Il nuovo Testamento biologico “cristiano” dei tedeschi: L’eutanasia “passiva” e l’eutanasia “indiretta” sono “eticamente ammissibili”
Marlis Ingenmey
“Stato vegetativo persistente”: sì dei vescovi cattolici tedeschi alla possibilità di disporre la rinuncia a tutti i trattamenti salvavita, compresa la nutrizione artificiale, e la riduzione graduale dell’idratazione artificiale al sopraggiungere di una malattia intercorrente acuta potenzialmente letale.
Ci hanno messo – la Conferenza episcopale tedesca (DBK), il Consiglio della Chiesa evangelica tedesca e la Comunità delle Chiese cristiane in Germania –, invece dei due previsti, ben diciannove mesi da quando, il 18.06.2009, fu varata dal Bundestag la legge che regola le Disposizioni del paziente, per rivedere, tenendo conto della nuova normativa, il loro opuscolo di stimolo ad affrontare anticipatamente il tema del “fine vita” con allegato un modulo, in parte prestampato, per Disposizioni del paziente cristiano, elaborato nel 1999, aggiornato nel 2003 e utilizzato nel frattempo da quasi tre milioni di cittadini.
Quel documento ufficiale – premesso che “la volontà del paziente sta alla base di ogni trattamento sanitario” (come vuole la Costituzione) per cui “nessuno può essere costretto a sottoporsi a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano”, e ribadito che (come vuole la Dottrina) per il credente la vita è un “dono di Dio”, “non disponibile” – permetteva già anche al testatore “cristiano” di richiedere, limitatamente alla fase terminale di una malattia con prognosi comunque infausta (“quando ogni terapia prolungherebbe soltanto il processo del mio morire”), il non inizio o l’interruzione di trattamenti salvavita (“come la nutrizione artificiale, la respirazione assistita, la dialisi, o l’impiego, per esempio, di antibiotici”) e l’uso di potenti analgesici (“anche se dovessero avere come effetto secondario, non voluto, l’anticipazione del momento del mio decesso”), atti definiti, senza tante ambagi, di “eutanasia passiva” e di “eutanasia indiretta”, considerati, in quanto aiuto nel morire, “ammissibili” non soltanto “giuridicamente” (in base a pronunce, fin dal 1994, della Corte di Cassazione, instauratrici di una tradizione) ma anche “eticamente” (come ebbe a confermare indirettamente ancora, in una breve nota del 17.03.2009 al “Servizio di Informazione Religiosa Online”, il portavoce della DBK, Matthias Kopp: “I concetti di ‘eutanasia passiva’ ed ‘eutanasia indiretta’ …” “che abbiamo adottato nelle nostre Disposizioni” “… non contrastano in alcun modo con le affermazioni del Catechismo della Chiesa cattolica, cfr. paragrafi 2278 e 2279”, “La Chiesa cattolica tedesca è in linea con il Vaticano sul tema dell’eutanasia”).
Il nuovo opuscolo è un “prontuario” di 46 pagine (compreso un nuovo modulo) che ha anche, a sorpresa, un nuovo titolo, Iniziative che il paziente cristiano può prendere a sua tutela (illustra, infatti, anche forme di tutela delle ragionevoli volontà e degli interessi legittimi del paziente diventato “incapace” alternative alle Disposizioni del paziente ora disciplinate dal legislatore), è stato presentato il 26 gennaio scorso in una conferenza stampa ed è scaricabile per esempio dal sito della DBK (http://www.dbk.de/Christliche Patientenvorsorge).
L’intento principale della pubblicazione – di “impostazione” cristiana, ma non per questo rivolta solo al paziente “cristiano” – era, ed è anche nella nuova versione, quello di indicare “una via di mezzo tra un prolungamento della vita a oltranza”, giudicato “improponibile” (dal divieto, per il credente, di disporre liberamente della propria vita, non deriva un suo “obbligo” di ricorrere a tutti i ritrovati della scienza medica per prolungarne la durata), “e un suo deliberato abbreviamento che non può trovare giustificazione”, in quanto aiuto a morire, “eutanasia attiva”, praticata con la somministrazione di un farmaco o altra sostanza letale, “moralmente inaccettabile” e comunque reato in Germania come “uccisione su richiesta”. Gli autori consideravano e considerano alla stessa stregua anche l’assistenza del medico al suicidio di un suo paziente, non contemplata invece dal Codice penale tedesco e giudicata nelle ultime Direttive della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, del 18 febbraio scorso, anziché, come finora, “non conciliabile con la deontologia medica”, “non facente parte dei doveri del medico”.
Una pastorale della DBK del 1975
Bisogna sapere che la DBK ha cominciato presto a inserirsi nel dibattito sul diritto all’autodeterminazione in materia di salute e sulle prime rivendicazioni di un diritto all’eutanasia. Già nel 1975, cinque anni prima che il Vaticano affrontasse il tema nella Dichiarazione sull’eutanasia, il suo Consiglio permanente pubblicò una pastorale intitolata Il diritto alla vita e l’eutanasia, con cui condannava fermamente l’“eutanasia”, ossia ogni porre “di proposito”, “sia pure su richiesta” e “per pietà”, anticipatamente fine a una vita umana (“significa uccidere”), ma riconosceva nel contempo a “ogni persona” “il diritto a una morte dignitosa”, “umana”, a “essere assistita e accompagnata” “nella tremenda prova che è il morire”, non ultimo con l’accettazione, “ove risultasse vana ogni speranza in un miglioramento”, della sua “rinuncia”, “eticamente ammissibile”, a interventi chirurgici gravosi che potrebbero forse tenerla in vita per qualche giorno o settimana in più, ma a costo di ulteriori sofferenze fisiche o psichiche, oppure a trattamenti sanitari straordinari, “atti ancora soltanto a differire artificialmente il momento della sua dipartita”. Da notare che la decisione in merito era lasciata dai vescovi tedeschi già allora al paziente stesso.
La traduzione tedesca del paragrafo 2278 del Catechismo
A facilitare la lettura data dalla DBK dei paragrafi citati del capitolo dedicato a “L’eutanasia” del nuovo Catechismo postconciliare, firmato nel 1992 dall’allora cardinale Ratzinger, concorre senz’altro il fatto che i tedeschi non avevano – né hanno voluto coniarla quando, nel 1993, si trattava di tradurre l’opera – una parola che rendesse il termine “accanimento terapeutico” (che nell’edizione “tipica”, cioè definitiva, in latino, del 1997, sarebbe diventato addirittura “saevitia therapeutica”), giudicato puro nonsenso (da terapie che manifestamente non producono un beneficio per il malato il medico si deve astenere di suo). Così hanno optato – difficilmente all’insaputa dell’illustre “autore”, all’epoca anche prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che avrà pur seguito il loro lavoro – per una traduzione non letterale ma a senso dei primi due periodi del paragrafo 2278: “La morale non richiede terapie a ogni costo. L’interruzione di procedure mediche straordinarie oppure sproporzionate rispetto ai risultati attesi, onerose e pericolose può essere legittima”. (Il testo italiano recita: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’‘accanimento terapeutico’”; nessuna discordanza tra le due versioni per il seguito del paragrafo: “Non si vuole così procurare la morte: si accetta di
non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”).
Con l’introduzione della parola “morale” nella traduzione tedesca è ben marcata la differenza tra, da un lato, “l’interruzione di procedure mediche” (che va decisa, anche qui, dalla “volontà”, attuale o presunta, “del paziente”) prevista da questo paragrafo, “eutanasia passiva”, “moralmente” accettabile, e, dall’altro, una “azione” od “omissione”, “qualunque ne siano i motivi e i mezzi”, di cui al paragrafo 2277, “eutanasia diretta”, che costituisce un “atto omicida”, “moralmente inaccettabile”. Quanto al paragrafo 2279, vi si trova, anche nel testo italiano, già la “scriminante”: “L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile”, “eutanasia indiretta”.
La legge sul Testamento biologico in vigore in Germania dal 1° settembre 2009
Prima di entrare nel merito del nuovo documento dei vescovi tedeschi, ricapitoliamo i punti salienti della nuova normativa che recepisce nella sua massima estensione il diritto all’autodeterminazione del cittadino – garantito da una Costituzione che mette fin dal primo comma del primo articolo in risalto la “dignità” dell’uomo come individuo, definita “intangibile. E’ dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla” – dando per scontato che il suo titolare possa disporre liberamente anche del proprio corpo e della propria vita fino alle conseguenze estreme (tanto è vero che in Germania, come del resto da noi, il tentativo di suicidio non è punibile), visto che il suo “diritto alla vita” è appunto un “diritto”, non un “dovere”, mentre lo Stato ha il “dovere” di difendere la sua vita unicamente se minacciata da parte di terzi, non se messa a rischio da lui stesso: l’intervento di un potere statale in tal caso violerebbe la “dignità” dell’individuo nell’esercizio di un altro suo diritto, parimenti “fondamentale”, ma personalissimo.
In Germania un maggiorenne capace di intendere e di volere, può (non è un obbligo) preventivamente, non necessariamente per iscritto, dare, negare o limitare nel tempo il suo consenso a determinati trattamenti medici (nessuno escluso) che dovessero un giorno risultare indicati in ogni stadio di una sua malattia, infermità o disabilità di qualsiasi tipo e grado. Chi lo desidera, può chiedere che venga fatto ricorso, ove medicalmente sostenibile, a ogni ritrovato della scienza e della tecnica per tenerlo il più a lungo possibile in vita, ma la maggior parte dei testatori avrà chiesto e chiederà la non attivazione o la limitazione nel tempo di trattamenti salvavita, tra cui anzitutto la nutrizione e l’idratazione artificiali.
Le Disposizioni del paziente – in qualsiasi momento revocabili senza formalità, modificabili per sopravvenuto ripensamento o attualizzabili secondo la parabola della sua salute – saranno vincolanti se all’avverarsi dell’evento prefigurato giudicate dal tutore, sentiti anche parenti e altre persone di fiducia dell’interessato, “aderenti alla situazione (quadro clinico e trattamenti possibili) venutasi a creare”; vincolante sarà anche – in mancanza di “disposizioni” scritte o qualora quelle non risultassero “calzanti” – la volontà “presunta” del paziente se accertata dal tutore in base a elementi concreti.
E’ inoltre d’obbligo un colloquio tra il medico curante che, individuato il trattamento eventualmente indicato, lo illustra, e il tutore che deve rendere nota e far valere la volontà del suo assistito, della quale sarà tenuto conto come base della decisione da prendersi congiuntamente; solo nel caso di divergenze d’opinione va consultato il Giudice tutelare la cui eventuale autorizzazione a procedere come proposto dal tutore deve essere effettivamente sorretta dalla volontà dell’interessato. I compiti del tutore possono essere svolti anche dal titolare di una procura sanitaria.
Le critiche fondamentali delle Chiese cristiane prima e dopo il varo della legge
I punti specifici più criticati dalle Chiese cristiane nel corso dei lavori – a cui hanno partecipato con dettagliati, spesso congiunti, statement – erano l’attribuzione dello stesso valore a decisioni basate sul solo immaginarsi di una data situazione e a decisioni prese contestualmente al suo verificarsi (“non è detto che il paziente, se fosse in grado di farlo, non potrebbe arrivare a conclusioni diverse”) nonché la mancata limitazione della possibilità di rifiutare o interrompere trattamenti salvavita a determinati quadri clinici (“una cosa sono patologie dal decorso irreversibilmente letale, altra cosa malattie potenzialmente curabili”), rimostranze che, se avessero trovato ascolto, avrebbero comportato la manomissione di diritti riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.
Il giorno stesso del varo della legge – pur ribadendo che “le Disposizioni del paziente sono un istituto giuridico molto sensato perché nella logica stessa del diritto all’autodeterminazione” – si sono invece dette soprattutto “dispiaciute”, la Chiesa evangelica perché “nel testo approvato non vi è equilibrio tra autodeterminazione e presa in carico del paziente”, la Chiesa cattolica perché “questa legge enfatizza unilateralmente l’autodeterminazione della persona” mentre trascura “l’assistenza a lei dovuta onde perfezionarne davvero l’autonomia”, considerazioni che le hanno poi portate, per salvare il salvabile – e prima ancora di procedere, dove conciliabile con l’etica cristiana, all’adeguamento della loro pubblicazione alla nuova normativa –, a rivoluzionarne lo stesso impianto.
Iniziative che il paziente cristiano può prendere a sua tutela, ora, in Germania
Le eventuali “alternative” alle Disposizioni del paziente regolate dalla legge
Il lungo sottotitolo del nuovo “prontuario” – che dà “risposte” a ipotetiche domande del lettore in quattro capitoli con tanto di paragrafi e commi – elenca di fila quattro strumenti di cui ogni paziente si può servire per autodeterminarsi oggi per domani, optando anche per uno solo di essi, combinandone a piacimento due o tre, o adottando tutto il pacchetto come suggerisce il modulo che è unico (7 pagine) e rispetta in due sezioni l’ordine delle quattro operazioni previste (una nota avverte che possono essere lasciate in bianco le parti che non interessano). Il compilatore può conferire (con una semplice scrittura privata, datata, firmata e controfirmata per
accettazione) una “procura sanitaria” standard a una persona di sua fiducia, può designare (con le stesse modalità) la medesima o altra persona della propria cerchia per l’ipotesi che un giorno dovesse essere nominato per lui un “tutore”, può enunciare per iscritto o a voce “desideri riguardo ai trattamenti” e può in merito redigere vere e proprie “disposizioni”, ormai vincolanti se “calzanti”.
Mentre l’opuscolo del 2003 era imperniato, fin dal titolo, sulle Disposizioni del paziente cristiano (che ospitavano anche suoi “desideri”) e prospettava soltanto in sottordine al testatore l’opportunità di integrarle con la nomina e la designazione di “fiduciari”, il nuovo documento organizza tutta la materia, pur mantenendo inalterati numerosi passi del vecchio testo, proprio intorno a queste due figure, giudicate più importanti delle stesse “disposizioni” perché alla fine tocca a loro rendere noti e far rispettare, anche in situazioni non previste da quelle, i desiderata del loro assistito, di cui conoscono la storia, i problemi, la concezione della vita e i più intimi convincimenti. La proposta completa di “iniziative” lanciata col nuovo prontuario – che, però, “riscrive” soltanto, spostando gli accenti, quanto già previsto dalla legge, la quale presuppone l’esistenza del titolare di una procura sanitaria o di un tutore e considera, in mancanza di “disposizioni” del paziente, per ricostruirne la volontà “presunta”, anche i suoi “desideri” riguardo ai trattamenti – è, limitatamente alla forma, un suggerimento utile per chiunque voglia lasciare le sue “penultime” volontà che richiedono un leale esecutore.
Quanto alle “alternative cristiane”: i vescovi, affezionati all’idea di una sinergia tra autodeterminazione del paziente e sua presa in carico da parte della collettività, vedono di buon occhio soprattutto la combinazione delle prime tre operazioni, protagonisti i “fiduciari”, coadiuvati nelle loro decisioni “attuali” più dai “desideri” del loro assistito, in quanto “linee guida”, che da inemendabili “disposizioni”, perché “nel singolo caso la decisione deve scaturire dalla situazione concreta della persona morente, da quello che più le giova, e deve essere presa in sintonia con le sue preferenze e aspettative”; apprezzata anche la scelta della “procura sanitaria” standard in cui il paziente delega ogni decisione alla discrezione del suo portavoce, e ventilata addirittura l’opzione “zero” di un paziente che, avvalendosi del diritto all’autodeterminazione, si “autodetermina” rimettendosi, anima e corpo, alla scienza e alla coscienza degli stessi medici.
Le “disposizioni” prestampate che può ora far proprie il paziente “cristiano” tedesco
Mentre l’ordinamento giuridico tedesco non prevede ormai nessuna limitazione quanto a tipo e stadio di una malattia per la quale può essere negato o revocato il consenso a un determinato trattamento medico anche salvavita (e non si parla in proposito più di “eutanasia passiva” bensì di “rifiuto o interruzione di un trattamento medico” legittimati dal diritto all’autodeterminazione anche in materia di salute), le Chiese cristiane tedesche (giacché al credente “si pone il problema etico se usufruire indistintamente delle possibilità offerte dalla nuova normativa o fare le proprie scelte a ragione quanto mai veduta”) mantengono (li avevano già posti nel 1999 e nel 2003) i paletti dettati dalla Dottrina che circoscrivono tali possibilità – come recita il cappello nella Sezione B del modulo (“Direttive per chi mi avrà in cura”) alla voce “Desideri riguardo ai trattamenti medici e all’assistenza nonché Disposizioni del paziente”, comma primo – a quando “con ogni probabilità è imminente l’ineluttabile processo del mio morire o mi trovo comunque nello stadio terminale di una malattia incurabile dal decorso letale”.
Le “disposizioni” passate al vaglio dei vescovi (in sostanza le stesse del documento del 2003 che parlava nel modulo genericamente di “trattamenti salvavita” dopo averli menzionati singolarmente nell’Introduzione), definite ancora, come allora, richieste, a seconda del tipo, di “eutanasia passiva” o di “eutanasia indiretta”, otto di numero con a fianco altrettante caselle da barrare in caso affermativo, formulate “nel modo più concreto possibile” per risultare all’occorrenza “calzanti”, riguardano: la richiesta di “alleviare dolori e disturbi come irrequietezza, ansia, nausea e fame d’aria” anche con farmaci il cui uso può comportare il rischio di abbreviare la vita del moribondo; la rinuncia alla “nutrizione artificiale”; la richiesta di “ridurre l’idratazione artificiale secondo le indicazioni del medico”; il rifiuto di “pratiche di rianimazione”; la rinuncia alla “respirazione assistita”; la rinuncia alla “dialisi”; la rinuncia alla somministrazione di “antibiotici” e il rifiuto di “trasfusioni di sangue o suoi componenti” (per “rinuncia” si intende insieme “non inizio e interruzione”).
Un apposito paragrafo del prontuario precisa che “dal punto di vista giuridico, per la letteratura scientifica e nella prassi quotidiana la nutrizione artificiale … e l’idratazione … sono trattamenti terapeutici che richiedono il consenso del paziente”; esse non fanno parte delle “cure di base” che prevedono solo “l’appagamento, per via naturale, di fame e sete se manifestate come sensazione soggettiva”.
Seguono nel modulo, sempre alla voce “Desideri riguardo ai trattamenti medici e all’assistenza nonché Disposizioni del paziente”, comma primo, e col sistema di barrare la casella relativa se del caso, alcuni “desideri” del paziente, per esempio di essere accudito, compresa la prestazione di cure palliative, possibilmente in casa propria, o di essere sottoposto a esami diagnostici o ricoverato in ospedale solo se tali misure mirano a lenire le sue sofferenze, mentre altri commi concernono l’autorizzazione all’eventuale espianto di organi e tessuti, e la richiesta di assistenza religiosa. Infine (comma quarto) è lasciato al compilatore, come già nel modulo del 2003, spazio – e libertà di coscienza – per “Disposizioni integrative”, tra le quali può figurare questa volta una clamorosa “novità”.
“Disposizioni integrative” che può ora redigere il paziente “cristiano” tedesco
Le “disposizioni” individuali possono riguardare sia integrazioni relative alle otto richieste prestampate al comma primo, sia ogni tipo di malattia – anche senza prognosi infausta e al di fuori dello stadio terminale – di cui il compilatore già soffra; ma molti vorranno tutelarsi, come gli permettono la giurisprudenza da anni e ora anche la legge, con scelte anticipate per l’ipotesi che possano un giorno, per esempio, restare vittime di rovinosi incidenti, essere colpiti da forme gravi di demenza o venire a trovarsi in stato vegetativo persistente. Il nuovo prontuario si sofferma in particolare su quest’ultima condizione patologica, già annoverat
a nella prima edizione delle Disposizioni del paziente cristiano, del 1999, tra le situazioni per le quali si poteva “prendere in considerazione una limitazione delle terapie”, ma tolta nel 2003 dalla parte prestampata del modulo e spostata tra le “integrazioni” lasciate alla responsabilità morale del singolo testatore: i vescovi cattolici avevano infatti la necessità di tenere in qualche modo conto del documento della Pontificia Accademia per la Vita, Il rispetto della dignità del morente, uscito nel 2000, che riconosce tale facoltà solo a malati terminali quando la morte “appare ormai inevitabile ed imminente” (restrizione, fra l’altro, non prevista dal paragrafo 2278 del Catechismo).
Da allora si sono diversificate le posizioni in merito delle due Chiese, il presidente della DBK era ancora fermo sul no il giorno stesso del varo della nuova legge (“Ribadiamo che persone in stato vegetativo persistente … non sono sul punto di morire”, mentre l’allora presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca era già possibilista quando, il 29 marzo del 2007, ebbe inizio il dibattito in Aula al Bundestag, e inviò il 22 giugno di quell’anno ai deputati un documento in cui si legge: “Limitare le Disposizioni del paziente alla sola fase terminale di malattie incurabili dal decorso irreversibilmente letale è una restrizione problematica … perché così esse non possono riguardare infermità come lo stato vegetativo persistente”. Per pazienti in quelle condizioni “si potrebbero accettare come vincolanti Disposizioni che prevedano terapie salvavita solo per un determinato periodo di tempo …”, ovvero, “se, chi si trova in stato vegetativo stabile già da molti mesi, venisse colpito da un’altra malattia potenzialmente mortale, per esempio da una polmonite, dovrebbe essere possibile, in presenza di Disposizioni dell’interessato in tal senso, non ricorrere all’uso di antibiotici”, e “sarebbe anche concepibile la richiesta, da lui avanzata, di cessazione, per esempio dopo sei mesi, della nutrizione artificiale che non fa parte delle ‘cure di base’ dovute al malato non autosufficiente”.
Si intuisce a questo punto perché l’elaborazione del nuovo prontuario si sia protratta – non certo per la sua ristrutturazione – tanto nel tempo. Lo stato vegetativo persistente, per il quale i vescovi hanno comunque alla fine trovato un compromesso, non era poi l’unico oggetto di controversia. Ci saranno state anche interminabili discussioni sulla posizione da prendere, per fare un solo esempio, di fronte a forme gravissime di demenza, discussioni che si sono concluse evidentemente con un nulla di fatto: il testo “ignora” questo problema che, con l’aumentare dell’aspettativa di vita, angoscia un numero sempre crescente di persone anche di fede cristiana.
Il “compromesso” dei vescovi riguardo allo stato vegetativo persistente
Al cristiano che voglia, sotto la propria responsabilità morale, dare indicazioni per l’ipotesi di trovarsi un giorno in stato vegetativo persistente, i vescovi propongono, pronte per essere riportate tra le “Disposizioni integrative”, due formulazioni quasi identiche. In calce viene precisato che, “dal suo punto di vista, la Chiesa cattolica” (che ha dovuto rivedere nei limiti del possibile la propria posizione in merito per evitare la rottura con le altre Chiese cristiane e il fallimento della comune iniziativa) “raccomanda fortemente di optare per la prima alternativa”. Per convincere se stessi (e, immagino, soprattutto il Vaticano), i vescovi cattolici – partendo dal principio che, per poter rinunciare a trattamenti salvavita, bisogna essere “morente” – si sono domandati se, chi da tempo versa in stato vegetativo, non venga proiettato “naturalmente” in “fin di vita” al sopraggiungere di una malattia intercorrente potenzialmente letale, e hanno convenuto che allora si possa rinunciare a ogni terapia passando a cure “di base” e di medicina palliativa, non per provocare attivamente la morte, ma per permettere che essa si compia.
La formulazione destinata al cristiano cattolico recita: “Le disposizioni impartite al comma primo valgano, al di là delle situazioni ivi precisate” – cioè quando “con ogni probabilità è imminente l’ineluttabile processo del mio morire o mi trovo comunque nello stadio terminale di una malattia incurabile dal decorso letale” –, “anche per il caso che, in seguito a gravi danni cerebrali, la mia capacità di intendere e di volere, a giudizio di due medici competenti, risultasse con ogni probabilità irrecuperabilmente perduta e sopraggiungesse una malattia intercorrente acuta, potenzialmente letale. Questo vale tanto per danni cerebrali diretti, causati da incidente, ictus o encefalite, quanto per danni indiretti, dopo rianimazione, arresto cardiocircolatorio o insufficienza respiratoria”. La variante evangelica ha un piccolo inserimento: “Le disposizioni … valgano … anche per il caso che … la mia capacità di intendere e di volere … risultasse con ogni probabilità irrecuperabilmente perduta e questa situazione perdurasse già da …… (per esempio un anno) o che sopraggiungesse una malattia intercorrente acuta …”.
In altre parole, il cristiano cattolico può chiedere la cessazione di tutti i trattamenti salvavita elencati al comma primo, nutrizione artificiale compresa, solo per quando, alla sua accertata incapacità di intendere e di volere si aggiunga una malattia intercorrente acuta gravissima, mentre l’evangelico può disporre che essa avvenga anche semplicemente dopo un lasso di tempo da lui stesso stabilito in mesi o anni. Inutile dire che sulla scia di questo esempio possono entrare fra le “Disposizioni integrative” del paziente cristiano, se la sua coscienza glielo permette, malattie, infermità e disabilità di qualsiasi tipo e grado, a cominciare da forme di demenza, e le sue volontà, se “calzanti”, saranno vincolanti per chi lo avrà in cura.
Ecco come è stata affrontata, in un Paese a noi culturalmente e giuridicamente vicino, da uno Stato laico e, in separata sede, dalle Chiese cristiane che ne rispettano le scelte, questa materia eticamente sensibile che richiede un diritto “mite” – come già auspicavano, quando nell’estate del 2009 la Commissione Affari Sociali della Camera cominciò l’esame del testo delle Dichiarazioni anticipate di trattamento approvato dal Senato, i presidenti degli Ordini provinciali dei Medici Chirurghi e Odontoiatri – “che si limiti a definire la cornice di legittimità giuridica sulla base dei diritti della persona costituzionalmente protetti, senza invadere l’autonomia del paziente e quella del medico prefigurando tipologie di trattamenti disponibili e non disponibili nella relazione di cura”.
(7 marzo 2011)
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