10.11.08 – Il piacere della festa
"Una goccia nell’Onda": il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.
"Forse anche Dio è contro la 133."
E’ questo che ho pensato ieri mattina, mentre mi dirigevo – il caffè da poco in circolo – verso piazzale Aldo Moro, pronta ad una nuova giornata. Guardando il cielo terso e sereno come non lo si vedeva da giorni e un sole caldo splendere al suo centro, riflettevo sugli strani modi che la divinità adotta per manifestare consenso all’uomo. Avrebbe potuto piovere, e invece non l’ha fatto. Forse è un po’ ardito attribuire una tale circostanza al volere divino, ma tant’è: di alleati autorevoli non se ne hanno mai troppi.
Appena entrata, mi sono subito trovata immersa in un clima di pigra eccitazione. Ragazzi ancora assonnati barcollavano per la città universitaria chiedendo penne, gomme da cancellare, forbici, scotch. Gruppetti di ventenni che sabato sera avevano rinunciato a far tardi pur di essere lì trascinavano cartelloni e lavagne, panche e banchetti, scatoloni pieni di roba colorata e cianfrusaglie sparse. Alcuni erano vestiti normalmente, altri indossavano magliette sgargianti con su scritto: "Difendiamo la Sapienza! No 133" e sembravano quasi in divisa, altri ancora avevano completi etnici o maschere carnevalesche, e qualche sgarro di colore in fronte; tutti con attaccato al petto un cartellino: nome, facoltà.
"Avete visto quelli di Storia dell’Arte?", "Ma siete di Archeologia?", "Avreste del cartoncino da prestarmi?", "Qualcuno disposto ad andare all’accoglienza?", "Ma che razza di idea masochista, autoconvocarci alle otto e mezza!" – "Di domenica, poi!".
Ieri la "Sapienza" ha aperto le porte ai bambini delle materne e delle elementari, per passare tutti insieme una giornata di protesta e di cultura. Due settimane fa, le facoltà scientifiche avevano organizzato una mattinata di giochi-esperimenti per i piccoli, seguiti da un pranzo sociale per tutti e accompagnati da un paio di conferenze per i più grandi; ma visto il successo di critica e pubblico, questa volta si è deciso di fare le cose in grande: e quasi tutte le facoltà si sono spese per organizzare una festa incredibile, gigantesca.
Alle undici sono arrivati i primi visitatori; all’ora di pranzo, era il delirio.
Dappertutto stand e banchetti autogestiti con esperimenti scientifici e giochi culturali; ore ed ore di conferenze, letture, dibattiti, proiezioni di film, mostre, concerti e quant’altro; centinaia e centinaia di ragazzini di qualunque età accompagnati da genitori, zii, nonne, cugini, amici formavano un universo di colori e risate che ha riempito lo stentoreo panorama della "Sapienza" di un’allegria e una gioia di vivere che non avevo mai visto in nessun altro luogo.
Accolti dagli studenti, piccoli e grandi sono stati ospitati dall’università addobbata a festa che, per loro, ha sfoderato le sue multiformi conoscenze. Frotte di miei colleghi illustravano infatti le proprietà dell’azoto liquido e la bellezza quasi magica dei magneti, piuttosto che la stranezza di una rianimazione, il funzionamento di un apparato. Molecole di DNA si mischiavano a suoni e colori di acrobati e giocolieri improvvisati, ed enormi disegni tracciati coi gessetti sulla strada indicavano percorsi alternativi, invitavano a scoprire giochi nascosti in mezzo ad aule ed aiuole. I coloratissimi numeri del pi greco disegnati nel cemento conducevano i bambini a Matematica, facendoli passare attraverso la scoperta di nuove culture ad Antropologia, con strumenti esotici e tatuaggi in tempera sul modello bororo, o per la riesumata cultura classica ad Archeologia – con tanto di coroncine d’alloro e tunichette in carta. Pallonicini policromi si inseguivano tra le gambe della gente, sorretti da bambini come impazziti alla vista di tanto spazio e di tanti adulti disponibili a stare con loro fino alla morte per stanchezza. Il gioco delle parole, quello dei pennarelli, i vasi di creta e le statue di gomma, la faccia impiastricciata di tutto e di più, la caccia al tesoro, i dinosauri, enormi tamburi su cui battere le mani, dolci a profusione, pratoni su cui correre e giocare a palla, trenini, balli, quiz, una ruba-bandiera alla corsara, teatrini e fiabe, decine di spettacoli sparsi qua e là, tanta confusione e tanto trambusto.
Mentre, di fronte al rettorato, una maratona di lettura con personaggi dello spettacolo misti a semplici studenti illustrava la scuola che vorremmo attraverso le parole di Calamandrei, Rodari, Milani; mentre nei punti informativi, la discussione sulle leggi 137 e 133 si saldava sempre più all’idea di una lotta comune; e, nelle aule delle facoltà occupate, conferenze e dibattiti sullo stato della ricerca e dell’istruzione italiana invitavano i genitori a prendere coscienza della situazione attuale, e a farsi carico del futuro dei loro figli, qui ed oggi.
Da dov’è nato tutto questo? Beh, ufficialmente si tratta di un evento organizzato per raccogliere fondi. Una scusa nobile, certo, ma poco credibile. Tra torte e pasta fredda a malapena rientriamo dei soldi anticipati, e gli spicci che guadagniamo finiscono in fretta – basta qualche striscione o una rassegna stampa, un megafono nuovo o le fotocopie di un documento.
Allora cos’è che spinge giovani nel fiore degli anni a fare del babysitteraggio semi gratuito, spendendo – dopo sfiancanti sedute di preparazione – ore intere del proprio giorno di riposo a correre a destra e a manca, urlando come pazzi appresso a ragazzini che prosciugherebbero le forze di uno yeti?
Difficile da spiegare; chi non c’è stato, non può capire fino in fondo. Per certi versi, volevamo sconfessare nel concreto chi crede che la parola "felicità" possa affiancarsi solo a "personale", e che "futuro" non coincida con "istruzione", o "ricerca"; chi pensa che "patrimonio" sia sinonimo d’ "incasso", e mai di "culturale", e che la scuola non sia altro che un parcheggio – ma extra-lusso; chi ci vorrebbe tanto stupidi e depressi da non ricordare più come si costruisce un rapporto sociale, come si ride, si scherza, si parla.
Ma la gioia che ho provato oggi è stata un’esperienza che andava oltre tutto questo: è stata totale, indescrivibile. Forse per via dello sguardo pieno di gratitudine dei genitori, o quello sgranato dei loro figli; forse per il gesticolare convinto di noi che spiegavamo perché ci piace tanto studiare ciò che studiamo, e perché vorremmo continuare a farlo; forse. Ma forse era soltanto il piacere di stare insieme e divertirsi a rendere tutto questo così speciale, era il condividere qualcosa di ben più importante del pur utile denaro, qualcosa di inalienabile: il nostro tempo.
Verso le quattro il sole ha cominciato a calare, e la gente ad andarsene. Un gruppetto sparuto di bambini stava ancora colorando accanto alla Minerva; lì vicino, una chitarra e un tamburello facevano da guida a un coro improvvisato di voci. Cantavamo le sigle dei cartoni animati, e le vecchie musiche anni cinquanta; siamo passati per gli 883, John Lennon, i Modena City Rambles, Bob Marley, Eter Parisi, Lucio Battisti, De Andrè, De Gregori, i balli di gruppo, la salsa, il flamenco, per arrivare infine ad un tripudio di motivi popolari, la taranta, la pizzica, mentre attorno a noi un nugolo di genitori e bambini improvvisavano una danza felice, liberatoria. Abbiamo ballato assieme fino al tramonto e, sulle note di Rino Gaetano, abbiamo congedato la folla. Eppure non ce la facevamo a smettere davvero, e siamo andati avanti ad oltranza.
Alle sette, quando finalmente ho trovato il coraggio di separarmi da quei gradini, c’era ancora gente. In realtà avrei voluto restare; m
a, scambiando la commozione per stanchezza, mi sono incamminata verso casa.
Gaia Benzi
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.