Il “no” della Commissione bioetica della Tavola valdese al ddl Calabrò: “Una legge ‘contro’ il testamento biologico”
In una nota diffusa ieri la Commissione bioetica della Tavola valdese – composta da una dozzina di teologi, giuristi, medici, scienziati e ricercatori – è intervenuta sul ddl Calabrò sottolineandone il carattere ambiguo e intransigente. Di seguito il testo.
«La Commissione bioetica della Tavola valdese, in conformità con le posizioni espresse dal Sinodo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi del 2007, negli ultimi anni ha sollecitato più volte l’approvazione di una legge sulle direttive anticipate di fine vita da parte del Parlamento italiano.
Con rammarico, dobbiamo tuttavia constatare, come già stato fatto da altri, che la legge Calabrò, che riprende l’iter in seconda lettura alla Camera dei Deputati, è una legge contro il testamento biologico e non una legge sul testamento biologico.
In primo luogo, l’esclusione di idratazione e alimentazione artificiale – equiparate a misure di assistenza ordinaria – dalle questioni oggetto di decisione, è figlia di un’impostazione culturale arretrata e marcatamente ideologica, in contrasto con le indicazioni delle Società Neurologiche e delle Società di Cure Intensive e Palliative internazionali.
A ciò si aggiunga l’ambiguità su un punto fondamentale come la decisione in merito alla sospensione delle terapie, sul quale viene richiesto al (futuro) paziente di esprimersi, salvo demandare la decisione ultima al medico, che ha facoltà di scegliere se “seguire o meno” le indicazioni contenute nelle direttive anticipate.
Si aggiunge, infine, l’articolo che introduce il divieto di eutanasia anche attraverso “condotte omissive”, articolo che priva il cittadino del diritto all’autodeterminazione in materia sanitaria, senza chiaramente specificare cosa si intenda per eutanasia passiva, cosa configuri accanimento terapeutico, cosa significhi trattamento sanitario “sproporzionato”. Quest’ultima espressione, in particolare, è in sé pericolosamente ambigua, poiché non si chiarisce se la sproporzione di un trattamento venga intesa in senso medico, oppure in relazione al giudizio del singolo sulla dignità e qualità della propria vita. Non esiste un principio assoluto al riguardo, e il giudizio andrebbe lasciato al paziente, che, esercitando la propria libertà di cura, decide se accettare o meno le terapie.
Posizioni così intransigenti, come quelle espresse nella legge, non si confrontano con la complessità delle esperienze della vita umana, e tendono ad uniformarla a un principio astratto: esse non rappresentano dunque semplicemente una grave violazione del principio di laicità dello Stato, ma incarnano la paura della libertà individuale, indebitamente e strumentalmente equiparata all’arbitrio soggettivo».
La Commissione è composta da: Anita Ammenti, Clinica pediatrica, Università di Parma; Marco Bouchard, magistrato, Torino; Daniele Busetto, medico ospedaliero, farmacologo, Vicenza; Monica Fabbri, ricercatore Unità di biologia leucocitaria, Ospedale S. Raffaele, Milano; Ermanno Genre, docente di teologia pratica, Facoltà valdese di teologia, Roma; Martin Ibarra, pastore battista, Milano; Paolo F. Ribet, già medico ospedaliero, internista, Pinerolo; Anna Marta Rollier, docente di genetica, Facoltà di medicina, Università statale di Milano; Sergio Rostagno, docente emerito di teologia sistematica, Facoltà valdese di teologia; Luca Savarino (coordinatore), ricercatore in filosofia politica, Università Piemonte orientale; Erika Tomassone, pastora valdese, Pisa; Raffaele Volpe, pastore e presidente dell’Unione cristiana evangelica battista italiana (UCEBI).
Per maggiori informazioni: www.chiesavaldese.org/pages/attivita/bioetica.php
(7 marzo 2011)
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