Il passato che non aspetta più. Papa Francesco e la riabilitazione dei “caduti” sulla strada del concilio
Valerio Gigante
, da Adista 4/2015
L’appello a sostegno di papa Francesco lanciato durante il periodo natalizio da diversi preti ed esponenti del mondo cattolico conciliare e progressista in risposta all’editoriale firmato da Vittorio Messori sul Corriere della Sera, in cui si esprimevano dubbi e critiche sull’operato di Francesco, ha certamente costituito un evento rilevante per la Chiesa di base. È infatti la prima volta che esponenti della sinistra ecclesiale si mobilitano esplicitamente in difesa di un papa.
Non c’è dubbio che quello di Bergoglio venga avvertito, anche da larghi settori di quello che una volta veniva sprezzantemente definito “dissenso”, come un pontificato di “novità”, se non di “svolta”. Resta però il fatto che la “discontinuità” che molti avvertono essersi manifestata – e la cui portata non va comunque sottovalutata – a livello dei gesti, delle parole, dello stile stesso di questo papa non si è ancora concretizzata in scelte teologiche e pastorali o in documenti magisteriali e decisioni dottrinali che contengano vere novità.
Soprattutto, l’attuale pontefice – sotto cui, è necessario ricordarlo, è avvenuta la scomunica della presidente di Noi Siamo Chiesa internazionale Martha Heizer, oltre che di suo marito Gert per aver celebrato l’eucarestia con la propria comunità senza la presenza di un prete – non ha ancora riabilitato nessuno dei tanti, tantissimi preti, teologi, religiosi (tra loro moltissimi sono i confratelli gesuiti di Francesco) e religiose, laici e laiche variamente e duramente colpiti dalla censura, dall’emarginazione, dalle sanzioni canoniche che hanno caratterizzato la lunga fase del postconcilio, specie sotto i pontificati di Wojtyla e Ratzinger (v. notizia seguente). Una Chiesa che intende proporsi come evangelica ed inclusiva, aperta ed in dialogo con la modernità, dovrebbe fare i conti prima di tutto con se stessa e con le scelte repressive compiute nei confronti di chi, al suo interno, ha manifestato sensibilità ed apertura sui temi della sessualità e della contraccezione, delle persone lgbt e dei divorziati risposati, del sacerdozio femminile e del ruolo di donne e laici nella Chiesa, della collegialità e della revisione del primato e dell’infallibilità del papa.
E se la riabilitazione di chi nel frattempo è morto è necessaria e doverosa, ancora più urgente dovrebbe essere quella di chi è ancora in vita. E che avrebbe diritto a vedersi restituita la propria onorabilità, messa pubblicamente in discussione di fronte a tutta la comunità dei fedeli da parte di quella gerarchia ecclesiastica al cui vertice siede oggi papa Francesco. Figure come quelle di Giovanni Franzoni, mons. Jacques Gaillot, Hans Küng, Leonardo Boff, che sono state per generazioni di cattolici “adulti” la testimonianza stessa della parresia e della profezia nella Chiesa, ma che dalla Chiesa istituzione sono stati additati come cattivi maestri, da allontanare e relegare nella marginalità, o da condannare alla damnatio memoriae.
Una possibilità, quella di un gesto di perdono o riconciliazione da parte del papa, che nella Chiesa di base suscita orientamenti diversi. Ad Adista don Aldo Antonelli, tra i firmatari dell’appello a sostegno di Francesco, non nasconde ad esempio che la proposta lo trova «freddo, se non addirittura indifferente. E ciò per un duplice motivo. Anzitutto perché trovo più interessante e significativo che il papa si muova sull’onda delle prospettive e del sentire di chi ha subìto in passato condanne od ostracismi, cosa che in parte già sta facendo. In secondo luogo perché anche per queste persone, l’“imprimatur” dell’istituzione ha perso, e giustamente, quell’interesse che poteva avere nel passato».
Più possibilista un altro dei firmatari dell’appello in difesa di papa Francesco, Enrico Peyretti, storico animatore del Foglio di Torino (oltre che, più recentemente, del “Chicco di senape” e di “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri”), che però ammonisce: «Meglio la massima chiarezza. A me non piace che si faccia o si adombri, né in senso tradizionalista né in altro senso, la "categoria" speciale di preti o ex. O che la richiesta di un gesto di riconciliazione appaia una specie di "scambio" con Francesco: noi ti sosteniamo e tu riabilita. Molto meglio che le due cose (sostegno e riconciliazione) vadano in totale indipendenza una dall’altra».
Assolutamente favorevole Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa: «Da tempo mi chiedo se ci sarà continuità o discontinuità rispetto ai papi Wojtyla e Ratzinger. Mi aspetto, all’interno del nuovo corso, messaggi di discontinuità che non possono essere rinviati a tempo indeterminato. Mi rendo conto che la presenza, ancora permanente, di papa Ratzinger è un problema, non deve essere facile fare il contrario di quello che egli ha fatto o ispirato». “Noi Siamo Chiesa”, ricorda Bellavite, insieme ad altri «ha promosso nello scorso luglio la richiesta di riabilitazione di Ernesto Buonaiuti» (v. Adista Notizie n. 24/14). «Qualcosa di più semplice mi sembra di poter chiedere, anzi di pretendere nei confronti di Giovanni Franzoni: se non piena riabilitazione che intanto arrivi dal papa un messaggio, la richiesta di un colloquio, un gesto pubblico».
(27 gennaio 2015)
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