Il prezzo delle mascherine e l’economia politica di Manzoni e del professor Ricolfi

Luca Michelini

1. Guardo Rete4 ogni tanto per capire gli umori e le mosse di chi ha governato questo Paese per anni e così mi è capitato di sentire (il 7 maggio) una intervista a Luca Ricolfi, sociologo e anima della Fondazione Hume. In modo sobrio, presumo perché piemontese, ha spiegato al pubblico che il nostro è un povero Governo, di incompetenti che di economia non capisce nulla perché privo di umanisti. Se infatti avessero letto i Promessi sposi del Manzoni avrebbero potuto facilmente capire come affrontare il problema tanto urgente delle mascherine. Come non sapere che il calmiere provoca scarsità? La soluzione invece è semplicissima, spiega Ricolfi: il governo deve comperare sul mercato le mascherine e poi rivenderle a 0,50 euro.

2. Mi viene da chiosare: – E che ora si arrangino coloro che pensano che parlare di economia di guerra per la crisi Covid non serva a nulla: eccovi serviti il liberismo in tempo di crisi! Non volete capire che tecnicamente siamo in guerra? Non volete capire che tecnicamente, per motivi oggettivi, ci vuole una politica industriale ed economisti e ministeri che sappiano pensare e gestire i prezzi amministrati? Bene, sorbitevi le lezioni di economia del Manzoni e di Ricolfi, banditori del libero mercato dal più fulgido bastione del libero mercato medesimo, il colosso Mediaset.

3. Questa parola, tuttavia, potrebbe generare qualche dubbio, o almeno spero, che di libero mercato non si stia effettivamente parlando. Poi il dubbio scompare quando ho ascoltato il proseguo del ragionamento di economia politica.

Non solo lo Stato doveva sborsare una enormità di denaro per comperare al prezzo attuale le mascherine necessarie ad affrontare la pandemia, ma doveva abbandonare l’insulsa politica del credito appena promossa. Le imprese, infatti, non devono indebitarsi, ma hanno bisogno di liquidità a fondo perduto. Ecco la Ricetta, semplice e sensata, di Ricolfi per affrontare la crisi.

4. A questo punto mi sono alzato dal divano e mi sono arrampicato sulla mia libreria per scovare i Promessi sposi: ne ho preso in mano diverse edizioni, dalle scolastiche a quelle ricercate, ed ho cominciato a cercare disperatamente il capitolo o le pagine o le righe di quell’opera dove il liberista Manzoni parla della liquidità a fondo perduto.

Ancora sto cercando e non trovo nulla. Qualcuno può aiutarmi per favore? – ho urlato in famiglia, che legge molto più di me letteratura. Nulla.

Allora ho chiesto ai colleghi, a qualche studioso della materia, ho perfino rispolverato un vecchio, ma sempre attuale testo del prof. Piero Barucci dedicato al Manzoni lettore di economia politica. Barucci, lo dico per i non addetti ai lavori, non è solo stato Ministro della Repubblica; è stato il fondatore della cattedra italiana di storia delle dottrine economiche: un pioniere, insomma, ed una autorità indiscussa e indiscutibile. Ma nulla, non ho trovato alcun riferimento nel suo testo.

5. Mi rimane il dubbio: ma è solo il mercato che deve occuparsi di produrre quanto abbiamo bisogno, come vorrebbe Ricolfi? Oppure il mercato ha terribilmente bisogno dello Stato per avere capitale a fondo perduto, come vorrebbe… Ricolfi?

6. La curiosità è cresciuta. Un amico mi ha dato un suggerimento che pensavo fosse intelligente: – Vai a leggerti l’ultimo libro del Ricolfi, ne parlano tutti e tutti bene; si intitola La società signorile di massa (Milano, La nave di Teseo, 2019). Mi sono detto: vediamo se da qualche parte trovo un solido riferimento per rendermi conto dell’ultimo tassello della lunga e autorevole tradizione del cattolicesimo liberale, quella che inizia dal Manzoni e arriva, di autore in autore, ai nostri giorni: presumevo, arrivando proprio a Ricolfi.

Apro il libro e subito rimango perplesso perché inizia con una strana frase di Ralf Dahrendorf: “la società centrata sul lavoro è morta, ma non sappiamo come seppellirla”. Strana, perché, mi sono detto, stiamo vivendo una crisi che dimostra che senza lavorare non si campa e che proprio coloro che ci consentono di campare materialmente – poniamo i lavoratori semischiavizzati dell’agricoltura –, sono appunto trattati come schiavi (mi scuserà Ricolfi se sono tra i firmatari per la loro “regolarizzazione”, ma non sono manzoniano). Però, poi, andando avanti nella lettura mi sono accorto che Ricolfi questo dato lo sottolinea: “Per società signorile di massa intendo una società opulenta in cui l’economia non cresce più e i cittadini che accedono al surplus senza lavorare sono più numerosi dei cittadini che lavorano” (p. 27). Ho letto tutto il libro ma al di là di questa affermazione, non ho trovato molto altro. Ho solo trovato un riferimento ad un economista italiano oggi dimenticato ed un tempo sulla cresta dell’onda, per merito soprattutto del PCI e dell’alleanza da lui promossa con i cattolici comunisti (quelli che il Manzoni lo criticavano, insomma): Claudio Napoleoni, di cui Ricolfi rivendica di essere allievo.

7. Allora ho capito tanta confusione di ragionamenti, sia in trasmissione televisiva, sia nel volume: cosa debba intendersi per sfruttamento, per lavoro produttivo, per capitalismo e per rendita proprio Napoleoni non riusciva a raccapezzarsi, volendo essere marxista senza Marx, cioè senza Il Capitale di Marx, che giudicava superato. E sì che avrebbe potuto essere rivoluzionario o riformista aggrappandosi ad altri autori e ad altra tradizione. Nulla: si volle incaponire in tentativi di “riletture” di Marx. E così è per Ricolfi, che fa parecchia confusione, mettendo in un unico calderone lavoratori salariati dell’agricoltura con lavoratori domestici. Un po’ come se Marx avesse messo in un identico calderone i salariati delle industrie inglesi di primo Ottocento con i domestici (che Marx stimava in numero circa eguale agli operai: per dire quanto fosse manicheo nel suo classismo… ) dei Lord inglesi, quelli che vivevano di rendita. Nemmeno un cenno, poi, ai nuovi redditieri, i ceti della finanza, che però pare non costituisca un problema di parassitismo per Ricolfi e poi una valutazione equilibrata delle disuguaglianze italiane, che non sono poi così tanto evidenti e crescenti e poi, insomma, “il fatto è che da mezzo secolo viviamo al di sopra delle nostre possibilità”.

8. Quando ho letto “società signorile” pensavo di trovarvi qualche cenno alla riproposizione italiana, nell’ultimo “ventennio”, della Signoria, cioè di quel sistema di potere economico e politico che caratterizzò l’Italia del Tre e Quattrocento e che nacque sulle ceneri delle libertà repubblicane. Quelle libertà che un gran conoscitore del nostro Paese, l’economista ginevrino Sismondi, giudicava fondamentali, avendo portato la civiltà in Europa. Evidentemente mi sbagliavo e non poteva essere altrimenti: come non ricordarmi che Rete4 fa parte della corte?

(11 maggio 2020)




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