Il mistero della proroga dell’emergenza Covid-19

Francesco Pallante

Un fantasma si aggira per l’ordinamento giuridico: la proroga dello stato di emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19.

Dichiarato dal Consiglio dei Ministri con deliberazione dello scorso 31 gennaio 2020 per un periodo di sei mesi – dunque, con validità sino al 31 luglio 2020 –, lo stato di emergenza poggia giuridicamente sul Codice della Protezione civile approvato con decreto legislativo n. 1 del 2018.
Vengono, in particolare, in rilievo gli articoli 7, 24 e 25 di detto Codice, il cui combinato disposto stabilisce che, al ricorrere di un’emergenza di rilievo nazionale (art. 7), il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza, fissandone la durata per un massimo di dodici mesi rinnovabili e l’estensione territoriale (art. 24), e autorizza il presidente del Consiglio dei ministri e i vertici della Protezione civile ad adottare, d’intesa con le Regioni interessate, ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, purché sia dichiarato quali sono le disposizioni di legge derogate e siano comunque rispettati i principi generali dell’ordinamento e il diritto dell’Unione europea (art. 25).
Al fine di fronteggiare la pandemia in atto, la deliberazione dell’emergenza è stato dunque presupposto indispensabile affinché il governo potesse procedere all’adozione delle misure concrete attraverso cui intervenire sul piano normativo ed esecutivo. Questo spiega perché il Codice della protezione civile preveda che l’emergenza debba avere durata predeterminata: si tratta di una fondamentale garanzia democratica, in una situazione che consente alle autorità di governo di derogare alla normativa vigente, sino a limitare diritti e libertà costituzionali. Chiaramente, un’emergenza a tempo indeterminato perderebbe ogni carattere di eccezionalità, facendosi ordinario, e quindi incostituzionale, strumento di gestione del potere: così come accaduto in Egitto, dove l’emergenza conseguente all’assassinio del Presidente Anwar al-Sadat (1981) non è praticamente mai più stata revocata.
Allo stesso modo, fondamentale garanzia democratica è che il perdurare dell’emergenza corrisponda al perdurare delle cause che ne hanno motivato l’adozione: cause che vanno, pertanto, sottoposte a costante monitoraggio. Per questo, è da apprezzare la decisione del governo italiano di deliberare lo stato di emergenza per un periodo di sei mesi, rinviando la sua eventuale proroga alla verifica dell’evoluzione della pandemia.
Proroga che sembra, ora, essere stata disposta dall’ultimo decreto-legge annunciato, ma non ancora emanato, dal governo. «Sembra»: perché, sebbene la formulazione della relativa disposizione paia riferirsi a tutt’altro, diversi commentatori ed esponenti politici l’hanno interpretata come riferita al Covid-19. Si veda, per tutti, Sabino Cassese sul «Corriere della Sera» del 14.5.2020.
La disposizione in questione è l’art. 16, co. 1, della bozza di decreto-legge, ai sensi del quale «i termini di scadenza degli stati di emergenza dichiarati ai sensi dell’articolo 24, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 […], in scadenza il 31 luglio 2020 e non più prorogabili ai sensi della normativa vigente, sono prorogati per ulteriori sei mesi». Al di là della tortuosità del fraseggio, ai limiti della contraddizione logica, due elementi condurrebbero a escludere che la disposizione sia riferibile all’emergenza Covid-19: il primo è che la norma parla di «stati di emergenza», al plurale, mentre lo stato di emergenza Covid-19 è uno soltanto; il secondo è che la norma parla di stati di emergenza «in scadenza il 31 luglio 2020 e non più prorogabili», mentre lo stato di emergenza Covid-19, pur scadendo effettivamente il 31 luglio 2020, è sicuramente prorogabile (come visto, infatti, per il Codice della Protezione civile lo stato di emergenza può avere durata di dodici mesi rinnovabili, mentre quello in atto raggiungerà, il 31 luglio 2020, i sei mesi di durata).
Come ha rilevato Andrea Fabozzi sul «Manifesto» del 14.5.2020, sul sito della Protezione civile sono, in effetti, rinvenibili i riferimenti ad almeno quattro casi di emergenze, tutte di carattere regionale, in scadenza il 31 luglio 2020 e non più rinnovabili: ragionevole ipotizzare che siano queste l’oggetto della normativa approvata ieri.
Ma allora, perché un commentatore solitamente assai bene informato come Sabino Cassese scrive espressamente che «il decreto detto “rilancio” proroga di sei mesi il periodo di emergenza»? E perché, intervenendo martedì in aula, il deputato di LeU Stefano Fassina ha dichiarato che «il decreto che arriverà nelle prossime ore dovrebbe contenere, a quanto leggiamo, un’estensione di ulteriori sei mesi dello stato di emergenza»?
Forse – si può ipotizzare –, se intorno all’art. 16 dell’ultimo decreto-legge è nato un equivoco di tale portata, è perché la proroga dello stato di emergenza non è una mera ipotesi, ma una prospettiva concreta e imminente. Una prospettiva di cui, al momento, l’opinione pubblica è però ignara, così come è ignara delle valutazioni che la sorreggerebbero.
Come detto all’inizio, lo stato d’emergenza è il presupposto che giustifica l’adozione di atti normativi in deroga alla legislazione, anche costituzionale, vigente. La sua proroga significa la proroga della normazione emergenziale, con perdurante limitazione di non pochi diritti costituzionali, inclusi diritti sinora non interessati dalle misure di contenimento: già si parla del rinvio dei prossimi appuntamenti elettorali. Non è affatto escluso che ciò sia necessario per poter efficacemente proseguire nel contenimento della pandemia, ma, se così è, le autorità di governo sono tenute a rendere pubblici gli elementi in loro possesso e a spiegare le motivazioni di una decisione così gravida di conseguenze per la vita di tutti.
Sono tempi di inaudita drammaticità: non è accettabile che per venire a conoscenza di ciò che, probabilmente, riserverà loro il futuro i cittadini debbano ridursi a leggere tra le righe di atti normativi, note dei commentatori e interventi dei parlamentari.
(16 maggio 2020)




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