Il sonno della ragione genera mostri

Giulio Giorello

Emiliano Pagani e Bruno Cannucciari nel loro fumetto “Kraken” mettono in scena una storia emblematica della condizione umana, sempre alla ricerca di un capro espiatorio. Perché «in fondo, ogni epoca ha i suoi mostri a cui sacrificare la propria innocenza in cambio di speranza e buona sorte, no?».



«Molto, molto al di sotto nel mare abissale… dorme il Kraken», e il suo sonno è «senza sogni». Così si apre l’avventura a fumetti, intitolata appunto Kraken, edita in italiano da Tunué (Latina 2017, pp. 1-104, euro 16,90) e dovuta a Emiliano Pagani (soggetto e sceneggiatura) e a Bruno Cannucciari (disegni, colori e lettering). Il Kraken – come ci dicono i personaggi delle strisce dei due autori – è «il più grande e impressionante animale del creato… e senz’alcun dubbio il mostro marino più grande del mondo». Una sorta di surrogato malefico di Dio, proprio per questo «rappresentato come bestia malevolmente avversa all’uomo», se non addirittura «come incarnazione della forza aggressiva e primordiale della natura». Può quasi ricordarci l’argomento ontologico di Anselmo di Aosta (o di Canterbury), purché la perfezione della divinità venga ripensata come una perfezione nella malignità. O può farci venire in mente la battuta di Engels, per cui la vendetta più terribile è quella di una natura che si ribella al tentativo umano di assoggettarla e sfruttarla.

Solo che il Kraken non esiste. Alcuni abitanti del villaggio di Selalgues invano si ripetono che «se credi a qualcosa, questa cosa esiste davvero». Come invece ribatte Serge Dougarry, noto conduttore televisivo, indagatore riluttante del mistero del Kraken, quel mostro immenso «non c’è», come «non esistono mostri marini, non esistono le sirene, non esiste niente di niente. Esistono i nostri sensi di colpa e la nostra solitudine». E a un ragazzino che è venuto a interpellarlo fin nella sua casa di Parigi, Serge dichiara comunque di non essere «un Indiana Jones o un Pinocchio che recupera le persone nel ventre delle balene», e dunque è meglio lasciar perdere qualsiasi creatura degli abissi. «Ma l’importante è credere, no?», gli chiede il ragazzo. La risposta è proprio «no», perché «l’importante è affrontare la realtà. E riuscire a sopravvivere».

La storia avrebbe già potuto finire qui, però … All’appartamento di Serge compare, due settimane dopo, una donna che ha ancora qualche traccia di bellezza, nonostante sul volto porti segni di inquietudine e dolore. È la madre del ragazzino che «si chiama Damien e ha 14 anni». E più di tutto il resto, conta che Damien sia l’unico superstite di un naufragio di un peschereccio ove è perito anche il fratello maggiore Etienne. La donna dice di saper anche troppo «convivere con il lutto, come tutti nel paese» da cui proviene; il suo problema è che «l’unico figlio rimasto in vita sta lentamente impazzendo». Come salvarlo? A questo punto Adele invita Serge a venire a Selalgues ad assistere il figlio «fingendo di credergli», finché lui non si sarà liberato da quella sua ossessione. Il tutto con un buon pagamento! «Non le chiedo di far niente di diverso da quello che ha sempre fatto: fingere»; e precisa: «Fingere di credere». La risposta di Serge è significativa: «Non ce l’avete un prete, un parroco o qualcosa del genere dalle vostre parti?».

Ma il conduttore televisivo accetta. In quel «posto di merda» (Selalgues: parole sue), sul molo Serge assiste a una bizzarra pesca: nella rete c’è ben poco, eccetto un ragazzo quattordicenne semisvenuto. È Damien, che si era immerso nelle acque alla ricerca del Kraken, ed è stato preso… al posto di qualsiasi mostro. La gente lo vede di malocchio, e a stento lascia che venga soccorso e rimandato da sua madre. Ma nemmeno lo «straniero» venuto da Parigi è accolto bene. Solo una (bella) ragazza si compiace di raccontargli l’antefatto di quella sconcertante situazione. È Janet, un tempo fidanzata di Etienne: «Nel 1935 il piroscafo La Fayette venne sorpreso da una tempesta fortissima davanti alle nostre coste… Il vento, le onde, la pioggia impedirono all’equipaggio di accorgersi degli scogli a cui stavano andando incontro. E fu così che il piroscafo vi si schiantò contro con una forza impressionante. Morirono oltre 130 persone, tra equipaggio e passeggeri». Tragico, ma non così straordinario. Però, riuscì a salvarsi solo un giovane mozzo, il quale raccontò poi che «l’imbarcazione era stata aggredita e trascinata a fondo da un mostro marino». Il sopravvissuto era il nonno materno di Damien.

Come riferisce la stessa madre dolente: «Damien ha sempre avuto problemi di… come dire… inserimento. Etienne, l’altro mio figlio, era amato e rispettato da tutti. Lui era l’uomo di casa. Ed è morto, inghiottito dal mare. Così tutto l’equipaggio del peschereccio. Figli, mariti e padri di famiglia sprofondati negli abissi». Ma Damien no: il mare sembra non averlo voluto, e «lui è di là, con i suoi fumetti e i suoi disegni… sprofondato nel suo mondo». Nella stanza prepara incessantemente piani «per stanare il Kraken… e ucciderlo con il mio arpione!» Intanto, qualcosa succede nelle acque di Selalgues, qualcosa ben più terribile della mancanza di pesci: corpi di ragazzini, atrocemente lacerati, emergono e sono via via identificati. Gli abitanti incolpano «la malasorte». Serge ribatte: «No, il nemico più spaventoso di tutti non è la malasorte… È l’ignoranza».

Per poco non viene linciato dalla folla. Salvato da Janet, di colpo ricorda di aver perso in passato anche lui un figlio: «Aveva cinque anni. È annegato in mare, durante una gita in barca a vela». La ragazza, intanto, lo porta a vedere un enorme macchinario che si erge tra le onde. Forse è questo il vero Kraken: «Il mostro, la forza primordiale che distruggerà il villaggio è l’avidità dell’uomo». Serge Dougarry si sente senza risorse contro la prepotenza della tecnica messa al servizio delle bramosie umane; ma intanto si imbatte in un altro corpicino straziato… Ormai gli basta poco per sospettare che i superstiziosi abitanti di Selalgues vogliano fare di Damien il «capro espiatorio» di tutto il disastro che ha investito il villaggio: dalla moria dei pesci alla strage dei bimbi! Si batterà – come può – per impedire che questo accada. Ma…

Di nuovo, un ma! Le cose, troppo spesso, non sono esattamente come sembrano. Damien convince l’esitante Janet a seguirlo mentre lui cerca di mettere in atto il suo progetto di catturare il Kraken. La madre di Etienne e di Damien rievoca intanto la vicenda in cui l’unico superstite era riuscito a sottrarsi alla collera delle acque. E dice a Serge: «Allora ho pensato che il mare, il Kraken, dio o qualunque cosa sia, volesse il sacrificio di qualcuno della nostra famiglia per riparare l’offesa che gli aveva fat
to mio padre, salvandosi dal naufragio del 1935». Lei ha poi perso anche Etienne, e ora «Damien è in pericolo!», come esclama Serge, irato e insieme angosciato.

Non lo seguiremo nello scontro con gli abitanti di Selalgues. Piuttosto, anche noi ci chiederemo se laggiù siano davvero così «disperatamente pazzi e primitivi da uccidere un ragazzo… per offrirlo in sacrificio a un immaginario mostro marino». Alla fine, Serge intuirà una verità ben più tremenda e sconcertante, che qui ovviamente non riveliamo. Ci basta aggiungere che, in conclusione, le cose per Serge e Janet andranno a posto, e che si dovrà riconoscere che «non esiste nessun Kraken, nessun mostro che uccide la gente». Lieto fine? Non del tutto, come constateranno i lettori del fumetto. E resta qualche interrogativo. «Se le leggende fossero vere?», o se bastasse fingere di crederle tali? I pesci forse a Selalgues non torneranno; ma come a Lochness, da secoli famoso per un mostro che di tanto in tanto qualcuno ha creduto di vedere, arriveranno i turisti di varie nazioni, magari a frotte, salvando così l’economia del villaggio e soddisfacendo il desiderio di qualcosa di miracoloso. Commenta Serge: «In fondo, ogni epoca ha i suoi mostri a cui sacrificare la propria innocenza in cambio di speranza e buona sorte, no?».

“No” (senza punto di domanda) lo direbbe forse qualche illuminista, in ritardo rispetto ai nostri tempi in cui chi non sopporta la fede si trova assordato dalle strida dei fedeli di questa o quella religione, trascendente o mondana che sia. Propongo allora di guardare e leggere l’elegante fumetto di Pagani e Cannucciari (senza necessariamente attribuire loro questa mia interpretazione) come una sorta di messa in guardia contro le convinzioni assolute che possono trasformare credenze più o meno fondate in ossessioni rovinose per sé e per gli altri.

I vari personaggi di Kraken troppo spesso ricorrono a una parola ambigua: come dice il boss del villaggio, vogliono procedere «rispettando e difendendo le nostre tradizioni, con forza e convinzione, senza smettere di crederci» (cioè senza nemmeno considerare l’eventualità che esse consistano di una congerie di finzioni). Che si tratti di frammenti di religiosità più o meno popolare, di superstizioni piacevoli o temibili, di modi di pensare e di essere di recente invenzione, per esempio, televisiva (e in questo Serge Dougarry è di certo un esperto) eccetera sembrerebbe che tali tradizioni costituiscano la sostanza degli individui che si appellano a loro. Ma se si analizzano con spirito critico, si può anche scoprire che tale sostanza si dissolve come neve al sole. Quel che invece resta sono i singoli individui, messi di fronte alle loro responsabilità (senza più la necessità di dover «sacrificare» qualcosa o qualcuno).

E il Kraken? Lasciamolo tranquillamente dormire «il suo sonno senza sogni». A meno che le onde del «mare abissale» non sovrastino (come nella prima splendida tavola che apre il fumetto di Cannucciari e Pagani) una metropoli (come Parigi) ove prenderanno corpo le nostre paure e le nostre speranze.

(18 ottobre 2018)





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