Il regalo natalizio di Ratzinger

Michele Martelli

Grandi manovre sotto Natale nelle sale del Vaticano e nei palazzi del potere berlusconiano. Il punto in oggetto: l’ingresso di Casini e dell’Udc nella traballante maggioranza di governo. Prima e dopo il fatidico 14 dicembre, da Ruini a Bertone a Bagnasco, da Berlusca a Schifani, è tutto un via vai di inviti, aperture, profferte governative a Casini. Dalle bocche degli uni a quelle degli altri, e viceversa, rimbalzano le stesse parole: «stabilità e governabilità». Cioè rinsaldare il governo del malaffare. A tutti i costi. Anche col ribaltone di Casini, invitato ad abbandonare l’alleanza con Fini. Il Terzo Polo? Un «Terzo pasticcio», ha sintetizzato il giornale episcopale “Avvenire”. Il riabbraccio di Casini con Berlusconi è scritto forse lassù? Nello stesso libro della “Provvidenza” di Pio XI?

Persino papa Ratzinger è intervenuto. In occasione del ricevimento in Vaticano per le credenziali al nuovo ambasciatore d’Italia Francesco Greco, il papa straniero non ha esitato a «ringraziare il governo italiano» per la sua opposizione al «tentativo di eliminare il crocifisso dai luoghi pubblici» (tentativo dell’Ue), movendosi «in conformità ad una corretta visione della laicità». Significato della sortita? L’hanno ben capito i giornali padronali di (fine)regime: «Evviva! Il Papa è con Berlusconi. Ora nessuno può dubitare». Ergo, il cattolico Casini si allinei! Si adopri al salvataggio della legislatura del Caimano. Che così, nel 2013, potrà infine divorare il Quirinale.

Due le novità della situazione. Casini onorevolmente resiste. Pur essendo una creatura politica ruiniana e arcoriana (chi non ha visto la fotografia di famiglia mostrata da Bocchino a “Ballarò” con i quattro cofondatori del centrodestra? e chi non sa quanto Ruini abbia per anni vezzeggiato il suo pupillo?), Casini, dopo il coraggioso divorzio da B, e dopo aver presentato il 14 dicembre in parlamento la «mozione di sfiducia», non si pente, vuole rimanere fedele ai suoi elettori e coerente col suo progetto terzista del Grande Centro (che, a quanto pare, seduce anche Bersani e parte del suo non-partito). Ma fino a quando Casini potrà resistere alle sirene berlusconiane e al pressing delle gerarchie ecclesiastiche?

La seconda novità, forse ancora più importante, è che i vertici del Vaticano e della Chiesa ora scendono direttamente in campo. Non si nascondono più dietro le quinte. Pretendono apertamente di decidere le sorti del governo e del paese. Altro che «la Chiesa non fa politica!» (intervista di Bagnasco ieri su “la Repubblica”). La fa eccome, in barba al Concordato e alla sovranità della Repubblica italiana! E la fa anche Ratzinger, entrando, e non solo per mezzo dei suoi cardinali, nel merito delle contraddizioni parlamentari e partitiche, e teorizzando «il ruolo legittimo della religione e delle comunità religiose nella sfera pubblica» (Benedetto XVI stava parlando, si badi bene, al neo-ambasciatore d’Italia). Siamo alla legittimazione, detto papale papale, dell’interventismo ecclesiastico negli affari interni dello Stato italiano. Per influenzarne e dirigerne il corso. La Chiesa nello Stato, al posto (di guida) dello Stato (al contrario di quanto predicava Ratzinger nel 2005, nella sua prima enciclica, Deus caritas est, n. 28a; tra l’altro, caritas, amore verso chi? verso l’«homo dives», il ricco Epulone e Trimalchione di Arcore, alla cui mensa lautamente e ingordamente banchettare, a dispetto del povero, affamato e piagato «mendicus Lazarus»?).

Mi sovviene, per analogia storica, l’ingloriosa ascesa al potere di Mussolini benedetta dal Vaticano in seguito alla svolta filoclericale del mangiapreti di Predappio (discorso alla Camera nel 1921). Che cosa fecero le gerarchie cattoliche? Prima spinsero il Partito popolare di don Sturzo dentro la nuova maggioranza governativa di Mussolini formatasi dopo la marcia fascista su Roma, nel 1922 (oggi è Bossi a minacciare una marcia leghista su Roma, a suo dire, di 10 milioni di persone! Forse, immagina, capitanata dal Trota?). E poi lo costrinsero, dopo il delitto Matteotti, nel 1924, ad accettare la famigerata legge truffa Acerbo, e ad abbandonare l’ipotesi di un’alleanza con i socialisti, possibile alternativa al regime nascente. Per impedire quell’alleanza, oltre ai clerico-fascisti, e ai gesuiti della “Civiltà cattolica”, scese in campo anche il papa, Pio XI, in un discorso agli universitari cattolici nel settembre 1924 (chi vuole, può consultare i documenti raccolti da Pietro Scoppola nel volume La Chiesa e il fascismo, Laterza, 1976). Al possibile ripristino della democrazia liberale, Pio XI preferì il salvataggio della nascente dittatura fascista. Del resto, il governo Mussolini già nel 1923 (oltre a vari provvedimenti pro Ecclesiam) aveva ripristinato il crocifisso nei locali pubblici, da dove lo Stato liberale li aveva tolti.

La “sana laicità” filoclericale del Cavaliere di Arcore non ricorda quella del Cavaliere di Predappio? Il pressing sull’Udc affinché salvi Berlusconi non ricorda il divieto al Partito popolare di affondare Mussolini? Bisogna dire che anche grazie a Pio XI abbiamo sofferto di vent’anni di dittatura fascista inflittaci dall’«Uomo della Provvidenza». Benedetto XVI ora vuole regalarci alla vigilia di Natale altri anni di dittatura del bunga bunga? È questo che ci riserva per l’immediato futuro la Provvidenza del Sommo Pontefice? Preferiamo rimandare il regalo al mittente.

Una cosa per noi è certa. Mussolini allora era agli inizi del suo malgoverno. Berlusconi è alla fine. Boccheggia. Non sarà il soffio del Vaticano a rianimarlo. Per dirla con le augurali parole evangeliche: Portae inferi non praevalebunt!

(20 dicembre 2010)

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