti al posto loro; tutti grati ai governi che gli hanno risparmiato oneri più alti e tutti felici di andare diritti, senza saperlo, verso una possibile più grave situazione, se non addirittura verso la bancarotta.

Vorrei sottolineare che questo turpe inganno è stato perpetrato, da tutti i governi ultimi, compresi non solo quelli di Renzi e Gentiloni, ma anche di quello ultimo formato da Lega e 5 stelle, i quali tutti hanno chiuso la loro gestione con un aumento del debito pubblico, vantandosi però – del tutto falsamente – di non aver aumentato le imposte e continuando anzi a dire di battersi invece per la loro riduzione.
 
Il mio augurio dunque è che – per evitare di governare fondando i consensi esclusivamente sulle illusioni finanziarie dei cittadini – non si accetti più nessun discorso relativo al carattere più o meno elevato delle imposte, alcun vanto di non averle aumentate o alcuna promesse di imminente riduzione delle aliquote ordinarie o di attenuazione della progressività (che andrebbe semmai fortemente incrementata: la riforma fiscale migliore sarebbe, secondo me, tornare alla tabella allegata al T.U. del 1958, e cioè al sistema fiscale di Vanoni, ovviamente con gli scaglioni di reddito riportati all’attuale potere di acquisto dell’euro rispetto alla lira degli anni cinquanta), se questo tipo di vanti o di promesse non sono accompagnati dall’aggiunta di una condizione che dica: "al netto di una sia pur minima riduzione del debito pubblico ed in ogni caso senza alcun suo aumento (in mancanza della quale questo discorso dei politici non ha alcun senso, se non quello di ingannare la gente, sperando che tutti guardino solo a quello che pagano oggi coloro che votano e mai a quello che pagheranno i giovanissimi e i nascituri che voteranno solo domani o poi domani). È così che si genera il fallimento e la bancarotta di solito, come tutti sanno.


(29 ottobre 2019)





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