“Il Parlamento cancelli i provvedimenti che vietano le manifestazioni di protesta”: l’appello di Emiliano Brancaccio

Daniele Nalbone,

Per l’economista le proteste di Napoli sono solo l’inizio: la crisi del Covid distrugge i vecchi equilibri sociali ed è destinata a scatenare un’onda caotica di rivendicazioni. Per scongiurare tentazioni repressive occorre mettere in chiaro che il diritto costituzionale di manifestare va posto allo stesso livello del diritto alla salute.

intervista a Emiliano Brancaccio con una postilla

“Siamo sull’orlo della più violenta ‘doppia depressione’ nella storia del capitalismo. I vecchi equilibri sociali stanno saltando, dobbiamo attenderci un’onda caotica di rivendicazioni che metterà a dura prova l’intero assetto democratico. In questo scenario, chiedo al governo e al parlamento di assumere un impegno: la tutela costituzionale della libertà di riunione e di manifestazione pubblica deve esser situata allo stesso livello della salvaguardia della salute. Non sono più ammissibili decreti e ordinanze che vietino assembramenti e cortei a causa del covid. Le autorità dovrebbero piuttosto impegnarsi affinché tutte le manifestazioni di protesta si effettuino liberamente, in condizioni di rischio sanitario adeguatamente contenuto”. Per Emiliano Brancaccio, docente di politica economica all’Università del Sannio e voce critica del pensiero progressista, la crisi scatenata dal coronavirus è destinata a minacciare il sistema dei diritti su cui reggono le attuali liberaldemocrazie. Una tesi che l’economista documenta nel suo ultimo libro, in uscita il 12 novembre, dal titolo eloquente “Non sarà un pranzo di gala” (a cura di Giacomo Russo Spena, edito da Meltemi), di cui la rivista Il Ponte ha pubblicato un estratto che sta già facendo discutere. Con questa intervista a MicroMega, rilasciata all’indomani delle proteste di piazza a Napoli, Brancaccio commenta l’ipotesi di un nuovo lockdown, analizza i rigurgiti di crisi sanitaria ed economica e lancia un appello in difesa dell’articolo 17 della Costituzione, che sancisce il diritto di manifestare pubblicamente.

Professor Brancaccio, il Fondo Monetario Internazionale ha sostenuto che un lockdown generale potrebbe ripristinare la fiducia dei cittadini e aiutare così la ripresa economica. Lei ha criticato questa presa di posizione. Perché?

Il FMI non ha fornito evidenze a sostegno di questa tesi ardimentosa. Anzi, i suoi stessi dati indicano il contrario: i lockdown più duraturi sono statisticamente correlati con le crisi economiche più profonde e persistenti. Non è la prima volta che questa grande istituzione suggerisce ricette prive di solide basi empiriche ma oggi più che mai c’è bisogno che ogni proposta sia rigorosamente fondata sul metodo scientifico, su un dibattito apertissimo ma ancorato ai canoni epistemologici della scienza. Altrimenti ci si pone allo stesso livello delle masnade di complottisti e negazionisti, che fanno proseliti tra le masse a colpi di pensiero magico.

Molti virologi però sostengono che il lockdown è ormai l’unica soluzione per evitare un nuovo boom di vittime del virus.

Se le autorità sanitarie ci diranno che dobbiamo di nuovo chiuderci in casa per salvare vite umane, lo faremo. Resta però il fatto che ricorrere ancora una volta alla ricetta medievale del lockdown generalizzato scatenerebbe una tremenda “doppia depressione”, e sarebbe un chiaro indice di fallimento sistemico nella lotta al virus.

Nel marzo scorso, in vari interventi sul “Financial Times” e su “the Scientist”, lei e altri colleghi avevate proposto una linea d’azione diversa, basata su una logica di pianificazione collettiva.

Una moderna logica di piano sarebbe l’unica strategia in grado di scongiurare una catastrofe sanitaria e sociale, ma al di là dei proclami non se ne vede ancora traccia. Cito un esempio. Le aziende farmaceutiche difendono gelosamente i diritti di proprietà intellettuale e i brevetti che ruotano intorno al virus, ma gli scienziati impegnati nella ricerca denunciano da mesi che questa logica di competizione tra privati sta rallentando gli studi sulle terapie anti-covid. Per questa ragione gli studiosi in trincea invocano accordi internazionali per approntare un piano di acquisizione pubblica delle conoscenze private, in modo da metterle gratuitamente a disposizione di tutti i laboratori. Possiamo anche definirla una forma di “comunismo scientifico nella lotta al virus”. L’importante è che si capisca che questo sarebbe l’unico modo per velocizzare la ricerca contro il Sars-cov-2. È un tema urgente, anzi, è il tema dei temi, ma tocca enormi interessi privati e si fa ancora fatica ad affrontarlo. Mi aspetterei che l’Italia, paese di trincea nella lotta al covid-19, prendesse un’iniziativa in questo senso almeno a livello europeo.

Intanto la crisi sociale avanza e si diffondono le proteste di piazza, in Italia e altrove. Si tratta di fenomeni isolati?

Siamo al cospetto del crollo più precipitoso in tutta la storia del capitalismo, una crisi che distrugge i vecchi equilibri sociali ed è destinata a scatenare un’onda caotica di rivendicazioni. Siamo solo alle prime battute.

L’altra notte a Napoli migliaia di persone si sono riversate in strada per protestare contro il coprifuoco anti-covid imposto dal governatore De Luca, e non sono mancati scontri con la polizia. Fenomeni analoghi si diffondono in altre città. C’è chi sospetta infiltrazioni criminali tra i manifestanti, e l’ex ministro degli interni Minniti parla espressamente di eversione. Molti invocano una stretta ulteriore agli assembramenti per garantire il rispetto del distanziamento sociale. Che ne pensa?

Gridare indistintamente ai criminali e agli eversori di piazza per mettere una stretta alle manifestazioni di protesta è sempre stata una pratica tipica dei regimi fascisti.

In questa fase, però, la protesta di piazza sembra facilmente influenzabile proprio da forze di estrema destra, che si mischiano a negazionisti e complottisti vari. Lei stesso insiste da tempo sul rischio di un’egemonia di estrema destra, che la crisi del covid potrebbe rafforzare.

La crisi sanitaria ed economica sta colpendo in primo luogo la classe lavoratrice: precari privati e pubblici, dipendenti e subordinati di fatto, sono già sotto attacco dal punto di vista della tutela della salute, del lavoro, del reddito. Se passerà la “deregulation totale” invocata dalle associazioni padronali, le lavoratrici e i lavoratori saranno ulteriormente falcidiati. E se a quel punto verranno egemonizzati dalle peggiori destre oscurantiste e negazioniste sarà solo per l’assenza di una forza di alternativa capace di mobilitare le masse intorno a un moderno progetto di emancipazione civile e sociale. Detto questo, evitiamo le ipocrisie. Siamo sicuri di poter invocare il diritto di manifestare solo a giorni alterni, a seconda delle convenienze del momento, o del colore prevalente nelle piazze? Se l’attuale maggioranza di governo lasciasse in eredità questa ple
tora di disinvolte limitazioni dell’articolo 17 della Costituzione ci rendiamo conto di quali sarebbero le conseguenze future? Su questi temi le tattiche di corto respiro sono una pura follia. Serve una riflessione lungimirante.

Vero. Rimane però il problema che gli assembramenti di piazza diffondono il contagio del virus.

Dall’inizio della crisi sanitaria, in Italia e altrove, sono emersi vari problemi di bilanciamento tra diritti costituzionali in potenziale conflitto tra loro. Un bilanciamento particolarmente a rischio è quello che si pone tra la salvaguardia della salute pubblica e il diritto di riunione pacifica in luoghi pubblici. In questi mesi già troppi decreti e ordinanze hanno ristretto il diritto di riunione e di manifestazione per ragioni sanitarie. Con l’inasprirsi delle tensioni sociali, c’è il serio pericolo che la salvaguardia della salute possa essere utilizzata per restringere ulteriormente la possibilità di manifestare. Sarebbe un esito catastrofico per l’intero sistema dei diritti.

Ma come si può risolvere il problema del bilanciamento con la tutela della salute?

Le autorità devono impegnarsi affinché le manifestazioni di protesta si effettuino sempre, liberamente, in condizioni di rischio sanitario adeguatamente contenuto. È possibile dal punto di vista tecnico ed è essenziale per la tenuta del tessuto civile e democratico.

Diversi epidemiologi sostengono però che qualsiasi forma di assembramento determina rischi di contagio troppo alti, e quindi andrebbe evitata con ogni mezzo. Il professor Galli aveva suggerito per questo di rinviare persino le elezioni.

Impedire le proteste di piazza, o addirittura rinviare le elezioni, è una questione ben più delicata rispetto al mettere qualche laccio alla movida. Chi intervenga in materia senza rendersi conto di questa colossale differenza compie un atto irresponsabile, oserei dire eversivo. In questo momento dovremmo tutti ricordare l’insegnamento fondamentale del secolo dei lumi e delle lotte per l’emancipazione umana: il diritto di riunirsi, di esprimere l’orientamento politico e di manifestare pubblicamente il dissenso, è stato conquistato con il sangue dei martiri per la democrazia, e vale quanto il diritto alla vita. Io sono convinto che una società avanzata abbia le risorse materiali e intellettuali per garantire l’uno e l’altro.

Che cosa propone?

Il parlamento blocchi immediatamente i provvedimenti nazionali e locali che limitano la libertà di manifestazione pubblica, e garantisca mezzi che consentano di esprimerla in tutti modi pacifici esistenti, dall’assemblea al corteo di strada. Se servono dispositivi sanitari in tal senso, che si adottino. Ma nessuno invochi più strette alla libertà di manifestare. Sulla tutela dell’articolo 17 della Costituzione e dei diritti ad esso collegati chiedo di aprire un dibattito che coinvolga gli esperti, le istituzioni e tutte le forze democratiche. Prima che sia tardi.

Professore, nel suo ultimo libro lei insiste sulla relazione tra crisi capitalistica e crisi dei diritti. Sta dicendo che la crisi del covid porterà anche rischi per la democrazia?

Da tempo le democrazie liberali sono in grave affanno, e questa crisi è di tale portata da minacciare seriamente i fragili equilibri su cui reggono. Temo che questa volta siano in gioco non solo il reddito e i diritti sociali, ma anche i più elementari diritti civili e politici. Per impedire che la catastrofe sanitaria ed economica pieghi verso nuovi modelli di “neoliberismo autoritario” serve un impegno da parte di tutti. A partire dalla difesa della libertà di manifestare.
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Con questa intervista a Emiliano Brancaccio apriamo un dibattito al quale inviteremo costituzionalisti, filosofi, sociologi, scienziati e altre figure importanti della società civile. Il tema è infatti cruciale, e destinato a pesare in modo crescente nella vita pubblica, man mano che le misure di isolamento necessarie per combattere il Covid vengono prese: le manifestazioni pubbliche, politiche, sindacali, di opinione, possono essere in qualche modo limitate, in vista della riduzione o del non accrescimento del contagio?

Cominciamo con l’analisi di Emiliano Brancaccio, che ha il merito di sollevare il problema e di argomentare le sue tesi con rigore. Tuttavia, su alcuni punti essenziali non mi convince. Ma una discussione seria è una discussione tra punti di vista divergenti, questo è lo stile di MicroMega, anche se troppo spesso invece vengono organizzati dibattiti che assomigliano a monologhi a più voci.

Vedrò se più avanti intervenire, per ora la parola è agli amici di MicroMega cui chiederemo di intervenire e commentare la presa di posizione di Brancaccio.

Accenno perciò solo in due parole ai “titoli” delle mie perplessità: primo, garantire che “tutte le manifestazioni di protesta si effettuino liberamente, in condizioni di rischio sanitario contenuto”. Come si determina il “rischio sanitario contenuto”? Che cosa significa in concreto? Distanziamento, mascherine. Come si può garantire che una manifestazione di protesta rispetti queste condizioni?

Credo che in questioni così delicate e cruciali si debbano specificare condizioni, titolari, sanzioni.

Secondo: non credo che tutte le manifestazioni di protesta abbiano lo stesso diritto. Uno sciopero dei metalmeccanici contro la sciagurata ipotesi di consentire da gennaio i licenziamenti ha a mio parere diritti di cui è invece priva una manifestazione negazionista per il Covid, che potrebbe addirittura configurare un reato.

Terzo, non credo che una limitazione di libertà sia la stessa se la prendono governi o poteri diversi. La democrazia non è solo procedura, è anche sostanza. Una misura che può essere positiva o al massimo innocua se presa da Obama, può essere pericolosissima e proto-fascista se presa da Trump.
Paolo Flores d’Arcais

(26 ottobre 2020)






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