Il Papa e il “Bambin Gesù” si offrono per prolungare l’accanimento terapeutico sul piccolo Charlie

Carlo Troilo



L’Ospedale “Bambin Gesù” si è offerto di ospitare il piccolo Charlie e di mantenerlo in vita finché possibile. Charlie sarebbe trasportato a Roma grazie ad un elicottero messo a disposizione dal Vaticano.

Anche il Papa, dopo aver espresso la propria vicinanza ai genitori di Charlie, ha “auspicato che non si trascuri il loro desiderio di accompagnare e curare sino alla fine il proprio bimbo". Bergoglio ha ribadito che è un dovere “difendere la vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia”.

Non metto in dubbio la buona fede dei dirigenti dell’ospedale e tanto meno del Papa. Mi permetto però di sottolineare l’impegno profuso dai loro uffici stampa ed il momento particolare in cui cade questa vicenda: mentre al Senato una civile ed equilibrata legge sul testamento biologico è bloccata dall’ostruzionismo dei teodem, che insistono nel vedere annidata fra gli articoli della legge il rischio di inesistenti “derive eutanasiche”.

Ovviamente, il tema è delicato e doloroso, tanto che anche nell’approfondito dibattito che si è svolto fra i dirigenti della Associazione Luca Coscioni – che di quella legge è stata la principale promotrice – qualcuno, come Gianfranco Spadaccia, si è detto perplesso sulla decisione dei giudici inglesi e si è chiesto se è lecito che qualcuno si sostituisca ai genitori nella scelta finale e se sia accettabile un intervento autoritativo dello Stato, o addirittura di una Corte internazionale.

Fra gli interventi a favore della decisione, i più esaurienti mi sembrano quelli di Mario Riccio e di Alessandra Rigoli.

Sintetizzo il pensiero di Riccio:

“La patologia da cui è affetto il piccolo è attualmente senza cura e pertanto è destinato a morte certa. Il protocollo che avrebbero potuto/voluto applicare è di tipo sperimentale laboratoristico, non ancora testato su animali/uomini: in pratica si tratterebbe di rendere il piccolo paziente una cavia il quadro clinico si è ulteriormente complicato con l’insorgenza di una ischemia cerebrale (in pratica un ictus ) che ha ulteriormente compromesso le sue funzioni. In tali condizioni anche gli stessi medici americani della terapia sperimentale hanno sollevato dubbi sull’efficacia/affidabilità della sperimentazione.
Anch’io ritengo che la migliore scelta per l’interesse del paziente sia l’immediata sospensione delle cure in sedazione con la relativa conseguenza della morte: decisone peraltro che avviene quotidianamente in tutti gli ospedali pediatrici italiani in condizioni simili”.

L’intervento di Alessandra Rigoli – una pediatra ospedaliera cattolica – è troppo ampio ed articolato per farne una breve sintesi.

Riporto tre passaggi che mi sembrano essenziali:

1) “Quando per un medico è legittimo decidere di sospendere un trattamento? Quando giudica un trattamento sproporzionato, cioè se i costi (non intesi in senso economico) superano i benefici. In parole povere: se un atto causa più sofferenza rispetto ai vantaggi terapeutici che arreca è dannoso, inutile, ingiusto e non si fa o si interrompe nel caso si sia iniziato nell’ipotesi o nella speranza di un beneficio che però poi effettivamente non si osserva, oppure nel caso sia stato intrapreso come salvavita di fronte alla necessità di prendere tempo in vista di un percorso diagnostico più approfondito”.

2) “Tenere un bimbo intubato per un mese significa arrecare dei grossi danni alla trachea, significa causargli infezioni severe e letali, significa tenerlo sedato in una condizione di grande sofferenza (provate a pensare cosa vuole dire avere un tubo in gola, che passa per le corde vocali, dover essere aspirato in trachea ogni 2 ore, senza poter deglutire e così via… su questo mi dispiace ma l’immaginazione non arriva mai a toccare la crudezza della realtà, quindi se non siete convinti vi invito a fare un giretto in una rianimazione pediatrica). Protrarre questi trattamenti non ha alcuno scopo, significa solo procrastinare un decesso inevitabile e facendo soffrire senza alcuno scopo, prolungare una vita naturalmente destinata a spegnersi attraverso atti medici estremamente invasivi e dolorosi”.

3) “In medicina e nelle urgenze occorre prendere delle decisioni, scegliere… funziona così, sempre. Si parte dal più grave che può essere salvato. Non da chi non ha chance. Crudele? Sì. Ma il limite, il limite esiste. Dunque è immorale tenere per mesi occupato un posto per un bambino che viene tenuto in vita per non affrontare il fatto che non c’è nulla da fare. O per non urtare la sensibilità del mondo che non accetta la morte o per accontentare dei genitori che non sanno farsi una ragione del fatto che il loro bimbo non diventerà grande. Si può fare per un po’ ma non per sempre”.

In conclusione, la vicenda di Charlie rende evidente la necessità di avere leggi che affrontino con chiarezza i vari aspetti e problemi del fine vita, fra cui particolarmente delicati quelli relativi ai malati non in grado di esprimere la propria volontà: non solo i bambini o le vittime di incidenti (vedi il caso di Eluana), ma anche i malati di Alzheimer, sempre più numerosi anche in Italia (700 mila). Ma questo tema merita un ragionamento a sé.

(5 luglio 2017)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.