Il sessismo c’è e si vede. Anche se qualcuno lo nega

Ingrid Colanicchia

, il linguista Edoardo Lombardi Vallauri offre una disamina del concetto di sessismo che mi trova a dir poco in disaccordo.

Il ragionamento di Lombardi Vallauri prende le mosse da un’immagine pubblicitaria affissa a Ragusa che ritrae una donna di spalle in perizoma a cavallo di un motorino (elettrico) e lo slogan “Vienimi dietro. Sono elettrica”. Affissione che ha destato un’ondata di indignazione e contro la quale si è mobilitato anche il sindaco, con una diffida all’azienda e un esposto all’istituto di autodisciplina pubblicitaria, perché ritenuta «sessista».

Ed è questa accusa a costituire un problema secondo Lombardi Vallauri, perché – a suo avviso – questo sarebbe un perfetto esempio di come il concetto di «sessista» e quello di «sessuale» vengano usati come intercambiabili.

Nell’argomentare quanto sostiene, Lombardi Vallauri sembra però dimenticare sia il contesto in cui l’immagine si colloca sia l’humus culturale da cui il nostro immaginario e le nostre rappresentazioni socio simboliche traggono alimento. Una stessa immagine su YouPorn, sulla copertina di un libro, in prima serata su Rai 1 o su un megacartellone pubblicitario piazzato su una strada non sono la stessa cosa e non veicolano lo stesso messaggio. Il contesto è il messaggio, ci hanno insegnato i semiologi.

Scrive Lombardi Vallauri che «oggi la parola sessista è sempre più usata per descrivere semplici manifestazioni del desiderio maschile. Non, quindi, atti di violenza (fisica o di altro genere) in cui l’uomo si pone al di sopra della donna e ne sopprime o ne limita la libertà per condizionarne il comportamento a proprio favore, ma semplici esternazioni del desiderio, in cui l’uomo in realtà si mette alla pari della donna perché le comunica il proprio stato interiore, o addirittura la pone al di sopra di sé perché le riconosce il suo potere di attrazione. A mio parere la levata di scudi contro una pubblicità di contenuto sessuale, attuata definendola sessista, rappresenta questo tipo di uso del termine».

Francamente è davvero difficile capire in che modo questa immagine fornisca l’esempio di un «uomo che si mette alla pari della donna perché le comunica il proprio stato interiore o addirittura la pone al di sopra di sé perché le riconosce il suo potere di attrazione». Soggetto qui è il desiderio maschile, e la donna sta lì solo come oggetto per soddisfarlo. E questa riduzione (elevazione, secondo Lombardi Vallauri) a oggetto del desiderio non fa che alimentare una subcultura di cui la nostra società è intrisa: una subcultura che reifica le donne e reificandole le rende altro da sé, qualcosa di diverso dall’umano universale e dunque passibili di violenza, oppressione e chi più ne ha più ne metta. In questo senso, l’immagine cui fa riferimento Lombardi Vallauri – peraltro espressione della straordinaria scarsità di immaginazione dei pubblicitari: non si vede infatti cosa c’entri una ragazza in perizoma con un motorino, in che senso e per quali associazioni di idee dovrebbe indurre all’acquisto del prodotto in questione – è precisamente un’immagine sessista. Perché da un lato è frutto e, dall’altro, alimenta questo circolo vizioso.

Scrive ancora Lombardi Vallauri: «Quella pubblicità (come in sé ogni altra allusione al desiderio maschile di accoppiarsi con la femmina) non contiene elementi di svalutazione o di avversione per la donna, ma la rappresenta come bella e attraente. In questo caso la presenta anche come disponibile, cioè come ricambiante in piena libertà il desiderio del maschio».

In un mondo ideale in cui le rappresentazioni del maschile e del femminile fossero molteplici e variegate questa affermazione non mi creerebbe nessun problema. Ma tra il mondo ideale e quello in cui viviamo, tanto più in questa materia, c’è parecchia differenza e queste immagini che riducono le donne a oggetto del desiderio maschile (quindi comunque funzionali a un altro soggetto, il maschio) sono quasi le uniche che si rinvengono nella rappresentazione pubblica (insieme a quelle speculari della brava massaia).

L’accento posto poi sulla «disponibilità» della donna (e la scelta stessa di questa parola) accredita ancora una volta l’idea di una funzionalità del (sog)oggetto donna: la disponibilità è un atto passivo, non è espressione del desiderio come Lombardi Vallauri sembra invece voler sostenere. Volendo anche scomodare il dizionario, sullo Zanichelli alla voce «disponibile» troviamo: «Di cui si può disporre. (est.) Libero, vuoto».

Lombardi Vallauri non concorda sul fatto che le rappresentazioni del maschile e del femminile non siano variegate e afferma che nella «nostra civiltà la donna è ormai rappresentata in tanti modi, e sarebbe abbastanza ipocrita pretendere che fra i tanti venisse abolita la sua rappresentazione come sessualmente attraente».

In realtà tutta questa pluralità di rappresentazioni non c’è. Dati alla mano.

Come rilevato da più ricerche (per esempio Irene Biemmi, Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg&Sellier, 2010; e Cristiano Corsini e Irene Scierri, Differenze di genere nell’editoria scolastica. Indagine empirica sui sussidiari dei linguaggi per la scuola primaria, Nuova cultura, 2016) nei libri di scuola la rappresentazione dei generi è ancora fortemente stereotipata e ben poco diversificata. Per limitarci a uno degli esempi riportati da Biemmi: «Il tema del lavoro è quello che presenta la maggiore discriminazione nei confronti delle donne: mentre ai maschi viene associata un’ampia gamma di tipologie professionali, le donne si vedono attribuire un ristretto numero di possibilità lavorative, peraltro economicamente e socialmente poco appetibili. La maggior parte delle donne viene infatti indicata come casalinga o al massimo come insegnante».

Nei mezzi di informazione le donne sono interpellate soprattutto perché portatrici di un’esperienza o come vox populi, mentre solo nel 20% dei casi come esperte o spokeperson (si veda a riguardo l’ultimo Global Media Monitoring Project, quello del 2015 al seguente link: bit.ly/3aFCZeH).

Per quanto riguarda la televisione più in generale non credo ci sia neppure bisogno di portare dati a sostegno di quanto dico. È sotto gli occhi di tutti.

Scrive ancora Lombardi Vallauri: «A qualcuno di noi la nostra civiltà nel suo insieme può non piacere, ma non è giusto tacciare di sessismo la singola azienda se non produce pubblicità che curino tutti gli aspetti della donna».

Ma il problema non è che non vengano rappresentati tutti gli aspetti della donna (che poi ognuna avrà i suoi di aspetti, non credo esistano degli aspetti della donna in quanto tale) ma quella subcultura che porta ad associare un motorino elettrico a un (annunciato) atto sessuale.

L’affermazione di Lombardi Vallauri che «il riferimento alla sfera del sesso non è necessariamente sessista» è invece pleonastico: coloro che si occupano di sessismo nel mondo de
lla comunicazione la differenza, ovvia, ce l’hanno molto ben chiara.

Conclude Lombardi Vallauri che: «Il desiderio è una cosa meravigliosa, il sesso è una cosa molto bella, e ben poco di ciò che è sessuale è sessista. Questa invidiosa fola, che è l’identificazione del sesso con il sessismo, alimenta l’inimicizia fra gli uomini e le donne facendo credere che gli uomini siano ostili alle donne per il solo fatto di desiderarle. Quindi, che gli uomini siano costitutivamente e inevitabilmente nemici delle donne».

Il desiderio è una cosa meravigliosa, il sesso è una cosa molto bella e se non vogliamo essere rappresentate sempre e solo come oggetti del desiderio maschile non significa che siamo sessuofobe. Ma che vorremmo pubblicitari un po’ più creativi. Per uno spazio pubblico che non alimenti una subcultura già così pervasiva.
(5 marzo 2020)

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