Il tabù dell’abolizione del Concordato

Raffaele Carcano

Di abolire il Concordato non si parla più da tempo. Un silenzio paradossale, se si considera che la società italiana è sempre più secolarizzata e che un simile istituto medievale non ha oggi alcuna ragion d’essere. Di qui la petizione online, lanciata dalla Uaar, per chiedere ai parlamentari italiani di sostituire gli articoli 7 e 8 della Costituzione con l’affermazione esplicita del principio di laicità dello Stato.

Trent’anni fa veniva siglato il “nuovo” Concordato. Fu ratificato con una percentuale bulgara, superiore al 90% dei parlamentari. Anche il Pci votò a favore. Pochi anni dopo, però, una mozione congressuale che ne chiedeva l’abolizione raccolse a sorpresa intorno al 40% dei consensi. Il dissenso esisteva, dunque, ed era anche esteso. Ma non era riuscito a venire a galla.

Trent’anni dopo il Pci non esiste più, da tempo. Il “nuovo” Concordato sì, purtroppo, e da fin troppo tempo. Il dissenso continua a non venire a galla: in questa legislatura, nessun parlamentare ha ancora proposto di superarlo o di rivedere l’articolo 7. Oggi come allora, però, il dissenso esiste, e ancora una volta si deve trovare il modo per farlo emergere. L’Uaar ci sta provando con una petizione online rivolta a tutti i parlamentari, che ha già superato le ventimila sottoscrizioni. Non male, per un’iniziativa ignota ai più.

Perché di abolire il Concordato proprio non se ne scrive e non se ne parla. Un argomento tabù. I mezzi di informazione constatano che la società italiana è sempre più secolarizzata, celebrano il pluralismo religioso, ma non hanno il coraggio di prendere atto del fatto che, in un panorama così mutato, un istituto medievale qual è il Concordato non ha più alcuna ragion d’essere. Come si può seriamente affermare che è giusto che una confessione religiosa goda di privilegi unici? Infatti nessuno lo afferma: troppo imbarazzante, meglio far finta di niente.

E dire che gli effetti nefasti dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. Dai matrimoni “annullati” per ateismo o addirittura mammismo con sentenze ecclesiastiche ratificate dai tribunali civili alla vastità delle esenzioni fiscali di cui, anche in tempi di crisi, godono gli enti ecclesiastici. Non ci sono fondi per assumere medici o infermieri, ma gli ospedali non riducono i costi pubblici dei cappellani cattolici. Le dirigenze scolastiche invitano i genitori a comprare la carta igienica per i loro figli, ma non si pensa di tagliare gli stipendi degli insegnanti di religione, scelti dai vescovi ma stipendiati dai contribuenti. Per un totale di oltre un miliardo di euro ogni anno.

Tutte situazioni ritenute intoccabili perché figlie del Concordato. Ma un Concordato non è per sempre. Se si vuole cambiare questo paese, non si può pensare di farlo senza intervenire su privilegi anacronistici assolutamente ingiustificati. Uno stato laico per ora non c’è, e non ci verrà certo graziosamente regalato da qualche dio. Va invece conquistato con l’impegno quotidiano. I laici sono tanti, e hanno mille buone ragioni dalla loro parte: devono solo trovare il modo di tradurle in pratica. Le ventimila firme raccolte e consegnate in parlamento vogliono soltanto essere l’inizio di un percorso. Devono soltanto essere l’inizio di un percorso.

(18 febbraio 2014)



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