Il papa, il sen. Pera e la religione laica senza Volto e senza Cristo
Appello con raccolta di firme, in segno di testimonianza, a credenti e non credenti scandalizzati dalla prefazione di Benedetto XVI a Marcello Pera
di Paolo Farinella
Benedetto XVI ha scritto una lettera-prefazione al saggio del sen. Marcello Pera Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori, Milano 2008, in cui il discepolo di Popper riprende la tesi crociana del Non possiamo non dirci cristiani rovesciandone le ragioni. La lettera è stata pubblicata domenica 23.11.2008 da Il Corriere della Sera nella pagina della cultura. Con un tono familiare, quasi affettivo, inusuale in documento pontificio, il papa non risparmia elogi al «Caro Senatore Pera» con espressioni impegnative come «lettura affascinante … conoscenza stupenda … logica cogente … inconfutabile … grande chiarezza …», augurandosi che il libro «trovi larga accoglienza». Mi pare che sia la prima volta nella storia che un papa impegni la sua autorevolezza nella prefazione di un saggio opinabile e certamente non condiviso da molti cristiani. C’è il rischio che la sua firma dia al saggio del sen. Pera un valore e un’autorevolezza molto superiori di quanto non meriti; il papa infatti si firma: «Benedetto XVI».
Nel marzo 2006 sulla questione delle radici cristiani europee e sul crocifisso usato come strumento «di civiltà» occidentale e nazionale contro immigrati e culture diverse, contestai al sen. Pera l’intenzione esplicita di volere instaurare in Italia e in Europa una religione civile dal vestito cristiano, ma senza Cristo risorto e senza Vangelo. Il mio libro, Crocifisso tra potere e grazia. Dio e la civiltà occidentale, edito nel 2006 da il Segno dei Gabrielli Editori, fu la risposta cristiana al progetto clerico-ateo degli atei devoti. In esso credo di avere dimostrato perché l’Italia e l’Europa, in quanto Stati polietnici, non possano essere cristiani, musulmani, ortodossi, protestanti o atei, ma debbano essere solo «garanti» della libertà di tutti i culti e di tutte le tendenze individuali nell’esercizio ordinato e democratico delle rispettive fedi e usanze. Oggi sono sempre più convinto, dal punto di vista teologico, di questa necessità.
Mi sembra che nella sua lettera-prefazione, il papa faccia affermazioni gravi che contraddicono la natura universale della fede cristiana, la dottrina del concilio Vaticano II, il Vangelo e sé stesso in quanto papa. Benedetto XVI afferma di trovarsi d’accordo con il sen. Pera nel riconoscere che «all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio». Sembra in tal modo dimenticare che il liberalismo fu ed è il padre diretto del capitalismo economico di mercato, causa della strage degli innocenti per la povertà strutturale che genera a vantaggio dei ricchi e degli speculatori finanziari come l’attuale crisi mondiale dimostra. Aggiunge ancora che senza questo radicamento il liberalismo «distrugge se stesso», stabilendo così un nesso diretto e indissolubile tra liberalismo e cristianesimo. Si deve dedurre che un cristiano non può non essere liberista se vuole essere coerente con la propria fede?
Il papa facendo sue le tesi di Marcello Pera dichiara inoltre che «un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo», distinguendo così, giustamente, fede e cultura, ma escludendo definitivamente qualsiasi incontro sul piano della fede che resta così chiusa a qualsiasi confronto. Questa affermazione si pone in netto contrasto con il magistero del concilio Vaticano II, che afferma: «Essa [la Chiesa] perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni … riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Nostra Aetate, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le Religioni non cristiane, del 28 ottobre 1965, n. 2). Promuove quindi «riunioni che si tengono con intento e spirito religioso tra cristiani di diverse Chiese o comunità» e «il “dialogo” condotto da esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunione e ne presenta con chiarezza le caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione» (Unitatis Redintegratio, sull’Ecumenismo, 21 novembre 1964, n. 4).
Il concilio Vaticano II, il più alto magistero della Chiesa cattolica, «esorta al dialogo», Pera (e, se non ne verrà una improbabile smentita, papa Ratzinger con lui) lo nega. Per molti cattolici si pone il dilemma: seguire le decisioni del concilio o il sen. Pera con ratifica papale? A me e a molti cattolici non resta che una scelta obbligata e consapevole: il concilio è vincolante per la coscienza e la fede. Il papa infine scrive al sen. Pera che con la sua analisi della multiculturalità, egli «mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale». Ne consegue che politicamente e culturalmente non possano esistere Stati come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la stessa Europa, l’immenso continente latino americano e anche singolarmente l’Inghilterra, l’Italia, la Francia, la Spagna, la Germania … che da tempo immemorabile sono luoghi della «multiculturalità» non solo politicamente e culturalmente, ma anche religiosamente. Il papa, che conosce bene San Tommaso d’Aquino, sa che «contra factum non valet argumentum» e dimentica che appena due anni or sono egli stesso scrisse che l’incontro interreligioso di preghiera tra Giovanni Paolo II e i capi religiosi del mondo convocato ad Assisi il 27 ottobre 1986 «assume il carattere di una puntuale profezia» (Lettera all’arcivescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, del 4-9-2006).
In questo momento in cui il liberalismo sta dimostrando palesemente il proprio totale fallimento, il cui costo ha già scaricato sulla collettività generando milioni di disoccupati e una teoria impressionante di antichi e nuovi poveri, sembra anacronistico che un papa lo esalti come modello, contro ogni evidenza storica. Ancora una volta infatti, sono i poveri che pagano il conto dei ricchi e degli speculatori. In questo contesto il papa si fa irretire da un senatore ateo e clericale nella celebrazione di un rito «liberista» della religione civile, ma senza Cristo e senza Vangelo. Possibilmente in latino e con gli abiti del concilio di Trento. A me, povero cristiano, non resta che marcare la distanza nella solitudine della mia coscienza.
Paolo Farinella, prete cattolico (= universale)
Firma l’appello
(5 dicembre 2008)
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