Il Mes è ancora un pericolo
Carlo Clericetti
Il Consiglio dei capi di Stato e di governo del 23 aprile ha approvato l’accordo raggiunto dal precedente Eurogruppo, quindi anche l’utilizzo contro la crisi del Mes, il cosiddetto Fondo salva Stati, con “condizionalità leggere”, che consisterebbero solo nel limitare l’uso dei prestiti richiesti ai costi “diretti e indiretti” dell’emergenza sanitaria. Tutto sistemato, allora? Possiamo stare tranquilli? Niente affatto.
E che non possiamo stare tranquilli ce lo dicono due persone il cui spirito europeista – e tendenzialmente favorevole all’utilizzo di quello strumento – non può essere messo in dubbio, e cioè l’economista Carlo Cottarelli ed Enzo Moavero Milanesi, giurista ed ex ministro per gli Affari europei nei governi Monti e Letta. I due, in un articolo su Repubblica del 28 aprile, ricapitolano i punti critici che restano ancora da chiarire. Non ne concludono che è meglio starne alla larga, ma Cottarelli, intervistato lo stesso giorno da Piazza Affari, la trasmissione economica di Rai 3, a una domanda diretta ha risposto: “Vediamo il regolamento del prestito e poi decideremo”. Neanche lui, dunque, ritiene che ci siano ancora le condizioni per decidere di aderire.
Dei punti critici avevamo già parlato. Cottarelli e Moavero individuano più o meno gli stessi. Sulle condizionalità, richiamando il precedente degli aiuti chiesti dalla Spagna per le banche, ritengono che quella citata possa effettivamente essere la sola richiesta: “Il rigore può consistere, ad esempio, nel definire i "costi indiretti" e nel prevedere severi controlli sui risultati”. E se ne venissero richieste altre in seguito, come le procedure consentono? “Implausibile, per l’avito principio pacta sunt servanda”. Implausibile forse, ma impossibile escluderlo in modo assoluto.
Il secondo punto: chi chiede l’assistenza è soggetto a quanto previsto dal Two pack: “la Commissione provvede alla "valutazione della sostenibilità del debito pubblico" dello Stato che chiede l’assistenza Mes (così dice pure il trattato Mes). Snodo insidioso per l’Italia, dato il livello elevato del nostro debito, ma in teoria non ostativo. Univoco è anche l’articolo 2, paragrafo 3: "Se uno Stato membro beneficia di assistenza finanziaria a titolo precauzionale dal Mes la Commissione (lo) sottopone a sorveglianza rafforzata". Detto in breve e semplificando, il rischio è di trovarci in casa la Troika. Ma questa possibilità, aggiungono i due, “esiste, a prescindere dal Mes”. Il che è vero, ma in quel caso a sorvegliare è la Commissione, le cui eventuali raccomandazioni devono poi essere approvate dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata. Il Mes, invece, decide e basta.
Terzo punto affrontato nell’articolo: il prestito sarebbe conveniente? I due fanno una ipotesi, e più non si può fare perché di durata, tasso ed eventuale commissione (che il regolamento del Mes prevederebbe, nella misura dello 0,85%) ancora non si sa nulla. “Se” la durata fosse di sette anni; “se” il tasso fosse di mezzo punto; e “se” non venisse applicata alcuna commissione, considerando che attualmente per quella scadenza paghiamo un punto e mezzo, il risparmio complessivo sarebbe di 2-2,5 miliardi. Non un granché, ma di questi tempi tutto fa brodo. Però con quei tre “se” è ancora un calcolo campato in aria.
Cottarelli e Moavero individuano infine un vantaggio e un ulteriore rischio. Il vantaggio è che il prestito Mes ci darebbe accesso all’OMT, il programma di acquisti della Bce – teoricamente illimitati – per difendere i paesi attaccati dalla speculazione. Che, però, deve essere deciso autonomamente dalla stessa Bce (non c’è alcun automatismo), che, anch’essa, potrebbe porci delle condizioni. Il rischio è quello che l’ex vice presidente della Bce Vítor Constâncio definisce “stigma”. Ossia “ricercare l’ausilio del Mes potrebbe segnalare ai mercati che siamo più in difficoltà di altri; il rischio sarebbe ridotto se procedessimo insieme ad altri Stati, fra cui qualcuno di dimensione comparabile alla nostra”, concludono.
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Una analisi tutto sommato onesta, visto che non nasconde i gravi rischi di un’adesione. Ma ne trascura un altro, che dimostra come i trattati europei siano pieni di trappole. Lo ricorda il giurista Alessandro Somma: “Un qualsiasi Stato dell’Unione potrebbe ricorrere alla Corte di giustizia Ue per chiedere l’annullamento degli atti europei in contrasto con i Trattati (art. 263 TfUe): nello specifico, degli atti con i quali si è autorizzata un’assistenza finanziaria non sottoposta a rigorose condizionalità. La Corte ha già avuto modo di pronunciarsi su questi aspetti, precisando che la condizionalità deve essere rigorosa per legittimare la deroga al principio del non salvataggio finanziario: “La condizionalità prevista non costituisce uno strumento di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, bensì è diretta a garantire la conformità delle attività del Mes, in particolare, con l’articolo 125 TfUe e con le misure di coordinamento adottate dall’Unione” (Sentenza del 27 novembre 2012, Thomas Pringle contro Governement of Ireland e altri, Causa C?370/12, nn. 69 e 111)”. Possiamo essere assolutamente certi che nessuno Stato ultra-rigorista (per esempio l’Olanda, o la Finlandia, o la Lettonia del vice presidente Ue Dombrovskis) decida a un certo punto di avviare quel ricorso? O che questa possibilità non venga usata come strumento di pressione per farci accettare qualcosa che non ci piace?
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