Il pride contro la società della paura
di Elena Biagini, da zeroviolenzadonne.it
Anche quest’anno sfilerà il pride per le vie di Roma, il corteo di lesbiche, gay e trans che commemora la rivolta di Stonewall, al suo quarantesimo anniversario: il 28 giugno del 1969 a New York lesbiche, gay e trans si ribellarono a continui abusi e violenze della polizia con tre giorni di barricate ricordate oggi come il momento fondante del movimento lgbt. Da allora il pride è divenuto un appuntamento globale con connotazioni assai diverse sulla base dei contesti politici in cui viene organizzato: street parade dai contenuti spesso light e strizzatine d’occhio agli sponsor commerciali nel nord Europa, giornata di lotta, spesso contro le violenze dei corpi di polizia, di integralisti religiosi e neofascisti in gran parte del mondo (in primis Mosca e Belgrado). In Italia la parata si tiene da quindici anni ed è stato il momento centrale di una crescita recente della visibilità di lesbiche, gay e trans in un paese, il nostro, dove la repressione di queste soggettività è sempre passata, dal regime fascista in poi, attraverso lo stigma morale e la condanna al nascondimento.
Ma oggi quest’appuntamento ha cambiato significato, se possibile assumendo valenze ancora più generali.
Già lo scorso anno il pride di Roma subì l’attacco repressivo di una piazza negata – San Giovanni – con motivazioni di fatto inesistenti (la presenza di un concerto corale all’interno della basilica!) ma con obiettivi politici chiari: la Roma di Alemanno intendeva accattivarsi sempre più le gerarchie vaticane ed intimidire percorsi di autorganizzazione e liberazione. Opposero resistenza a quell’attacco le centinaia di migliaia di persone in corteo e le/gli attiviste/i di Facciamo Breccia che, occupando simbolicamente piazza San Pietro, incarnarono una risposta diretta ed autodeterminata. Quest’anno, con poco scandalo e scarso spazio sui media, vengono opposti infiniti ostacoli alla manifestazione: il percorso è stato più volte negato nel tentativo di depotenziare l’appuntamento rendendolo incerto fino all’ultimo.
Il pride ancora oggi rimane il baluardo di una lotta laica che intende contrastare l’oscurantismo e l’ingerenza clericale ormai asfissiante.
La chiesa di Roma in questi anni ha condotto un’azione continua contro l’autodeterminazione di tutte e di tutti e soprattutto contro quelle soggettività che scardinano, con la propria esistenza, il sistema patriarcale, sessista e omofobo: lesbiche, gay, trans, femministe. I documenti ufficiali vaticani, dalla nascita dei movimenti di liberazione lgbt, contrappongono all’autodeterminazione l’invito al silenzio e al nascondimento, contro le lotte femministe ripropongono un sedicente ordine naturale basato sulla subordinazione di un sesso all’altro.
Ma ancora più pericoloso dei documenti è l’agire incessante nello spazio pubblico delle gerarchie vaticane con l’avallo della politica istituzionale. Negli ultimi anni le gerarchie vaticane nelle istituzioni, sui media, nel dibattito pubblico hanno costruito una sempre più netta condanna di lesbiche, gay, trans, donne e di tutte le soggettività che compiono percorsi di liberazione ed autodeterminazione; una stigmatizzazione tesa alla costruzione del capro espiatorio che, con il papato di Ratzinger, è sfociata in una vera campagna d’odio e di istigazione alla violenza.
E l’odio e la violenza si sono riversati con sempre più ferocia sui nostri corpi: da tempo immemore subiamo il pregiudizio sociale omo/lesbo/transfobico, costruito su un sostrato culturale imperniato di sessismo e obbligo dell’eterosessualità, che ha sempre prodotto violenza, soprattutto nelle case; a questo oggi si aggiunge una violenza organizzata, di matrice politica, legata ai gruppi neofascisti e alle campagne condotte in ambiti politici e clericali che legittimano verbalmente aggressioni, stupri, omicidi sempre più numerosi.
Nel nostro paese è stato costruito un clima sociale di paura che per lo meno “giustifica” lo scatenarsi di barbara violenza contro ogni persona e ogni stile di vita ritenuti estranei ad una “normalità” dalle maglie sempre più strette: ne sono fuori lesbiche, gay, trans, straniere e stranieri, povere e poveri ma anche le donne che scelgono di autodeterminarsi, chiunque si ribelli ad uno schema dato, chiunque si collochi politicamente in percorsi di liberazione e resistenza.
Nel contesto sociale in cui viviamo vengono condannate tutte le soggettività connotate come “diverse” – dal modello unico del maschio bianco di classe media eterosessuale e cattolico – per genere, “razza”, classe e sessualità; all’opposto le ingiustizie, la violenza, lo sfruttamento funzionali al sistema vengono nascoste sotto il tappeto della rispettabilità. Tutto ciò che non rispecchia l’immagine del maschio bianco, di classe media, etero e cattolico è “indecoroso”, in un clima autoritario in cui il “decoro” diviene il principio normalizzatore da scagliare contro la povertà, l’autodeterminazione, la libertà d’espressione.
Questa “società della paura” altro non è che la giustificazione di un regime autoritario che intende spazzare via ogni lotta sociale, ogni percorso di liberazione, ogni forma di resistenza. Cercare di reprimere il movimento lgbt, cercare di affossarne la manifestazione più significativa dell’anno non è solo un attacco a lesbiche, gay e trans ma rappresenta anche il tentativo di mettere in discussione un diritto primario e generale: il diritto di manifestazione, la libertà di esprimere dissenso, l’autonomia di comunicare una sana conflittualità sociale.
Cercare di affossare in specifico il pride di Roma significa attaccare una manifestazione che si connota al contempo come antifascista nella città di Alemanno e che rompe la pretesa di sacralità di una città che vogliono ricondurre sotto il papa re, per porre il suggello all’alleanza clerico-autoritaria.
Per questo sabato prossimo è una data importante non solo per lesbiche, gay e trans, non solo per chi costruisce percorsi di liberazione a partire da sé e nemmeno soltanto per le romane ed i romani che intendono ribadire la vitalità antifascista della capitale ma per tutte e tutti coloro che ritengono la libertà e l’autodeterminazione valori irrinunciabili.
L’appuntamento quindi è per sabato 13 giugno alle 15,30 in piazza della Repubblica per una risposta libera, autorganizzata e di massa ai “grandi manovratori” che non vorrebbero essere disturbati.
(9 giugno 2009)
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