Il plebiscito
Fra una menzogna e l’altra il Cavaliere
s’immaginava un grande plebiscito
che lo legittimasse nel potere
facendone un onesto all’infinito,
nonostatnte le tante marachelle.
Nella veste di supersondaggista
ha preannunciato: per il Pdl
del quaranta per cento la conquista,
portato, nei momenti d’euforia,
oltre la soglia del quarantatre
e, forse con un po’ di egolatria,
di preferenze un record pur per sé.
Il voto è andato assai diversamente:
al trentacinque è giunto il suo partito
e per le preferenze record niente,
rispetto agli anni verdi è regredito.
Un’altra percentuale fa stupire:
tre quarti d’italiani son suoi fan,
come sempre vantò d’Italia il Sire,
ma le schede col nome del caiman
sono il nove percento, a malapena
un quarto dei votanti Pdl,
gli altri sono spariti dalla scena.
In Friuli, regione non imbelle,
al Cavaliere è andata ancora peggio:
la Serracchiani, giovane Pd,
di lui prese più voti nel conteggio.
Ma dunque sui sondaggi anche mentì?
E’ il nostro beneamato presidente
specialista in menzogne d’ogni fatta:
proponi un argomento e prontamente,
ti somministra la menzogna adatta.
Ha mentito in un anno di governo
più di quanto han mentito tutti insieme
i bugiardi rinchiusi nell’inferno.
Delle bugie si è procurato il seme
e non ce le farà mai più mancare.
E’ la monnezza a Napoli sparita
soltanto perché, manu militare,
presidia qualche buca mal riempita.
Ha mentito sull’angelica Noemi
e sull’incontro con il suo papà.
Della crisi ha mentito sui problemi,
sull’Alitalia ha detto falsità.
Mentì sulle veline candidate,
su Mills e sul trasloco del G8,
sulle pulzelle aviotrasportate
e sulla sicurezza, vuoto motto,
poiché non è cambiato proprio nulla:
si stupra ancora a Roma ed a Milano,
mentre al suo ministero si trastulla
con leggi inapplicabili un padano.
Perfino la partenza di Kakà
è stata confessata dopo il voto
poiché prima la dura verità
nei seggi avrebbe fatto un terremoto.
Che il Berlusca racconti tante balle
anche i suoi finalmente l’han capito
e cominciano a aprirsi alcune falle
nell’edificio…Salta il plebiscito,
salta ad un tratto l’incoronazione
e la salita verso il Quirinale,
alla qual si avviava il Capellone,
diventa una scalata verticale.
Si percepisce qualche scricchiolio,
qualche piccola crepa già compare,
l’unguento è ormai finito ed il buon Dio
non ha nulla con cui lo può spalmare.
Ma, come sempre, Silvio è fortunato:
la concorrenza dorme e se si desta
litiga come ha fatto nel passato.
Non è ancora il momento di far festa.
(10 giugno 2009)
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