Il papa al Quirinale
Benedetto XVI e Giorgio Napolitano ieri al Quirinale, tra sorrisi e strette di mano. Due capi di Stato di due Stati sovrani e indipendenti? Sembrerebbe di sì. Almeno a giudicare dal cerimoniale d’occasione: duplice inno di saluto e duplice issa bandiera, pontificia e italiana, sulla Torretta del Palazzo presidenziale.
Il Quirinale: per secoli reggia del Papa-Re, fino alla Breccia di Porta Pia (settembre 1870) e all’unità d’Italia. Ratzinger nel suo saluto a Napolitano ha dichiarato chiusa «la Questione romana». Ma allora perché, prima di giungere al Palazzo che fu la reggia dei suoi predecessori, il papa ha irritualmente salutato a Piazza Venezia, scendendo persino dalla macchina, il sindaco di Roma Gianni Alemanno? Per un ringraziamento pubblico, segretamente programmato, a chi ha onorato i caduti di Pio IX sulla Breccia di Porta Pia, ultimo ostacolo all’unità d’Italia? A Piazza Venezia, chissà!, il pontefice ha forse pensato per un attimo ad un altro, immaginario scenario storico: i mercenari Zuavi trionfanti, segno della divina Provvidenza, l’unità d’Italia in fumo e io, che bello!, Benedetto XVI, oggi Papa e Re d’Italia. Certo è che il papa ha un debole per politici e amministratori, di centrodestra o di centro sinistra, credenti o non credenti, poco importa, purché accettino servilmente la tutela del Vaticano. Come Alemanno.
L’incontro al Quirinale, dunque. Due capi di Stato sovrani? Riflettiamo. Al loro seguito, due delegazioni: quella del governo italiano, faticosamente guidata da Berlusconi genuflesso, e quella dello Stato pontificio, guidata dal segretario papale cardinal Bertone. Qualcosa di strano? Certo che sì. Nella squadra pontificia c’era anche il cardinal Bagnasco, presidente della Cei, cioè dell’episcopato italiano. Ma Bagnasco è cittadino italiano o vaticano? È chiaro: è cittadino italiano, ma è nominato dal papa ed esegue le direttive del papa, che è capo di uno Stato straniero, per quanto minuscolo. Lo stesso dicasi per vescovi e preti, una piramide che ha il pontefice al suo vertice. E speriamo di non poterlo dire anche per i fedeli, almeno non per tutti. La Chiesa cattolica ha un doppio volto: è organismo intermedio della società civile italiana, ma obbedisce alle gerarchie vaticane. Il Concordato del 1929 e del 1984 lo Stato italiano lo ha stipulato infatti non con la Chiesa, o la Cei, ma con lo Stato vaticano, da cui la Chiesa dipende gerarchicamente. I privilegi e le esenzioni riconosciuti alla Chiesa sono riconosciuti al Vaticano, cioè ad uno Stato straniero.
Sul territorio italiano si esercita una doppia sovranità. Roma doppia capitale, l’una al di qua, l’altra al di là del Tevere? Due colli nel cuore politico e amministrativo d’Italia, il Quirinale e il Vaticano? Il papa, di diritto non solo di fatto, almeno parzialmente, co-sovrano d’Italia? A giudicare dal suo discorso al Quirinale, sembra di sì, per quanto paradossale possa apparire. Non ha il papa elogiato il «vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa», additato persino a modello per «gli altri Stati»? Dunque la Chiesa a fianco e contrapposta allo Stato: una doppia sovranità, una doppia giurisdizione. Non una, ma due Italie, si direbbe. Si capisce così il “grazie” in Piazza Venezia ad Alemanno neofita papista.
Che vuol dire inoltre Benedetto XVI quando afferma «la dimensione pubblica della religione»? Intanto, è scomparso, nel suo intervento al Quirinale, il cenno alle altre religioni, presenti nel discorso papale all’Eliseo, in Francia. In Italia, per Ratzinger c’è una sola religione: il cattolicesimo. Ignorati, idealmente soppressi, protestanti, valdesi, islamici e buddisti. Per non parlare di atei e agnostici. O dei relativisti, i nuovi eretici del XXI secolo! Nell’Italia di Ratzinger non c’è pluralismo, né religioso né ideologico. Dunque non c’è democrazia, di cui il pluralismo è uno dei pilastri. Altro che «nuova e sana laicità»! Alle gerarchie non basta che il cattolicesimo sia religione di Stato nel dominio di Città del Vaticano. Vorrebbero che lo fosse, almeno di fatto, anche in Italia, con tutto il necessario corredo di privilegi ed esenzioni speciali: quelli già ricevuti dal Concordato non gli bastano. Ecco perché, mentre il papa diceva a Napolitano: «La Chiesa [scilicet il Vaticano] non chiede nulla per sé», nella saletta accanto monsignor Bertone ricordava a Berlusconi in ginocchio la parità scolastica.
«Dimensione pubblica del fatto religioso»: concordi, sul punto in questione, Benedetto XVI e Napolitano. Ma siamo sicuri che dicevano la stessa cosa? «Dimensione pubblica» indica: 1) lo spazio della società civile, dove tutti e tutte le chiese sono libere; 2) la sfera politico-legislativa, dove i parlamentari, anche cattolici, rappresentano il popolo italiano e l’interesse comune e nazionale, non il Vaticano; altrimenti, si farebbero tramite dell’ingerenza di uno Stato straniero, in violazione dello stessa Costituzione (art. 7). Probabilmente, Napolitano usava la parola nel primo dei due significati, Ratzinger in ambedue. A chi Napolitano indirizzava le ultime parole del suo discorso, ricordando che «il senso della laicità dello Stato» sta in «un dialogo fondato sull’esercizio non dogmatico della ragione, sulla sua naturale attitudine a interrogarsi e ad aprirsi»? Certo al papa e alla Chiesa cattolica, portatrice di Verità e Valori assoluti. Di una Ragione, che disprezza le ragioni, e quindi il dialogo, l’apertura, l’interrogazione e il dubbio. Ossia tutto ciò che è il sale e il lievito della democrazia.
Quella vaticana, infatti, non solo è un’inammissibile ingerenza. Ma, il che è ancora peggio, è un’ingerenza di natura antidemocratica. Il programma etico e bioetico del papa e della Cei, infatti, se approvato dal parlamento, imporrebbe a tutti precetti, norme, scelte di vita e di morte, valide, semmai, solo per i fedeli obbedienti. Ciò che per il papa e i suoi fedeli è peccato (aborto, eutanasia, coppie di fatto, omofilia, contraccettivi, divorzio, adulterio, procreazione eterologa), diverrebbe reato per lo Stato, come lo era ai bei tempi della Santa Inquisizione. E come in gran parte lo è ancora oggi negli Stati islamici, a cui la laicità è sconosciuta. Cattolici adulti, diversamente credenti, non credenti, atei, agnostici, religiosamente indifferenti, tutti costretti dalla forza delle leggi statali ad obbedire al papa. La libera scelta, l’autodeterminazione individuale, la ricerca scientifica, i diritti dei diversi: conculcati e criminalizzati.
È questa la «nuova, sana laicità» di papa, vescovi e cardinali?
Di teocon, teodem e atei devoti?
Michele Martelli
(6 ottobre 2008)
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