Il segreto di Ratzinger
Enzo Mazzi
, il manifesto, 26 marzo 2010
Questo stillicidio di scandali riguardanti la pedofilia del clero, che dilaga senza sosta e coinvolge con un crescendo impressionante gli stessi massimi vertici vaticani, è esiziale per la Chiesa tutta. È di ieri la notizia rivelata dal New York Times che lo stesso Benedetto XVI, quando era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e il cardinal Bertone, occultarono gli abusi di un prete americano, il reverendo Lawrence C. Murphy, sospettato di aver violentato circa 200 bambini sordi di una scuola del Wisconsin dove aveva lavorato dal 1950 al 1974. Il prestigioso giornale statunitense lo scrive sulla base di alcuni documenti ecclesiastici di cui sarebbe venuto in possesso.
La richiesta che sale dal basso ma è condivisa da settori non marginali della stessa gerarchia è che finalmente si faccia piena luce, a qualsiasi costo.
Molti ormai fanno riferimento alla «Epistola de delictis gravioribus» (Lettera sui delitti più gravi) inviata il 18 maggio 2001 a tutti i vescovi della terra con cui il cardinale Ratzinger blindava gli abusi sessuali del clero imponendo il «secretum pontificium» (segreto papale) e vincolando così al centro vaticano la competenza di tutti i reati sessuali ad opera dei religiosi di ogni parte del il mondo.
La definizione di «segreto pontificio» è stata firmata nel 1974 dall’allora Segretario di Stato, cardinale Jean Villot, dopo un’opportuna direttiva ricevuta dalla viva voce di papa Paolo VI. Il testo sottolinea che è assolutamente escluso che un argomento sottoposto a segreto pontificio possa essere portato a conoscenza di «estranei» cioè, per esempio, di polizia, carabinieri e magistrati o degli stessi genitori delle vittime dei casi di pedofilia del clero. L’articolo 3 della direttiva dice che: chi è tenuto al segreto pontificio ha sempre l’obbligo grave di rispettarlo e chi non lo fa rischia delle sanzioni vere e proprie. È proprio l’imposizione del «segreto pontificio» che il teologo tedesco Hans Kung, ha rinfacciato al papa.
La lettera di Benedetto XVI alla Chiesa irlandese invita a denunciare i casi di pedofilia ma non dice una parola su questa secretazione. Non ne parla perché dovrebbe ammettere di essere lui stesso corresponsabile della copertura degli abusi. Ma così facendo impedisce che si faccia piena luce e mette la Chiesa in una situazione di estrema debolezza di fronte alla spregiudicatezza dei media. È inutile che l’Osservatore Romano accusi i giornali di pescare nel torbido, dichiarando ad esempio che la ricostruzione della vicenda fatta dal quotidiano americano è «funzionale all’evidente e ignobile intento di arrivare a colpire, a ogni costo, Benedetto XVI e i suoi più stretti collaboratori». È inutile che padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana si affanni a dichiarare che «le norme della Chiesa non hanno mai proibito la denuncia degli abusi sui minori alle autorità giudiziarie». I fatti stanno lì a dimostrare il contrario. E allora che si dica tutto. Le vittime lo stanno chiedendo con forza. Non si può aspettare.
E la luce piena senza se e senza ma è solo il primo passo. Perché la trasparenza metterà in evidenza le gravi distorsioni del sistema-chiesa, le quali sono all’origine degli stessi scandali della pedofilia e non solo di quelli.
E diciamo la parola indicibile: c’è bisogno finalmente di democrazia nella Chiesa cattolica. Chiamiamola pure con altri nomi di sapore ecclesiastico come «sinodalità» o «conciliarità». In sostanza c’è bisogno di attuare nella pratica la «rivoluzione copernicana» che il Concilio indicò come principio: non più al centro la gerarchia ma il «Popolo di Dio».
(26 marzo 2010)
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