Il papa e le unioni omosessuali: rivoluzione o bluff?

Marco Marzano


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Se uno più uno fa due può fare contemporaneamente anche tre? Nell’aritmetica vaticana la risposta a questa domanda è positiva: le parole del papa possono significare una cosa e al tempo stesso il suo esatto contrario, a seconda di quel che vi vuole scorgere chi le legge.

Per un verso infatti, con la frase sull’opportunità di consentire alle coppie omosessuali di formare “unioni civili” riconosciute dallo stato, Francesco è stato, ancora una volta, indicato da una parte significativa dell’opinione pubblica come il coraggioso modernizzatore del cattolicesimo, l’eroe che sfida i vecchi pregiudizi dell’istituzione millenaria.

Per tutti costoro, cattolici progressisti e atei devoti liberali, non rileva il fatto che sino ad ora il papa argentino abbia, all’interno della sua organizzazione, affossato ogni possibilità di concedere alle donne almeno il diaconato, impedito platealmente di sperimentare la possibilità di ordinare preti sposati, mantenuto perfettamente intatti sia la struttura organizzativa imperiale della Chiesa che il suo ruolo di monarca assoluto.

Per i fan di Bergoglio, non rileva nemmeno il fatto che il papa gesuita abbia in passato dichiarato che l’omosessualità (talvolta accostata alla pedofilia) può essere adeguatamente curata con la psichiatria se si manifesta prima dei vent’anni, né che un gay non può a nessun costo diventare prete e che è necessario ripulire i seminari dalla presenza degli omosessuali e liberare l’intera chiesa dalla “lobby gay”.

Tutto ciò non ha frenato di un centimetro l’entusiasmo degli ultras del papa argentino per una dichiarazione che di fatto non cambia nulla, né in quella ampia parte del mondo nella quale i diritti degli omosessuali ad avere una famiglia sono già stati per fortuna riconosciuti anche senza il consenso della Chiesa cattolica, né in quella che non ha nessuna intenzione di farlo e che non si farà certo convincere dalla frase di un’intervista.

Passiamo all’altro versante, quello dei tanti cattolici conservatori che nel mondo si oppongono al riconoscimento di diritti ai gay dentro e fuori dalla Chiesa. Come hanno reagito costoro alle parole del papa? Si sono per caso disperati per il supposto improvviso cambiamento di rotta operato dal pontefice? Ma niente affatto!

Con l’eccezione di qualche sito oltranzista reazionario e soprattutto dei pochi gerarchi che da tempo criticano Francesco in pubblico e senza mezzi termini (primi tra tutti, i cardinali Burke e Muller), il coro degli esegeti cattolici (gerarchi e stampa ufficiale clericale) rassicura da giorni il popolo di Dio che niente è cambiato, che il papa quelle cose lì sulle unioni gay le aveva già dette altre volte, che lui si riferiva alla situazione argentina e alle famiglie di origine (nelle quali gli omosessuali devono essere accolti come figli), che, come ha dichiarato il neocardinale divenuto anche il sostituto di Becciu a capo della Congregazione dei santi Marcello Semeraro, il papa “non va oltre ciò che la Chiesa ha sempre detto e ribadito. Francesco non stravolge la dottrina, le è fedele. Sa bene cosa dice il Catechismo della Chiesa e lo condivide”.

E quindi se il catechismo definisce gli atti omosessuali “contrari alla legge naturale”, depravati, disordinati e “indegni in ogni caso di approvazione”, allora forse Francesco intendeva riferirsi alle unioni civili tra persone dello stesso sesso come a una sorta di convivenza tra amici, nella quale il sesso non può essere in ogni caso ammesso (come avviene invece nel caso del matrimonio eterosessuale).

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Certo papa Francesco potrebbe, se lo volesse, fare chiarezza e affermare solennemente quale delle interpretazioni offerte in questi giorni sia da considerarsi autentica, se quella minimizzante offerta dai gerarchi e dalla stampa cattolica o quella “rivoluzionaria” esaltata dagli atei devoti liberali. Ancora meglio, se il papa volesse davvero cambiare l’atteggiamento della chiesa verso l’omosessualità, potrebbe produrre un documento ufficiale nel quale, in modo chiaro, venga precisato quali novità vengano introdotte nella dottrina.

In questo darebbe alle sue innovazioni una solidità davvero eccezionale e storica, destinata a durare nel tempo e a cambiare in profondità la vita della Chiesa. Ma se facesse così, se superasse il piano della battuta in un’intervista televisiva, vedrebbe vanificati tutti i magnifici vantaggi in termini di consenso immediato che gli vengono dall’ambiguità e dalla possibilità che il suo messaggio venga interpretato dai suoi tanti esegeti nel modo che a costoro suona più consono e conveniente. Perché non si dica che nella sua chiesa, dove la coerenza è bandita, ci sia qualcuno che non trovi il vestito più adatto a lui e possa quindi, per la carità, mettere il dubbio l’abilità del grande sarto argentino nel disegnarlo su misura.

È anche così che nasce un eroe universale.

* da ilfattoquotidiano.it
(29 ottobre 2020)





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